venerdì, 20 Dicembre 2024

Inside Diavata refugee camp – 1° parte

Paure, speranze, fragilità e sorrisi. Sono queste le prime cose che vedi entrando nel campo profughi di Diavata, un quartiere di Salonicco. All’interno del campo vivono all’incirca 500/600 rifugiati regolari, ossia coloro che sono registrati per vivere nel campo; il numero aumenta di 100/150 unità se consideriamo anche gli irregolari che considerano il campo come un luogo di passaggio.

Parte del campo visto dalla Safe Zone di ARSIS – Pic. Manuel Ferrara

Dentro il campo profughi

Il campo profughi di Diavata nasce nel 2016, in risposta alla grande crisi migratoria del 2015. Per il primo anno, il campo, non era altro che un ammasso di tende. L’anno successivo, sono arrivati i primi container e ad oggi il campo ne ospita un centinaio e ognuno di essi ospitano, al loro interno, almeno sei persone. Non per forza facciamo riferimento a membri di un’unica famiglia, infatti all’interno di questi moduli abitativi possono vivere anche due famiglie. I contanier sono forniti di due piccole camere da letto, uno strettissimo bagno e un piccolo cucinino. In quattro zone diverse del campo, sono sparsi dei sistemi d’irrigazione dell’acqua, con appositi rubinetti dove però sgorga solo acqua fredda.

Non essendoci spazio all’interno dei moduli abitativi, i rifugiati, per fare una doccia, sono costretti ad uscire dalle loro case e andare nei container adibiti per le docce. Questi ultimi, seppur siano divisi per uomini e donne, non hanno porte e finestre, quindi chiunque vada a farsi una doccia non solo non ha molta privacy ma è anche soggetto alle intemperie metereologiche.

L’amministrazione del campo è affidata al governo greco, che nomina l’amministratore capo del campo, al quale fa seguito la sua equipe. A dare supporto ai rifugiati, vi sono rimaste solo tre ONG: 1) ARSIS, la ONG per cui sono volontario, che si occupa dei minori non accompagnati all’interno della Safe Zone del campo; 2) ASB che si occupa di supporto gestionale e legale; 3) QRT che distribuisce principalmente beni di prima necessità. Nel 2016, le ONG che fornivano supporto ai rifugiati erano una ventina ma man mano che la crisi del campo andava a scemare, sono tutte andate via e adesso rimangono solo quelle che ho menzionato sopra.

Gestione dei moduli abitativi

Come ho accennato in precedenza nel campo profughi vivono sia richiedenti asilo regolari sia migranti non regolari. Una volta ottenuta la with card (carta che dichiara lo stato di richiedente asilo), ci si può registrare per vivere nel campo profughi e successivamente si fa richiesta per vivere in uno dei container. Non tutti coloro che sono registrati sono così “fortunati” da viverci, molti di loro, infatti, vivono nelle tende. Chi è registrato al campo ottiene: tre pasti al giorno, razionati in base ai componenti familiari, e 150€ al mese per ogni membro familiare. Mentre la distribuzione del pranzo inizia alle 12:30 e si conclude intorno alle 14:00, la sera dalle 17:30 vengono distribuite la cena e la colazione per il giorno dopo.

Per chi invece non è registrato la situazione cambia drasticamente. Infatti, tutti i non registrati non vivono nei container ma nelle tende, allocate in quello che era un campo da calcio e da basket, e non ricevono né pasti né soldi. Gli irregolari, infatti, spesso escono dal campo per fare la spesa e rientrano irregolarmente. La stessa spesa che condividono con chi non può permettersi di comprarsi da magiare. Questa solidarietà, ovviamente, si ha anche tra i registrati e i non registrati. Molte volte mi è capitato di vedere padri e madri di famiglia, che vivono nel campo regolarmente, condividere i loro pasti appena presi con chi è irregolare. L’umanità e la solidarietà, quelle vere, la si trovano tra chi ha poco o nulla.

A destra tende dell’UNHCR, seppur l’alto commissariaro non abbia più nessuna missione aperta a Diavata -Pic. Manuel Ferrara

Un luogo di passaggio

Diavata non è solo un luogo di residenza ma anche un luogo di passaggio per molti immigrati irregolari. La sua vicinanza alla Macedonia del Nord, consente ai molti che vogliono percorrere la Balcan route di sostare per breve tempo nel campo e ripartire qualche giorno dopo. Sono tante le storie che mi sono state raccontate in questo primo mese di volontariato. Una fra tutte è quella di un ragazzo afghano di soli 16 anni.

La storia del ragazzo afghano e del suo sorriso

Non potrò mai dimenticare il giorno del nostro incontro. Aveva un sorriso bellissimo stampato in faccia, uno di quelli che solo la speranza riesce a modellare sul volto. Amante della filosofia e della matematica, mi ha confidato che il suo sogno sarebbe quello di arrivare in Italia e viverci. È scappato dall’Afghanistan a soli 14 anni e in questi due anni ha affrontato un lungo viaggio che lo ha portato prima in Iran, poi in Turchia e infine in Grecia.

Mi racconta del giorno precedente e di quando con i suoi due compagni di viaggio, altri due afghani adulti, ha provato a varcare il confine con la Macedonia del Nord. Una volta arrivati alla frontiera, gli sono stati chiesti soldi per passare. Alla sua risposta negativa, essendo sprovvisto di denaro, la mafia macedone (così lui l’ha definita), gli ha chiesto di fare qualche lavoretto per loro per permettergli il passaggio. Fortunatamente si è rifiutato ed è tornato a Diavata per un breve pit stop.

Parlando, mi ha chiesto un consiglio sulla migliore strada da percorrere per arrivare nel bel paese. Con una grande tristezza nel cuore non ho potuto dargli una risposta, però l’ho avvertito sui grossi pericoli che corre intraprendendo questo viaggio. L’ho informato subito sui rischi e sulla polizia alla frontiera che se lo becca lo rispedisce in Turchia. Gli parlo, gli dico di stare molto attento; gli consiglio anche di rimanere in Grecia e rispettare la procedura per ottenere la with card. Mi guarda e la sua bocca mi dice <<Forse>>, i suoi occhi, invece, mi dicono che ritenterà a passare il confine con la Macedonia del Nord. I suoi occhi infatti non mentono, non sono più quelli di un ragazzino, sono occhi di un adulto.

L’inizio di un racconto

Questa è solo la prima parte del mio racconto. Nei prossimi mesi sarà mia premura documentare quello che succede nel campo di Diavata e farvi arrivare più notizie possibili. Anche perché qui la pandemia ha graziato, durante la prima ondata, il campo ma i contagi in Grecia stanno aumentando e già sono state istituite le prime restrizioni anche per i rifugiati.

Per il seguito ci rivediamo a Novembre.

Manuel Ferrara
Manuel Ferrara
Siciliano, classe 1993. Consegue la laurea magistrale in Economia Politica e Istituzioni Internazionali presso l'Università degli Studi di Pavia. Aspirante cooperante nel settore delle emergenze umanitarie, è un fervente difensore dei diritti umani. Grande appassionato di film e di Andrea Camilleri, immagina, di tanto in tanto, di trovarsi dentro una matrioska di sogni.

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