Il terzo disco ufficiale di Irama, Il giorno che ho smesso di pensare, ci dimostra come anche generi blasonati o considerati “inferiori” o “monotoni” come il reggaeton possono essere fatti con gusto e classe. Inoltre, il cantato raggiunge livelli molto alti, tanto da reputare il suo timbro uno dei più interessanti in Italia al momento.
Una gestazione travagliata
Il disco esce a distanza di ben quattro anni dal precedente Giovani e ci sono stati numerosi “falsi allarmi” ad anticiparne l’uscita. Come da tradizione, dopo la partecipazione a Sanremo 2021 con il brano La genesi del tuo colore (videoclip) ci si aspettava l’uscita del disco nelle settimane immediatamente successive alla kermesse sonora.
In realtà l’artista non ha rilasciato alcun nuovo progetto, e quel brano, come l’ultimo singolo uscito a inizio estate, Melodia Proibita (videoclip), non è presente nella tracklist dell’ultimo disco. Questo fa pensare ad un cambio di rotta nel corso della produzione; oppure, più semplicemente, i brani in questione non hanno trovato il giusto spazio nel nuovo prodotto.
La sorpresa
Fino all’uscita di La genesi del tuo colore il mio rapporto con la musica di Irama era sempre stato di totale indifferenza. Buon autore di hit estive ma a livello musicale sempre molto piatto e nel suo repertorio solo canzoni eccessivamente melense. Quel pezzo però era forte, incredibilmente orecchiabile, mentre l’utilizzo del vocoder nel ritornello era interessantissimo.
Così, iniziai ad avere aspettative, che si semi riconfermarono con l’uscita di Ragazzi della nebbia (visual) nel disco di Mace e con Melodia proibita. Il pezzo ricordava sì vecchi brani come Nera (videoclip) o Mediterranea (videoclip), ma il comparto sonoro offerto da Dardust era molto più ricercato del classico pezzo estivo.
Quello che stavo ascoltando era un altro Irama rispetto a quello a cui ero stato abituato. E non potevo che esserne contento. Sarà questo nuovo lavoro all’altezza delle aspettative?
Le tracce
Il disco è composto da 13 tracce, e conta tra i suoi produttori molti nomi noti nel panorama italiano. Il già citato Mace, Shablo e il novizio Junior K, produttore ufficiale di Sfera Ebbasta dopo Charlie Charles. Storici collaboratori quali Nenna e Debernardi e nomi meno noti come FaraOne (pseudonimo da produttore di Luca Faraone, chitarrista ufficiale di Rkomi) e Itaca.
Grande assente Dardust, autore di alcuni di quelli che reputo i suoi pezzi migliori. Numerose anche le collaborazioni con artisti della scena rap quali Sfera Ebbasta, Rkomi, Lazza e Guè e con presenze estere del calibro di Willy William e Epoque. Analizziamo i brani singolarmente:
1. Sogno fragile
Il disco si apre con una intro dall’atmosfera monumentale, in cui Irama inizia a dar prova del suo incredibile miglioramento nel cantato rispetto al lavoro precedente. Il suo timbro graffiato e potente descrive la situazione onirica ed estatica di cui è protagonista.
L’artista rappresenta la figura di una possibile donna amata (lo si intuisce dal riferimento alla schiena) o molto semplicemente di una rappresentazione extracorporea generatrice di luce. Buona la produzione, non condivido la scelta delle batterie.
2. Baby – Capitolo XI
Passiamo ad uno dei punti più alti del disco, dove troviamo una produzione dalle influenze country rock molto ispirata, con delle belle chitarre e una batteria quasi tuonante. Ma la vera gemma del pezzo è proprio Irama, che fa una prestazione vocale spaventosa, bellissime linee melodiche e controllo della voce da manuale.
Mi ricorda notevolmente Steven Tyler degli Aerosmith, con questo grattato pieno e su alte tonalità. Notevole il riff finale quando il pezzo esplode e le batterie salgono di intensità. Testo semplice ma coerente con l’atmosfera, diciamo che ascoltando Irama mi concentro più sul sound che sulle liriche, tranne rari casi.
3. Una lacrima (feat. Sfera Ebbasta)
Subito dopo uno dei brani più riusciti del disco, ecco uno dei peggiori. Su una produzione basica reggaeton di Junior K, incredibilmente piatta e generica, Irama fa una prestazione nonostante tutto sufficiente, come in tutto il disco.
Il problema è proprio il sound generale del pezzo, che oltre ad avere la sua collaborazione, si sente il timbro di Sfera in tutto il pezzo. Il risultato? Una canzoncina pseudo-orecchiabile e a tratti stucchevole. Sfera anonimo, come da un po’ di tempo a questa parte, ma sinceramente pensavo peggio. Apprezzabile l’idea di dividere il ritornello tra i due artisti.
4. 5 Gocce (feat. Rkomi)
Il disco prosegue con 5 gocce, a sorpresa brano dalle atmosfere 80’s in un impeto di rivoluzione e follia. Questa scelta originalissima è anche realizzata nel migliore dei modi, con un’altra produzione sempre a cura di Junior K, che sembra uscita direttamente dagli scarti degli scarti di After Hours.
La linea di Synth è evidentemente la prima che si può trovare cercando la parola “sintetizzatore” su FL studio. Irama riesce comunque a salvare il pezzo, con un ritornello molto orecchiabile. Rkomi invece lascia l’amaro in bocca, con una strofa non insufficiente, ma nemmeno degna di nota.
