Se l’Italia fosse una chiesa ed il giornalismo italiano il prete sull’altare, saremmo a quel punto della messa in cui i cittadini – pardon, i fedeli – salutano con un alleluia l’arrivo del messia.
Nelle ultime settimane il livello del dibattito è stato infatti pressappoco questo e tutti ci siamo resi conto dell’incredibile necessità, spegnendo le candeline di un anno di pandemia, di sapere cosa Draghi mangia a colazione, se assomiglia più a Ronaldo, Totti o Ibrahimovic e se va al bagno tra una pausa e l’altra del suo discorso d’insediamento.
Sembrerebbero iperboli ma non lo sono.
Sembrerebbe questa una critica a Draghi ma non lo è.
È tutto ciò che sta attorno ad essere scaduto ad un livello di commedia tale da essere sforato a pieno titolo nell’area del tragicomico. Per rubare una frase non certo inventata da chi scrive, “la situazione è grave, ma non è seria”.
La mossa dell’asino
Con la fine del 2020 è nata la crisi di governo. Tra una dichiarazione e l’altra alla stampa Italia Viva ha cominciato a manifestare malumori sempre più insistenti. Strappi e poi rattoppi alla bell’e meglio. Colpi al premier ed ultimatum.
Si è arrivati così all’allucinante conferenza stampa del 13 Gennaio in cui Matteo Renzi ha dimesso le sue ministre che sedevano al suo fianco immobili come comparse passive di un copione scritto e diretto da altri. In un paese serio e con dei ministri degni di questo ruolo, Bellanova e Bonetti avrebbero spiegato personalmente le ragioni di quell’atto così importante e se ne sarebbero assunte la responsabilità.
E invece no, dopo tre quarti d’ora di diretta parlava ancora Renzi che spiegava con un complesso sistema di specchi e leve come far cadere un governo criticando il Presidente del Consiglio sul metodo e non nel merito.
E allora ecco i motivi ufficiali della crisi: Conte si opponeva al MES che invece per il paese era indispensabile; Conte si teneva la delega ai Servizi e questo non andava bene; Conte saltava i pre-consigli dei Ministri.
Cosa si può dire oggi ad un mese di distanza? Draghi non prenderà il MES e Italia Viva ha dichiarato per mezzo del proprio capogruppo al senato Faraone che “è Draghi il nostro MES” (la situazione si commenta da sola). Draghi non ha nemmeno affidato ad altri la delega ai Servizi, che si è tenuto. I pre-consigli dei Ministri non sappiamo se ora vengono rispettati (parliamoci chiaro: questa è roba importante sì ma da addetti ai lavori); tuttavia detto da un Renzi che da Premier andava in conferenza stampa con tanto di presentazioni powerpoint già pronte a decantare decreti che non aveva ancora nemmeno discusso e votato in CdM, francamente è un po’ grottesco.
Ma tant’è.
È nato il governo Draghi alleluia, alleluia.
Fondatezza o meno dei motivi, è nato il governo Draghi. Questa è la democrazia, ed è giusto e legittimo che sia così.
Rimane però nelle orecchie il fischio di una eco di Mario Draghi cominciata a risuonare da mesi (addirittura prima della pandemia) e quindi precedente alla stessa crisi di governo. Draghi è da sempre, senza dubbio, un uomo di incredibile competenza ed esperienza, non nuovo alla gestione di denaro e crisi preoccupanti. Il suo whatever it takes, frase iconica che ultimamente hanno imparato a dire pure i bambini è senz’altro la conseguenza della sua enorme levatura.
Ed il giornalismo nostrano è sempre stato sedotto dall’ipotesi di vederlo a Palazzo Chigi. Non c’è bisogno di fare assidue ricerche su Google per ritrovare qualche articolo più risalente che avanza la figura di Draghi come premier, né si può negare che l’enorme camera di risonanza che ha avuto negli ultimi mesi l’abbia elevato al ruolo (forse da lui nemmeno cercato) di salvatore.
