E’ dall’inizio dell’anno che sentiamo parlare del COVID-19 e delle conseguenze sanitarie ed economiche, e probabilmente ciascuno di noi è saturo di informazioni. Ma c’è un terzo aspetto che sta ottenendo momentum nel dibattito pubblico: le conseguenze della privazione di alcune libertà, dovute alla creazione di un nuovo contratto sociale, il patto virale, come risposta alla crisi sanitaria, sulla popolazione e sulla democrazia stessa.
Due grandi pensatori del 1600, Locke e Hobbes, hanno individuato come origine ipotetica dello Stato un patto, un contratto, che successivamente verrà maggiormente delineato da Rousseau, con la sua famosa opera Il Contratto Sociale. Hobbes parte da una visione antropologica negativa. Dato che ogni uomo è lupo nei confronti dell’altro, per poter vivere insieme in modo pacifico, una comunità si priva di determinate libertà assegnandole ad un individuo(il cosiddetto Leviatano), che, in cambio, garantisce il rispetto delle regole volte a permettere una convivenza pacifica tra i membri della propria comunità. Locke parte invece da una visione dello stato di natura dell’uomo più positiva, per cui il contratto sociale non è tanto effettuato per proteggersi dagli altri, ma piuttosto per una propensione degli individui al razionale e al libero riconoscimento all’autoconservazione, alle libertà e ai diritti. Questi due pensieri differiscono nel rapporto tra i cittadini e il depositario, o il garante, dei loro diritti naturali, il ché comporta l’evoluzione verso un diverso sistema politico. Ma ciò che li accomuna, invece, è che noi volontariamente cediamo delle nostre libertà e accettiamo di dover seguire delle regole, per permetterci di vivere insieme. Questo contratto sociale, un concetto astratto impossibile da collocare temporalmente, è la base di ogni Stato e di ogni comunità interna ad esso.
In questi ultimi mesi abbiamo notato una nuova forma di contratto sociale: un patto, o contratto, virale. Le autorità oggi dicono di rinunciare a viaggiare, ad organizzare eventi, ad andare al cinema o a ballare, per far si che possano proteggerci, non da un lupo, ma da un virus. Insomma, ci viene chiesto di rinunciare a delle nostre libertà, di consegnarle ad un’entità, che può essere un individuo, un gruppo o un’istituzione, per poter convivere in sicurezza come comunità. Il richiamo ad un nuovo particolare contratto sociale è, dunque, molto forte.
Quando vengono private delle libertà in una Democrazia delle persone si arrabbiano, accusano e arringhiano al colpo di stato, come è giusto che sia. Effettivamente, la logica del “se voi fate questo, allora noi facciamo questo” può essere letta, ed usata, come una minaccia. Ma non parrebbe questo il caso, per due ragioni.
Primo, questa è un’emergenza a tutti gli effetti, sia da un punto di vista della salute pubblica, sia da un punto di vista economico, e le emergenze e le crisi si affrontano con misure drastiche.Ci può essere poi un giudizio sulla proporzionalità delle misure adottate al problema alle quali sono volte. Tale giudizio richiede però una preparazione e una conoscenza molto elevata in campi quali medicina, biologia, amministrazione e sanità pubblica, e molti altri. Fortunatamente, la comparazione è uno strumento molto utile per coloro che non hanno le conoscenze su uno specifico argomento, ma vogliono comunque farsi un idea su di esso. Nel caso dell’efficacia delle misure restrittive volte al contenimento del virus possiamo confortarci. Ad oggi, osservando la situazione di certi paesi che hanno avuto un atteggiamento più distensivo verso il virus, possiamo dire che le misure adottate sono state efficaci in comparazione con quelle adottate da altri. Ciò ci può far capire che le restrizioni decise dal governo italiano fossero necessarie o, meglio, adeguate all’emergenza.
Secondo, il “se voi fate questo allora noi facciamo questo” tipo di logica può essere applicata a tantissimi casi. “Se voi pagate le tasse, allora noi creiamo infrastrutture”, “se tu non commetti reati, allora noi non ti mettiamo in galera” ecc… . Più che una minaccia, essa richiama un accordo, oppure, per l’appunto, un contratto. Un contratto prevede l’accettazione dello stesso da entrambe le parti. Ovviamente lo Stato possiede il potere coercitivo, quindi un’accettazione da entrambe le parti non è sempre richiesta, mentre in uno Stato democratico viene richiesta un’accettazione da parte della maggioranza, non per forza da un singolo. Ciò che trasforma questa privazione delle libertà da un comando ad un nuovo tipo di contratto sociale è la consapevolezza da parte dello Stato, democratico, dell’incapacità di far rispettare il comando. Nella pratica lo Stato infatti non può far rispettare le proprie restrizioni e leggi ovunque e in modo continuo. Non ne ha i mezzi. Per questo fa appello al senso civico dei cittadini. Quindi sono sì restrizioni imposte dall’alto, ma che richiedono un alto grado di accettazione da parte della popolazione per essere effettivamente efficaci. In fondo è proprio il senso di accettazione alla base di ogni legittimità, tra cui anche quella del potere politico. Così lo Stato richiede un nuovo contratto sociale.
