Jane Birkin nasce a Chelsea, uno dei più belli ed eleganti quartieri di Londra, nel 1946. Figlia di un’attrice che fu coinquilina di Sarah Churchill e di un ex eroe di guerra che partecipò alla battaglia di Dunkirk, era senz’altro destinata a lasciare anch’ella il segno. Ci racconta parte della sua vita, precisamente dall’anno 1957 al 1982 nel suo libro diario “Munkey Diares”, chiamato così in onore del peluche che l’accompagnò per tutta la sua vita.
Munkey, regalatale dallo zio e vinta ad una lotteria istantanea, è una scimmietta di pezza vestita da fantino alla quale era solita confidarsi da bambina e che porta con sé per gran parte della sua vita, fino a quando non la pone nella bara di Serge Gainsbourg, suo secondo marito, davanti alla devastazione delle sue figlie, come a vegliare su di lui.
“Rileggendo i miei diari, mi appare evidente che non si cambia, quello che ero a dodici anni lo sono ancora oggi” ammette J nel suo libro, e allora spetta a noi lettori capire fino in fondo questa icona che ha segnato la swinging London e la Parigi degli anni intorno al “Maggio francese”.
La Giovinezza
Dalle pagine del suo diario non più segreto, Jane Mallory Birkin (indiscutibilmente un nome da attrice) sin da piccola appare sicura ma mansueta, matura per la sua età, invidiosa della spensieratezza della sorella minore Linda ma con una voglia di vivere tipica di un bambino anche nell’età adulta. L’esperienza in collegio dai suoi undici anni affrontata di petto proprio come l’operazione alle tonsille presso il Saint Thomas Hospital e le disgrazie future.
La giovane Jane si preoccupa anche del suo aspetto fisico come un’adolescente qualunque, sentendo commenti al riguardo come “se sei così piatta perché metti il reggiseno?”, lei risponde semplicemente che non vuole essere l’unica a non indossarlo ma d’altra parte le battute fanno male, inoltre si corruccia quando i suoi genitori le impediscono di andare a ballare con calze, rossetto e slip-on. “Vorrei uscire e vedere i ragazzi, andare a ballare e divertirmi un po’, essere autorizzata a diventare grande!”. Quando compra rossetto e mascara e si fa la frangetta da sola, una volta tornata da Parigi, suo padre le dice che sembra una puttana e Jane ne rimane profondamente ferita.
Munkey Diares è pieno di aneddoti, persino prima che diventi famosa ha a che fare col mondo dello spettacolo, come quella volta che a Parigi, abitando nello stesso edificio di Edith Piaf, il giorno della sua morte la strada fu riempita di paparazzi che iniziarono a seguire Jane scambiandola per Françoise Hardy, visto che da quella casa uscivano spesso personaggi come Brigitte Bardot. C’è anche quella volta in cui, una piccola Jane incontra la regina per la prima volta (in seguito la rincontrerà formalmente per la sua fama) e il duca di Edimburgo a cui porge dei fiori le chiede “did you grow these yourself?”. O ancora quando, ormai diventata Jane Birkin la star, consiglia a Lady Diana di venire a vivere a Parigi, dicendole che la stampa l’avrebbe lasciata stare, parole amaramente ironiche considerato quello che accadrà nel 1997.
Gli esordi
Comincia la sua carriera come attrice teatrale seguendo le orme della mamma Judy, a 17 anni con la parte in un musical dove per il provino si era dimenticata tutte le parole, (riuscendo finalmente a realizzare il sogno legato alla musica che coltivava sin da bambina) ma è solo a metà degli anni ’60, nel pieno della swinging London, che Jane fa il suo esordio nel cinema nel film “The Knack” (1965) che vince la Palma d’oro a Cannes. Sarà solo con il “Blow Up” di Antonioni (1966) che però la giovane attrice, protagonista di una scena di nudo, si ritrova al centro della vita artistica londinese.
La sua parte nel musical “Passion Flower Hotel” le fa conoscere John Barry, di più di dieci anni più grande, che sposerà due anni dopo e dal quale avrà una figlia nel 1967, Kate Barry, che morirà suicida nel 2013. John era un compositore principalmente conosciuto per aver composto la soundtrack in molti film di James Bond. La loro storia segna particolarmente la Birkin. L’accompagna un’enorme tristezza nel non sentirsi desiderata né amata a causa dei troppi impegni e del carattere schivo di John, i gesti autolesionistici e i pensieri suicidi fino al tradimento del marito che la spinge, dopo il divorzio, a trasferirsi definitivamente a Parigi, lasciandosi alle spalle i gossip londinesi per entrare in un mondo del tutto nuovo. La città è vibrante, appena uscita dalle rivolte studentesche e della classe operaia indirizzate contro il capitalismo e l’imperialismo, si respira un’aria del tutto nuova ed intensa.