I più audaci ipotizzano un’influenza che sarebbe arrivata a livelli tali da “contagiare” pure il Quirinale e portare Mattarella ad affidare l’incarico a Draghi proprio in ragione di questa campagna di sponsorizzazione senza precedenti.
Elucubrazioni a parte la classe giornalistica tutta dovrebbe iniziare fin da subito un enorme percorso di meditazione sulla propria gestione dell’informazione pubblica e della strumentalizzazione di figure e notizie.
Come si spiega allora tutto a un tratto lo sgonfiarsi della bolla di polemiche sui colori delle zone del paese, sulle chiusure, sui settori in difficoltà, sui vaccini? Come d’incanto è sparita quell’aggressività, quella ricerca del capro espiatorio a tutti i costi.
Il venir meno di questa situazione di esasperazione (che certo rimane nel paese reale, ma sembra essersi attenuta nei mezzi di informazione) è senz’altro una buona notizia che fa bene a tutti.
Ma perché ora e non prima?
Se ad ogni crisi riscopriamo il bisogno di un salvatore
Il ragionamento va portato ad un maggiore livello di profondità.
L’invocazione di Draghi come “salvatore” è un fallimento della politica tutta e non è nemmeno qualcosa di nuovo: accadde lo stesso con Monti in piena crisi del 2008. Anche allora i giornali decantavano i sondaggi che davano sopra il 30% un eventuale partito dell’allora premier.
La storia è finita per essere leggermente diversa, ma non è questo il punto.
Quello su cui bisogna riflettere è la puntualità con la quale questo processo accade. Per usare impropriamente formule scientifiche: data una determinata crisi x si ottiene sempre la soluzione y, e cioè un governo tecnico. Ed ecco allora che ciclicamente l’Italia riscopre la necessità di essere salvata.
Ma non dovrebbe essere un compito della politica questo? Non dovrebbero essere i rappresentanti dei partiti che noi tutti votiamo ad individuare modi e mezzi per gestire i momenti di difficoltà?
In altri termini: una classe politica che pesca dall’esterno chi la deve traghettare è una classe politica che ha fallito e lo sta ammettendo – si sdoganino pure termini giuridici – per fatti concludenti.
Questa prassi finisce però per dar vita ad un messaggio pericoloso: non sono le idee ma le persone a salvare il mondo. Detta diversamente: il ruolo della politica ne esce ulteriormente incrinato nella sua legittimità agli occhi dei cittadini. A cosa serve in fondo un sistema rappresentativo quando i cittadini non si sentono rappresentati?
Serve invertire al più presto questa pericolosa tendenza di pensiero.
Il governo dei migliori
Al sogno Draghi per settimane si è accompagnata l’aspirazione di arrivare ad un cosiddetto “governo dei migliori”. Poi leggi la lista dei ministri e storci il naso. Leggi quella dei sottosegretari ed ogni dubbio trova conferma.
No, questo non è un governo esclusivamente di personalità competenti e “migliori”; piuttosto è un governo, per la maggior parte, di personalità punto. Uomini e donne ai vertici dei propri partiti di espressione e per questo buttati sul carro del nascente esecutivo. E tanti saluti alla competenza: questa sembra essere stata piuttosto una pragmatica operazione di auto-riciclaggio.
C’è da capire: il mondo dell’informazione ci credeva davvero in questa favola?
Quindi… che dire su Draghi?!
La critica al modus procedendi con il quale si è arrivati alla nascita e poi formazione dell’attuale governo non vuole essere una critica al governo in sé il quale si è insediato da poco ed avrà modi e tempi per dimostrare eventuali meriti o demeriti.
Vuole piuttosto essere uno spunto di riflessione sul livello del dibattito pubblico in Italia e sulla sua gestione da parte non solo della politica ma anche e soprattutto dei mezzi di informazione.
La gestione della pandemia e la scrittura del Recovery Plan ci diranno se in fondo, tutto questo entusiasmo a scatola chiusa, in realtà era fondato.