domenica, 22 Dicembre 2024

Il romanzo psicologico e i sintomi del mondo interiore

L’inconscio freudiano sulla carta stampata. L’analisi delle dinamiche dell’Io più profondo e nascosto. La risposta ad una società che porta all’inettitudine. Sono solo alcuni dei temi trattati da un genere estremamente giovane, quello del romanzo psicologico, ma anche estremamente complesso.

Guardare dentro

La parola che fa riferimento all’analisi della parte più nascosta dell’uomo è “introspezione”. Dal latino introspicere, significa letteralmente “guardarsi dentro” e indica un procedimento che ha come oggetto di discussione i ricordi, le sensazioni, le emozioni e soprattutto gli impulsi. Nel corso dei secoli questi elementi sono diventati centrali nella narrazione e nella comunicazione degli autori, tanto da essere andati a costituire un genere letterario a parte.

Il romanzo psicologico, infatti, si configura fin da subito come il megafono delle dinamiche psicologiche che determinano il particolare comportamento di un personaggio, le sue incertezze, le sue inquietudini. Un procedimento estremamente complesso e articolato, che necessita della completa attenzione e concentrazione da parte del lettore e dell’autore.

Il mondo interiore, inoltre, non diventa solo una realtà da scoprire singolarmente o collettivamente, ma anche un pretesto per allontanarsi da un contesto storico storico-sociale troppo opprimente.

In fuga dal mondo

Proprio quest’ultimo elemento costituisce la base sulla quale si forma il romanzo psicologico. Gli anni a cavallo tra l’800 e il ‘900, infatti, presentano alcune peculiarità a livello sociale che inducono l’uomo comune a rifugiarsi nel suo mondo interiore. Innanzitutto la filosofia economica dominante: l’esplosione del capitalismo mette la ricerca del denaro al centro di tutto. In questo modo l’uomo tende a diventare un numero in un sistema più ampio e complesso e perde la sua specificità in nome della realtà operaia e impiegatizia.

Vi è poi la rivoluzione scientifica, che si esprime in due direzioni: da una parte il lavoro di Charles Darwin, che con la pubblicazione nel 1859 de “L’origine della specie” innesta un cambiamento che non riguarda solo la scienza, ma anche quella parte della filosofia che concepisce l’uomo in quanto tale, ovvero la neonata antropologia. Dall’altra parte, una cinquantina d’anni dopo, il dottor Sigmund Freud riesce ad accedere alle stanze più buie dell’uomo con la psicanalisi. L’Inconscio umano come parte più irrazionale dell’Essere presenta un Io formato non solo da principi, ma anche da paure e angosce. La risposta di Freud è una risposta alla materialità della società positivistica.

Il dottor Sigmund Freud

Infine, in ambito più propriamente scientifico, vi è la teoria della relatività. Il genio di Albert Einstein, infatti, presenta un tempo e uno spazio che hanno caratteristiche relative in base a chi li misura. La percezione dell’individuo diventa un buco nero, nel quale il tempo si dilata (concetto ripreso da grandissimi scrittori, come Dino Buzzati) e il mondo non è più lo stesso.

Precursori del romanzo psicologico

Questi tre grandi risultati accendono l’inquietudine umana e distaccano l’uomo dal contesto sociale in cui vive. La crisi poi si riflette a livello storico, con il grande disastro della Prima Guerra Mondiale che contribuisce ancora di più a creare un terreno fertile sul quale viene coltivato il romanzo psicologico.

Prima di tutto questo, tuttavia, il romanzo psicologico viene introdotto al mondo grazie ad un suo grandissimo precursore. Il contesto è quello della Russia di metà ‘800, quando Fedor Michailovic Dostoevskij propone il concetto di “sottosuolo” in quello che è probabilmente il suo lavoro più conosciuto e riuscito, ovvero “Delitto e castigo“. Una lunghissima critica sociale in forma monologica, nella quale viene criticata e spenta la luce del positivismo, rea di non aver portato l’uomo al benessere promesso dalla scienza e dalla mente umana.