5. Como te llamas (feat. Willy William)
Una dei brani reggaeton più interessanti del lotto. Su una produzione dalle atmosfere caraibiche, il solito ritmo ripetitivo “tum pa tum pa tum” viene stravolto da queste batterie aggressive e dirompenti, che incitano alla movida. Irama riesce a cavalcare il beat nella maniera più naturale possibile, è evidente che questo sia il suo mondo.
Willy William invece scade nell’autoplagio, richiamando troppo evidentemente il suo successo del 2015 Ego. Chiara la volontà di citarsi, ma davvero troppo simile per riuscire a farlo in maniera originale.
6. Yo quiero amarte
Platealmente il miglior brano del disco. Su una bellissima produzione di Shablo e FaraOne dalle incursioni flamenco Irama fa nuovamente una prestazione ottima a livello vocale e di composizione.
Le atmosfere del pezzo sono un omaggio palese a Rosalìa, soprattutto del suo secondo lavoro El Mal Querer e non nascondo che l’idea di una possibile (anche se decisamente improbabile) collaborazione mi interessa non poco.
Appare sempre più evidente che un bravo artista sa riportare i suoi ascolti nella musica, e il buon gusto sicuramente aiuta. Menzione d’onore ai cori femminili presenti nel ritornello, che intensificano l’atmosfera spagnoleggiante e rendono ancora più credibile il tutto.
7. Una cosa sola
Ci troviamo nuovamente di fronte ad un altro pezzo reggaeton molto blando. Irama utilizza nuovamente linee classiche ma funzionanti. Il beat però risulta molto piatto e non basta il campionamento iniziale a renderlo ricco. Però il pezzo è complessivamente godibile, solo un po’ anonimo.
Il vero problema è che ricorda eccessivamente altri pezzi del suo repertorio come Crepe (videoclip) e Luna Piena (visual). Ma è ancora meno incisiva di queste citate.
8. Colpiscimi (feat. Lazza)
Un altro dei pezzi più interessanti del disco. Il Re mida dei nuovi producer Italiani, Greg Willen, realizza un bel beat boom bap dalle batterie piene e vive. Irama rappa in maniera esemplare e regala alcune tra le barre più interessanti che abbia sentito ultimamente, forse l’unico pezzo dove il pregio sta proprio nelle liriche.
Lazza fa un ritornello non troppo entusiasmante, ma quando tratta tematiche personali nel suo rappato si dimostra come sempre valido, tralasciando qualche gioco di parole non particolarmente brillante. Apprezzabile anche la citazione a Salmo, che dimostra quanto al di là dei gusti Lazza si dimostri sempre in costante ammirazione dei veterani della scena.
9. Iride (feat. Guè)
Mace alle produzioni sinonimo di qualità. Infatti il beat è discreto, ripropone di nuovo lo stesso stile reggaeton classico di altri brani del disco ma con una scelta delle batterie e dei suoni in generale più di classe.
Irama fa nuovamente una buona prestazione, ma di fatto il pezzo è complessivamente inutile. Guè fa Guè, e anche la sua strofa è decisamente sottotono. Pezzo ok, ne più ne meno. Forse meno.
10. Goodbye
Un brano molto drammatico, ma senza scadere nel melenso. Frasi come I miei si sparano, ma non si separano / Sto dentro un baratro, stretto come un barattolo sono effettivamente un pugno allo stomaco; e Irama riesce nuovamente a superarsi a livello vocale.
Bella la produzione piano voce, soprattutto con l’ingresso delle batterie nella seconda parte. Unici nei: il fatto che il brano sappia troppo di ultimo brano del disco e che sul finale si tronca bruscamente.
11. Moncherie (feat. Epoque)
Il brano presenta la collaborazione di Epoque, cantante italo-congolese, e ha un sound tipicamente francese. La ragazza ha un bellissimo timbro, ma non riesco ad apprezzare il sound del ritornello. Bella la produzione, notevole l’assolo di sax finale e i vocalizzi di Epoque veramente di classe. Irama fa il suo, complessivamente però il pezzo non è niente di memorabile.
12. È la Luna
Pezzo discreto, belli di nuovo gli accenni di flamenco come in Yo quiero amarte, e le nacchere che danno notevole ritmo al pezzo. Importante la durata: il pezzo infatti si tronca nel momento in cui rischia di diventare ripetitivo. Voto complessivamente positivo.
13. Ovunque Sarai
Il disco si chiude con l’ottimo pezzo di Sanremo 2022, un’intensa ballata piano e voce dove Irama tocca vette altissime a livello di interpretazione. La chicca del pezzo è però la produzione con un arrangiamento maestoso dominato dagli archi.
Molto sentito il testo, dedicato alla nonna defunta. Anche come conclusione del disco funziona discretamente, nonostante si scontri inevitabilmente con il resto.
Conclusioni
Nonostante non pochi problemi a livello di collaborazioni e di scelta delle produzioni, Irama riesce a produrre un lavoro compatto e maturo, che lascia ancora intravedere miglioramenti, nonostante questo processo sia già iniziato da un paio di anni.
L’artista ha le idee chiare sul proprio percorso e di questo passo potrebbe dare nuova linfa alla musica latina in Italia senza scadere nel già sentito e nel banale. A livello di cantato poi sta raggiungendo livelli altissimi. Abbiamo visto anche a Sanremo come fosse uno dei più preparati dal punto di vista tecnico, se non il più preparato.
Auspico solo ad un ritorno di Dardust in future collaborazioni, perché credo abbia bisogno di una figura del genere, che lo indirizzi verso un’idea di sound genuino, evitando il piattume o delle mode poco ispiranti.
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Marco Moncheroni