Pleasure è l’esordio alla regia di Ninja Thyberg. La pellicola era stata selezionata per partecipare al 73esimo Festival di Cannes, annullato causa COVID-19. Presentata poi al Sundance Film Festival nel 2021, è da poco disponibile in Italia nel catalogo della piattaforma di streaming MUBI.
Non di sesso, ma di potere
Bella Cherry, nome d’arte della ventenne Linnéa, si trasferisce dalla Svezia a Los Angeles per diventare “the next big porno star”. Non c’è niente da cui sta scappando, nessun trauma muove la sua scelta: “I’m here because I want to fuck!”. É da questo desiderio che inizia l’ascesa/discesa di Bella.
Il film nasce in seguito a cinque anni di ricerca “sul campo” all’interno dell’industria pornografica, come sviluppo di un corto dal titolo omonimo girato dalla regista nel 2013. Il cast del film è infatti interamente composto da attrici e attori, registi e registe (una, per la precisione), produttori (tutti uomini di mezza età o più) del settore a eccezione di Sofia Kappel, interprete di Bella Cherry, che qui è al suo primo ruolo da attrice. Pleasure è un film sul mondo della pornografia, ma indagando le dinamiche presenti in questo ci parla anche di tanto altro: degli squilibri di genere e dei rapporti di potere rintracciabili in qualsiasi relazione, lavorativa e non; del capitalismo e delle sue storture; delle dinamiche del consenso. Di tutto questo tranne che del piacere.
Sul consenso
TW: stupro.
Dopo aver girato una scena BDSM, guidata da una produzione composta quasi esclusivamente da donne (è in questo momento del film che vediamo una rappresentazione del porno etico), Bella chiede al suo agente di trovarle altri lavori di questo tipo. Ora c’è lei sola in una stanza con tre uomini. Se prima si era trovata a lavorare con persone attente al suo stato fisico ed emotivo e, soprattutto, al suo piacere (è l’unica volta in cui c’è interesse nel farle raggiungere l’orgasmo), questa volta subisce uno stupro. Se prima ogni azione, pur contemplando la possibilità del dolore, era calcolata e discussa nel mentre, con il consenso continuamente messo in discorso, ora basta un sì iniziale della protagonista per far valere tutto, “come da contratto”.
“But you gave consent” è ciò che Bella si sente rispondere quando racconta la violenza subita al suo agente. Ma il consenso non viene mai dato in assoluto.
Sul desiderio
“L’attaccamento al consenso come framework totalizzante per i nostri ragionamenti sul sesso, che sia bello o brutto, equivale a consolidare l’illusione del liberalismo, per cui, […] “l’uguaglianza esiste e basta”.”
Una riflessione interessante, che entra nella complessità del discorso sul consenso legandolo, soprattutto, al desiderio, viene fatta da Katherine Angel nel suo ultimo libro Il sesso che verrà, edito in Italia da Blackie Edizioni.
“Il consenso, il dire di sì, il manifestare un desiderio, ci garantiscono il piacere? Impediscono agli uomini di strumentalizzare le donne? Ovviamente no. Il piacere, e il diritto al piacere, non sono equamente distribuiti.”
Lungi dal negare la necessità del consenso, e del dover portare avanti un discorso e un’educazione a riguardo, la scrittrice ci chiede di andare oltre, per non smettere di ragionare rispetto alla sessualità e alle sue complessità.
“A lungo il pensiero progressista ha utilizzato la sessualità e il piacere come controfigure per l’emancipazione e la liberazione. Era esattamente questo che il filosofo Michel Foucault criticava nel 1976 in La volontà di sapere, quando ha scritto “a domani il buon sesso”. Stava parafrasando, sardonicamente, l’atteggiamento degli esponenti della controcultura del movimento di liberazione sessuale degli anni sessanta e settanta, i marxisti, i rivoluzionari, i freudiani: tutti quelli convinti che per liberarci delle grinfie moraleggianti del passato, di un passato vittoriano e repressivo, avremmo dovuto finalmente parlare schiettamente di sessualità. Al contrario, Foucault guardava con scetticismo al nostro “ardore nello scongiurare il presente e nell’invocare un avvenire”. E sosteneva che i vittoriani fossero, in effetti, estremamente loquaci riguardo al sesso, anche se quella loquacità serviva a delineare patologie, anormalità e aberrazioni. Foucault non soltanto ha corretto la visione classica dei vittoriani considerati pruriginosi, repressi e dediti al silenzio, ma si è anche opposto all’ovvietà secondo cui parlare esplicitamente di sesso porta alla liberazione mentre il silenzio genera repressione. Non dobbiamo credere che, ha scritto, “accettando il sesso si rifiuti il potere”.
Il sesso è stato, ed è ancora, proibito e regolato in miriadi di modi e, in particolare, la sessualità delle donne è stata fortemente limitata e sorvegliata. Ma può essere utile approfondire meglio la posizione di Foucault. È di nuovo un momento in cui ci sembra che il sesso tornerà a essere bello domani – un domani che appare all’orizzonte, così vicino che si può quasi sfiorare – un momento in cui scongiuriamo il presente e ci appelliamo al futuro, armati degli strumenti necessari a disfare la repressione del passato: gli strumenti del consenso, e – come vedremo – degli studi sul sesso. Ma parlare e dire la verità non sono azioni che portano di per sé all’emancipazione, né tantomeno la parola in sé è liberatoria mentre il silenzio oppressivo. Inoltre, la repressione può agire tramite i meccanismi verbali, tramite quello che Foucault chiama “incoraggiamento a parlare”. Il consenso e la presunzione della sua assoluta chiarezza rischiano di delegare il fardello di un’interazione sessuale positiva al solo comportamento delle donne: a quello che vogliono, a quello che sono in grado di conoscere ed esprimere rispetto ai loro desideri, alla loro capacità di esibire una sicurezza sessuale in modo da garantire che il sesso sia reciprocamente piacevole e non coercitivo. Guai a non essere consapevoli di noi stesse e a non elargire tale consapevolezza.”
L’importanza del female gaze
L’operazione portata avanti dalla regista è di continua decostruzione della rappresentazione del sesso come viene proposto dalla pornografia male-oriented. Ninja Thyberg studia il porno dal suo interno guardando il male gaze dall’esterno, puntando i riflettori su quello che di solito rimane nascosto: il corpo nudo del maschio. La maggior parte delle scene di sesso non sono esplicite, avvengono addirittura offscreen (come anche la violenza subita da Bella) perché non c’è la necessità di mettere ulteriormente in mostra i corpi nudi delle ragazze (e nemmeno di mostrare esplicitamente il dolore per farne meglio percepire la portata), non è questo che interessa alla regista. E non è paura della sessualizzazione, che anzi viene abbracciata dal principio, ma un voler smascherare i limiti, e le storture, dello sguardo maschile.
Andiamo oltre, abbracciamo nuove narrazioni. Che noia tutti questi uomini che continuano a raccontare i nostri corpi sempre allo stesso modo, senza realmente conoscerli, o volerli conoscere. È questo che ci dice Pleasure.
Il sesso non ci spaventa, ci annoia vederlo ancora rappresentato così. È questo che vi dico io.
Cute fact: alle (poche) proiezioni fatte in sala regalavano dei lecca-lecca, cosa vi siete persз!