Fedor Michailovic Dostoevskij

L’uomo, infatti, desidera segretamente soffrire e la sua mente (oppure la consolazione data dalla religione, altro bersaglio polemico dell’autore) non può fare nulla per ovviare a questo problema. L’irragionevolezza porta ad una profonda interiorizzazione della realtà, troppo complessa per essere capita. Il XIX secolo è il grande “secolo negatorio” secondo Dostoevskij. Da ciò deriva il ritiro dalla vita sociale, ovvero il rifugiarsi nel sottosuolo, come un insetto che non sopporta la luce del sole.

Protagonisti conflittuali

Una caratterizzazione che riguarda appieno il protagonista di questo romanzo psicologico, il povero Raskòlnikov. Costui ricerca la sofferenza per se stesso uccidendo un’usuraia e vivendo in modo indigente. La ricerca costante dei confini di ciò che può e non può fare e la sua depravazione irrazionale e paranoica è un rifiuto totale della realtà in cui vive.

Non è un caso se un altro grandissimo autore del tempo, ovvero Friedrich Nietzsche, scrive:

“Dostoevskij, l’unico psicologo, peraltro, da cui ebbi mai qualcosa da imparare”

In questo romanzo psicologico l’uomo ritiene di dover ridefinire la morale e la legge con l’omicidio per essere migliore, attraverso il diritto sulla vita altrui. Delitto e castigo riprende il tema del pathei mathos greco, il raggiungimento della conoscenza attraverso la sofferenza, una caratteristica comune nelle opere di questo autore. Un’idea essenzialmente cristiana, il soffrire che ha un effetto purificatore sull’animo umano, che gli rende possibile da parte di dio la concessione della salvezza. Il personaggio di Sonja rientra perfettamente in questo quadro: la fede incrollabile aiuta l’uomo nonostante la sua smisurata sofferenza.

L’autore ritiene infatti che la salvezza sia possibile per tutti, persino per coloro che hanno peccato gravemente. È il riconoscimento di questo fatto che porta il protagonista alla confessione.

Uno stile riconoscibile

Le peculiarità tematiche del romanzo psicologico sono quindi ben definite. Ovviamente resta l’altro piatto della bilancia: il focalizzarsi sui meccanismi mentali dei personaggi, infatti, porta a sminuire le altre componenti narratologiche e contenutistiche di questo tipo di romanzo. Un esempio è quello dell’intreccio, spesso molto esile e rallentato nel ritmo dalla preponderanza delle riflessioni.

Anche le tecniche stilistiche, tuttavia, presentano delle novità importanti, come il monologo interiore e il flusso di coscienza. Il secondo, in particolare, permette di esprimere i pensieri dei personaggi con una focalizzazione interna estremamente efficace e di arrivare persino a “manipolare” la realtà oggettiva in cui vive il protagonista per farla diventare soggettiva.

La messe del romanzo psicologico

Dopo Dostoevskij tutto cambia, nasce una nuova generazione di scrittori di romanzi psicologici. I nomi sono di un certo peso. Da Franz Kafka, che con le sue Metamorfosi inaugura il nuovo ciclo dell’interiorità, a Luigi Pirandello nel suo Il fu Mattia Pascal. Fino ad arrivare alla triade capitolina di questo genere, Marcel Proust (Alla ricerca del tempo perduto), James Joyce (Ulisse) e l’italiano Italo Svevo.

Quest’ultimo con La coscienza di Zeno (1923) presenta la figura paradigmatica del romanzo psicologico, ovvero l’inetto. Colui che non sa stare al mondo, colui che non sa vivere nella società moderna è il nuovo eroe del 1900. Egli riesce ad estrarsi da quella società opprimente che rende l’uomo schiavo del suo tempo.

La coscienza è quindi protagonista. La scoperta di un personaggio da quel momento non diventa più un’esperienza solo per il lettore, ma anche per sè stesso.

Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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