Wislawa Szymborska non si vuole definire ma i lettori conoscono bene il suo posto nel mondo. Premio Nobel per la letteratura 1996 ma tutt’ora ampiamente ricercata da giovani, adulti e vecchissimi seguaci. Così le sue poesie si raccolgono tra serate di letture poetiche, recensioni del Times, canzoni, prose narrative e tutte dettate da una straordinaria qualità. La penna polacca ha scritto una delle cento migliori poesie del secolo e miracolosamente trae, dalla moltitudine, la singolarità dell’individuo – sì, anche da te – e rende colloquiali temi profondamente pericolosi per l’essere umano.
Quattro miliardi di uomini su questa terra, \ ma la mia immaginazione è uguale a prima. \ Se la cava male con i grandi numeri. \ Continua a commuoverla la singolarità. (Wislawa Szymborska, Grande numero)
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA DEFINIZIONE
Se si chiedesse un’intervista a Wislawa Szymborska, lei fisserebbe il giornalista proprio come Karenin, il cane nel libro di Milan Kundera, osserva con la testa girata la padrona Tereza in cerca di spiegazioni. L’autrice non vuole denominare la sua poetica e neanche descrivere che cosa sta scrivendo: qualsiasi frase fuori posto potrebbe improvvisamente slegare il lettore dal suo patto invisibile con Ogni caso, Monologo per Cassandra o Discorso all’Ufficio oggetti smarriti. La scrittrice afferma che “tutto è mio, niente mi appartiene, nessuna proprietà per la memoria, e mio finchè guardo“: non possiamo chiederle una definizione, è chiaro il suo grido per realizzare l’immedesimazione con la raccolta.
HA VINTO IL NOBEL UNA SCONOSCIUTA!
Una poesia che, con ironica, precisione, permette al contesto storico e biologico di venire alla luce in frammenti d’umana realtà. E’ il 1996 e nella stampa italiana corrono voci su un Premio Nobel per la letteratura assegnato a un’autrice polacca: Ha vinto il Nobel una sconosciuta! Considerata dalla critica della sua nazione una delle più straordinarie penne, ma nota in Italia solo per il volumetto Gente sul ponte (edizione Libri Scheiwiller). In punta di piedi la Szymborska estende il suo eco scavalcando i trafiletti delle antologie e venendo nominata al Salone del Libro di Torino, riconfermandosi intanto tra le case editrici del panorama europeo. Eppure già da tempo la sua terra madre rincorreva le sue prime raccolte – da lei poi misconosciute, anche se sue – prima portatrici dei fardelli dell’avanguardia di Cracovia e dell’esperienze di guerra ma poi divenute, con Appello allo Yeti e Sale, rivoluzionarie dei canoni retorici, stilistici e letterari della poesia contemporanea del Novecento.
(..) Dell’ “autorisadismo” (sic!) dell’uomo sull’uomo.
Nell’opera traspare un intento morale.
Forse sotto una penna meno ingenua avrebbe sfavillato.
Purtroppo, ahimè. Questa tesi fondamentalmente
azzardata
(se alla fine noi fossimo soli
sotto il sole, sotto tutti i soli dell’universo)
e il suo sviluppo in uno stile disinvolto
(un misto di solennità e linguaggio comune)
obbligano a chiedersi chi possa crederci.
Certamente nessuno. Appunto.
(W. Szymborska, Recensione di una poesia non scritta da Grande numero)
SZYMBORSKA, SEI COSI’ POP!
Un libricino di poesie della scrittrice polacca cade dalla borsa della piccola ladra nel film Cuore sacro di Ferzan Ozpetek e continua il suo fedele traduttore Pietro Marchesani:
in altri Paesi, sue poesie o citazioni dei suoi versi compaiono in riviste femminili di grande tiratura, nella pubblicistica, nei necrologi, nei discorsi di politici, in opere narrative (come “Stanza 411” di Simona Vinci) o nelle canzoni di Jovanotti (Buon sangue: “Si nasce senza esperienza, si muore senza assuefazione”)».S.C.
Nei social, almeno una volta ti è capitato di leggere (senza sapere fossero proprio di Lei): frammenti delle sue riprese anaforiche, domande a cascata e parallelismi. Stiamo svalutando la sua forza poetica? Assolutamente no, è questo il miracolo del parlare della Szymborska. Rifiuta il sublime e odia il banale, diffondendosi nei più noti canali di comunicazione. E’ in grado di scrivere con naturalezza della pesantezza di Un parere in merito alla pornografia mentre concilia il significato profondo di Scrivere un curriculum: alterna campi semantici del quotidiano con riferimenti spiazzanti e inaspettati, sempre per esprimere tematiche intime e universali.
IL MIRACOLO NORMALE DELLE PAROLE
Pietro Marchesani (1942-2011) traduce la Szymborska quasi come se parlasse con lei una terza lingua non prevista: la connessione tra il tono colloquiale di Lei e l’austera parola proposta da Lui, rendono la traduzione italiana delle sue raccolte una corrispondenza autentica e completa. Il traduttore, nell’introduzione de La gioia di scrivere (tutte le poesie di W.S.), riconosce l’incredibile profondità, acutezza e sacralità dei suoi versi all’interno di un linguaggio quotidiano, ma accostato in modo da creare le immagini vere e proprie delle sensazioni, luoghi ed esistenze del lettore, insieme a uno spessore letterario – ed esistenziale appunto – mai visto.