Ora, dopo aver contestualizzato tali decisioni straordinarie prese dal governo italiano, è importante analizzare le possibili conseguenze di tali decisioni sulla nostra democrazia. Non è né per polemizzare, né per politicizzare. Sono state fatte scelte che ci privano di importanti libertà, è un dato di fatto. Strumentalizzare ciò è da opportunisti, ignorarlo è da irresponsabili.
Noi accettiamo di rinunciare a determinate libertà con la consapevolezza che, finita l’emergenza, le riotteneremo. È importante, dunque, in questa riflessione, il fattore temporale dell’emergenza. Nell’immaginario collettivo la fine dell’emergenza viene associata alla diffusione del vaccino, che sembrerebbe poter essere pronto ad inizio del prossimo anno. Ciò comporterebbe una privazione di libertà di una durata, approssimativamente, di un anno. La domanda da porsi è: “è sufficiente un anno di privazioni di libertà per cambiare il nostro modo di vivere e il nostro rapporto con lo Stato?”. È una domanda da pura speculazione alla quale rispondo con un’altra domanda: “quanto tempo serve per far si che lo straordinario diventi ordinario? Che l’anormale diventi il normale?”. Quando l’emergenza finirà e si avrà il vaccino, continueremo ad indossare le mascherine o a portarle fuori con noi in tasca? Si continuerà a mettere l’amuchina all’ingresso di ogni negozio? Si instaureranno comportamenti nuovi nelle nostre comunità che limiteranno le nostre libertà e muteranno il rapporto con lo Stato?
Per quanto riguarda l’ultima domanda, la risposta parrebbe negativa. Infatti anche questa situazione straordinaria d’emergenza rientra in qualche modo nel rapporto ordinario con lo Stato, tant’è che gli strumenti adottati dal governo con i quali hanno ridotto le nostre libertà sono previsti nella nostra Costituzione. C’è quindi già un accordo tra Stato e cittadini per far fronte, e con quali mezzi, a tali emergenze. Ovviamente rimarrebbe una grande prova per la nostra, e le altre, democrazie.
Forse il rischio più alto per le nostre democrazie è la possibilità di derive populiste. Il terrore e la frustrazione tra la popolazione per la crisi sanitaria, economica e l’esasperazione dovuta alla privazioni di certe libertà(che sono anche le più ludiche) costituiscono un terreno fertile per coloro che hanno come unico scopo quello di ingrossare le file del partito. Ciò che infatti si sta assistendo in tanti paesi è l’opportunismo delle opposizioni, di qualunque colore politico, per accrescere i propri consensi. “Avete chiuso troppo presto”, “avete chiuso troppo tardi”, “non dovevate fare questo” o “dovevate fare quest’altro” sono frasi che sono state sentite ovunque. Qui non si contesta la possibilità, anzi, il dovere di osservare e valutare l’operato del governo da parte delle opposizioni, senza la quale verrebbe a mancare un importante tassello della nostra democrazia. Si contesta la strumentalizzazione di tali accuse per il proprio interesse personale, piuttosto che quello nazionale. Si contesta l’atteggiamento di continua ed imperterrita opposizione, quando le situazioni d’emergenza richiedono cooperazione. Nel contesto italiano ciò che preoccupa è il supporto popolare che l’opposizione detiene, intorno al 40% dell’elettorato italiano. Se fosse protratta un opposizione irresponsabile, l’accettazione necessaria per il mantenimento del nuovo contratto virale potrebbe venir meno. A quel punto, o si ritorna ad un nuovo lockdown come conseguenza dell’aumento dei casi dovuti alla non osservanza delle misure, oppure si cambia contratto.
Detto ciò, non voglio nemmeno distogliere l’attenzione sull’argomento principale della riflessione dal governo alle opposizioni. Infatti, in tale circostanza, coloro a cui bisogna prestare maggiore attenzione sono coloro che in questo momento il potere lo detengono. Lo scopo di questa riflessione non è quello di urlare al colpo di stato, ma di mettere sull’attenti. In gioco ci sono libertà e diritti quali l’associazionismo e la libera circolazione. Un associazionismo ridotto, per la necessità di mantenere il distanziamento sociale, o modificato, basti pensare il grande utilizzo di piattaforme digitali, metterebbe a rischio il pluralismo sociale. Il diritto all’istruzione, il quale il governo sembrerebbe voler garantire in tutti i casi, è messo in discussione. È vero che verrebbe garantito online, ma chiunque abbia un minimo di giudizio capirebbe che non è la stessa cosa, e che il danno generazionale si vedrà in futuro. Così come per le università, le quali saranno per molti studenti online in tutti i casi. Ci sono altri diritti e libertà in gioco, quali la libertà di culto in luoghi religiosi, la possibilità di partecipare ad attività sportive ecc…
È fondamentale, dunque, non diventare acquiescenti difronte a qualsiasi futura decisione del governo. Il fattore temporale, come detto, è importante. Il tempo può corrodere la memoria e la propria concezione e prospettiva del normale. Se lo straordinario diventasse l’ordinario, allora sì che si avrebbe un mutamento profondo nei rapporti tra cittadini e Stato e tra cittadini e Democrazia, se di Democrazia si potrà ancora parlare.