Qui, sul set di “Slogan” nel 1968, Jane conosce Serge Gainsbourg, cantante e musicista di origini ucraine. Un uomo affascinante, dalle mille amanti e dai mille talenti, da poco uscito dagli scandali della relazione extraconiugale con la Bardot, sfrontato, visionario, poeta, cinico e ironico è abbastanza per conquistare il cuore di J, che vuole togliersi i panni di brava ragazza e godersi a pieno la fama di sex symbol che sta acquistando.
La storia d’amore che segnò un’epoca
Jane rappresenta un tipo di bellezza opposto a quello a cui è abituato Serge, una bellezza fresca e androgina, caratterizzata da una magrezza adolescenziale, look sbarazzino, decisamente il contrario di quello charme femminile e procace di B.B. Jane porta a Parigi i nuovi canoni estetici che stavano prendendo piede nelle passerelle londinesi, con Twiggy e Jean Schrimpton. Eppure il suo fascino acerbo fa breccia nel cuore di Gainsbourg, nonostante un primo approccio tutto fuorché promettente.
“He’s meant to be my lover but he’s so arrogant and snobbish and he absolutely despises me!” questo è ciò che Jane scrive su Serge dopo averlo conosciuto sul set di Slogan in cui dovevano essere innamorati. Andrew Birkin, il fratello, si ricorda benissimo quando Jane tornata a casa dopo il primo giorno di riprese disse “he’s horrible”. E’ stato solo dopo la loro prima sera insieme, in cui Serge le ha addirittura pestato i piedi mentre ballavano, che la Birkin realizza che dopotutto quell’arroganza è forse timidezza. La serata prosegue tra vari locali tra cui il Raspoutine e il Calvados e finisce con Jane che insiste per andare all’hotel Hilton con lui, dove viene accolto con le parole “la solita stanza, signore?” a conferma delle innumerevoli amanti. Serge si addormenta nel letto totalmente ubriaco lasciando la Birkin interdetta, così lei esce e va al drugstore a comprare il quarantacinque giri di Yummy, yummy, yummy, I Got Love In My Tummy (sulle quali note aveva ballato in uno dei locali visitati) e glielo lascia tra le dita dei piedi, tornandosene a casa. Non proprio l’inizio perfetto per una storia d’amore, ma evidentemente azzeccato per due eccentrici attori nella Parigi dell’epoca.
Con lui, Jane scopre finalmente quella parte di sé che non sapeva esistesse, quella dell’amante, una parte che dopo l’esperienza con Barry le fa paura, soprattutto perché anche Serge scrive musica e quindi è costretta di nuovo a trovarsi nello stesso mondo che ha appena lasciato. Eppure sembra tutto diverso, tutto fatto su misura, l’amore e la spensieratezza che vengono in superficie, ma anche la parte sensuale ed erotica di una ventunenne.
Una sera, dopo aver bevuto troppo champagne e mangiato troppe ostriche, Jane chiede a Serge di andare in un bordello, ma non uno qualunque…il più sordido, per un’esperienza vera ed entusiasmante. Così i due si fanno portare in taxi fino al quartiere a luci rosse Pigalle; la Birkin col suo fisico da modella, stretta in un tubino nero, con calze nere trasparenti e stivali kinky rosso fuoco con il tacco viene subito aggredita verbalmente da quattro prostitute che le gridano “arrachez-lui les yeux!” (strappategli gli occhi, riferito a Gainsbourg) perché ella attirava l’attenzione degli uomini nel loro territorio, erano furiose.
Je T’Aime…Moi Non Plus
Nel 1969 l’ormai coppia Birkin-Gainsbourg conquista definitivamente la scena francese con la registrazione di “Je t’aime…moi non plus”. Una canzone estremamente sensuale e provocatoria che fece subito scandalo grazie ai gemiti della Birkin che commentano il testo esplicito cantato da entrambi, alternando parole d’amore a descrizioni di corpi nudi nel bel mezzo di un rapporto sessuale.
Il disco fu bannato dal Papa, definito ironicamente da Serge “il loro migliore addetto stampa”, dopo l’uscita dell’Osservatore Romano il vinile si vendeva come il pane in America; bannato anche dalla BBC il singolo era ormai sulla bocca di tutti, che facevano carte false per riuscire a trovarlo anche illegalmente. Le persone portavano a casa il disco con una falsa copertina, per non farsi scoprire.
