Dopo dieci anni di conflitto in Siria, sono iniziati i primi processi contro figure del regime di Damasco. Benché non si arriverà a una giustizia completa, questi processi rappresentano una piccola vittoria simbolica nei confronti del governo siriano. Un regime che, con il sostegno di Russia, Cina e Iran, ha potuto perpetrare una repressione sanguinosa e crimini contro l’umanità verso i propri cittadini. Sentendosi immune a qualunque giudizio a livello internazionale.
Com’è stato possibile
La svolta è arrivata grazie alla Germania: infatti i primi due funzionari a essere incriminati, erano arrivati in Europa nel 2014 e 2018, mischiandosi tra i milioni di profughi che in quegli anni tentavano di approdare nel vecchio continente.
Il primo, Anwar Raslan, è un ex colonello dell’esercito siriano, accusato di aver torturato e ucciso migliaia di dissidenti nelle prigioni della capitale Damasco. Stesse accuse rivolte a Eyad al Gahrib, braccio destro di Raslan. In questi giorni poi è stato arrestato un nuovo membro del regime siriano, un medico, accusato di aver torturato e ucciso almeno un manifestante durante le proteste del 2011; la sua cattura è avvenuta grazie alle testimonianze di alcuni profughi siriani. Tutto questo è potuto accadere per merito di Berlino, che ha fatto valere con forza il principio di giurisprudenza internazionale. Ciò permette di processare criminali fuggiti dal paese in cui essi hanno commesso il reato. Oltre a essere un momento storico, è anche un messaggio rivolto al governo di Damasco e i suoi alleati.
Un processo con molti dubbi
Per alcuni questi processi però non serviranno a niente, nascono anzi dubbi sulla legittimità degli arresti: in particolare, per quanto riguarda i primi due imputati, molti esperti esprimono perplessità sulle possibili condanne. Infatti essi hanno disertato nel 2012 e rappresentato l’opposizione durante i colloqui di pace a Ginevra nel 2014. Per molti sarebbe una sorta di giustizia parziale, dopo anni di tentativi di processare Damasco, accusato di crimini contro l’umanità, e scoraggerebbe altri disertori a collaborare con la comunità internazionale, poiché verrebbero usati come capri espiatori.
Una repressione lunga dieci anni
Per altri invece sarebbe una vittoria, seppur parziale, dopo dieci anni di conflitto. Mettere davanti alle proprie responsabilità rappresentanti del regime vuol dire dare giustizia alle centinaia di migliaia di persone torturate e uccise dal governo di Damasco. Questi arresti avvengono poi nel momento in cui Washington ha approvato il Caeser Act, un provvedimento dove vengono introdotte nuove sanzioni economiche verso la Siria. Il nome è ispirato al disertore Caeser (soprannome usato dall’ex soldato), che nel 2014 fuggì dalla Siria, mostrando al mondo i crimini perperpetrati dal regime, attraverso documenti e immagini.
Nonostante l’imminente vittoria di Damasco, questi processi e le testimonianze di vittime e disertori non ci devono fare dimenticare le responsabilità del regime siriano. Ricordandoci il fatto che la guerra civile non è cominciato con l’arrivo dell’isis nel 2014, ma come conseguenza della sanguinosa repressione attuata da Assad e i sui collaboratori nei confronti del popolo siriano, durante le proteste iniziate nel 2011, dove la gente chiedeva riforme e libertà.