Senza aggiungere anche la chiarissima padronanza degli strumenti linguistici: ritmi verbali e metrici, colloquialismi, neologismi, scansioni ritmiche e figure retoriche inaspettate. Una poesia riflessiva e perfettamente emblematica di un nuovo modo di fare poesia che sconvolge la critica contemporanea.
IL DETTAGLIO DELL’OGGETTUALITA’
Ogni spazio, Due punti, Qui sono solo alcune delle dodici raccolte che insistono sulla rappresentazione della singolarità delle cose tramite un’attenta e insolita descrizione dell’oggettualità – in sè – di ciò che abbiamo davanti. Potrebbe sembrare ostica questa affermazione e invece diventa totalmente immediata alla lettura di una sua poesia: i suoi versi sono stati indicati anche come indiretti saggi filosofici, a proposito non solo della percezione dell’esistenza ma anche delle cose. Il lettore non si rivolge alla poesia, ma all’oggetto stesso e alla dimensione che crea la penna: un’immediata corrispondenza tra luoghi figurati, spazi interiori e una somma di piccole cose della quotidianità che non avevi mai letto in quel modo. Un album domestico, un vetrino, dei pesci rossi e una Musa in collera sono descritti senza artifici, rifiutando il sublime e odiando il banale: mostrati nella loro nuda vita, si tratta di un’apparente semplicità rivelatrice di una complessità così chiara e spaventosa.
Sono quella che sono.
Un caso inconcepibile
come ogni caso.In fondo avrei potuto avere
altri antenati,
e così avrei preso il volo
da un altro nido,
così da sotto un altro tronco
sarei strisciata fuori in squame. (..)Anch’io non ho scelto,
ma non mi lamento.
Potevo essere qualcuno
molto meno a parte.
Qualcuno d’un formicaio, banco, sciame ronzante,
una scheggia di paesaggio sbattuta dal vento.Qualcuno molto meno fortunato,
allevato per farne una pelliccia,
per il pranzo della festa,
qualcosa che nuota sotto un vetrino.Un albero conficcato nella terra,
a cui si avvicina un incendio.Un filo d’erba calpestato
dal corso di incomprensibili eventi. (..)E se nella gente destassi spavento,
o solo avversione,
o solo pietà? (..)Poteva essermi tolta
l’inclinazione a confrontare.Potevo essere me stessa – ma senza stupore,
e ciò vorrebbe dire
qualcuno di totalmente diverso.(Nella moltitudine da Attimo, traduzione di P. Marchesani)
NELLA MOLTITUDINE
Appello allo Yeti chiude il rapporto di W.S. con il comunismo ma non mette da parte i temi storici civili – tra i quali l’espressa incapacità dell’autrice di riuscire a individuare parole per descrivere i crimini nazisti dicendo proprio nel Cerco la parola: “non riesco a trovarla, non riesco” – affinando l’idea di cogliere quel dettaglio mostruoso e che rimane impresso all’ascoltatore di qualsiasi fatto di cronaca (Fotografia dell’11 settembre): è lì che avviene anche la tua tragedia individuale e non si cade nella assuefazione causata dalla vista giornaliera di sequenze di dolore. Ma torniamo agli ultimi temi. Con sottile ironia- dicono che la Szymborska era divertente e riservata – aggiunge l’amore, la vita, la morte anche parlando di Un gatto in un appartamento vuoto o di Un feticcio di fertilità del Paleolitico. Intanto continua a soffermarsi sulle singolarità: nel Silenzio delle piante, un pino, una foglia o un acero hanno una loro voce e un posto in questa esistenza.
FENOMENOLOGIA DELL’ESISTENZA IN UN ATTIMO
Se Louise Glück, Premio Nobel per la Letteratura 2020, si chiede perchè amare ciò che perderai, Wislawa Szymborska ricalca lo stupor mundi dell’uomo vivo, per caso, sulla terra e miracolosamente accetta quell’attimo – lei aggiunge: “sei bella, dico alla vita” – e lo ricorda negli spazi delle sue righe. E non è un caso se si identifica anche nelle parole dell’altro Nobel per la Letteratura (1980), suo connazionale Czesław Miłosz, il quale sosteneva che bisogna cogliere l’attimo per trovare la propria dimora nell’adesso: tutto questo è il senso profondo della sua poetica che non vuole definirsi. Nelle raccolte di W.S. si crea un “io” che si estende a un “noi” universale e la sua poesia riconosce il miracolo del particolare di ogni elemento, vivente o no: e riconosce anche noi, lettori, piccoli e fondamentali, nella moltitudine.
Alcune fonti sono state tratte da Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere, tutte le poesie (1945-2009) con traduzione e introduzione di Pietro Marchesani