La leggenda narra che nella sala di registrazione i due abbiano davvero avuto un amplesso e chi siamo noi per smentire? La canzone è infatti una delle prime a trattare il tema dell’erotismo in modo così esplicito, con i suoi sospiri e il suo testo che lascia poco all’immaginazione. Il carattere del brano è malinconico e romantico, oltre al suo lato pornografico, tipico esempio culturale della rivoluzione sessuale. All’inizio la canzone era stata scritta e registrata per Brigitte Bardot, che essendo sposata non aveva permesso di rilasciarla, ed una gelosissima Jane con il senno di poi ci racconta che non riuscirebbe mai a visualizzare Serge incidere quel pezzo con un’altra donna. In seguito il brano diventa oggetto di numerose censure e sequestri, ma anche di enorme successo ed ormai la Birkin non è più la ragazzina delicata e fragile ma un’icona sexy ed erotica.
La relazione tra i due non finisce mai di stupire la stampa, come quella volta in cui in seguito ad una furiosa litigata in pubblico, Jane si butta senza pensarci troppo nell’acqua gelida della Senna ma una volta uscita, con il suo top di Yves Saint Laurent completamente fradicio, torna mano nella mano a casa con il suo innamorato. Erano entrambi di forte temperamento, quando discutevano lo facevano furiosamente e soprattutto senza paura di essere visti.
Dopo Gainsbourg
La relazione di Jane e Serge finisce nel 1980, 12 anni e una figlia (Charlotte) dopo. E’ ancora il simbolo degli anni Parigini più sregolati, tra sesso, droga e una forte dose di arte. Il loro amore finisce non per mancanza di amore ma perché Jane è stanca del problema di alcolismo del marito ma soprattutto delle aggressioni che seguivano il suo rientro a casa ubriaco: “avevo voglia di morire davvero, e per mano sua”. Nonostante tutto rimane il suo migliore amico e confidente fino al 1991, anno della sua morte. Jane e le sue figlie passano tre giorni con il suo corpo, incapaci di lasciarlo andare, ed è nella sua tomba che ripongono Munkey.
Jane finisce la carriera cinematografica abbandonando l’immagine di buffa e sexy ragazzina inglese che l’aveva accompagnata in oltre trenta film per far emergere una personalità più complessa ed introspettiva, soprattutto grazie ai film che realizzerà con il regista Jacques Doillon, il quale diventerà suo compagno e con cui avrà la figlia Lou nel 1982, due anni dopo la fine della relazione con Gainsbourg alla quale ella è ancora legata, tanto da domandarsi se sia possibile vivere in tre.
Gli ultimi anni e l’impegno sociale
Jane ha ora 73 anni, sembra aver vissuto più di una vita, almeno tre, una per ogni compagno e per ogni cambiamento avvenuto.
Nel 2007 torna a Cannes questa volta come regista e presenta “Boxes”, un film altamente biografico, di cui ha scritto la sceneggiatura. Il titolo fa riferimento alle scatole del trasloco a cui si sta dedicando la protagonista della storia, scatole da cui escono lettere, appunti, memorie, oggetti che portano ricordi di attimi e persone.
Negli ultimi anni il suo impegno sociale è diventato più forte: è stata in Bosnia, in Cecenia, ha cantato in Cisgiordania, si è esibita in un concerto a favore delle vittime del conflitto in Ruanda ed è scesa in campo per chiedere la liberazione di Aung San Suu Kyi la leader birmana, premio Nobel per la pace, costretta da anni, dalla giunta militare al potere in Myanmar, agli arresti domiciliari.
L’icona
Nei primi anni ’80, su un volo per Londra, le cade la borsa, il suo famoso paniere. Scocciata per il contenuto completamente sparpagliato sul pavimento si rivolge al vicino di posto lamentando la mancanza di un modello capiente e con le tasche interne.
L’uomo in questione era Jean-Louis Dumas, direttore della casa di moda Hermès, di cui la famosissima ed extra lusso Birkin Bag, che arriva a prezzi esorbitanti. Jane ha sempre dettato la moda anziché subirla, proprio come quando girava per le strade parigine con la sua celebre borsa in vimini comprata ad un mercatino. Uno stile effortless ma d’impatto proprio per la sua semplicità ed estrema eleganza che la fa ricordare come simbolo intramontabile degli anni ’60 londinesi e parigini.
Il segreto del suo stile è sempre stata la sua nonchalance, ed è per questo che a distanza di oltre 50 anni le ragazze di tutto il mondo la ammirano e provano ancora ad imitarla, con scarsi risultati, visto che di Jane Birkin ce ne è e ce ne sarà sempre una soltanto.
Fonti: The Munkey Diares, Jane Birkin, 2019