Poco più di un mese fa ho terminato i miei studi, laureandomi in Economia Politica a Bologna. Nel corso dei miei anni di formazione, ho avuto la fortuna di beneficiare delle risorse che il governo e le regioni destinano al diritto allo studio universitario (DSU). Tra queste, la principale, è la c.d borsa di studio regionale (BDS).
Ci sono però anche altri tipi di sussidi, tra cui posti alloggio, spese per trasporti e finanziamenti per periodi di studio all’estero. I fondi destinati al DSU sono pensati, come si legge sul sito del MIUR, “per promuovere la possibilità di proseguire gli studi a chi si trova in una condizione economica svantaggiata, arrivando a garantire, a chi risulta idoneo ai benefici, la gratuità dell’iscrizione, insieme ad un sostegno economico a studentesse e studenti per affrontare le spese di questo percorso”. Garantiscono, di fatto, la possibilità di studiare e vivere lontano da casa a chi non potrebbe permetterselo senza un contributo esterno. Il DSU rappresenta una grandissima conquista a livello sociale ed è una importante forma di redistribuzione delle risorse a livello intergenerazionale.
Ma qual è lo stato attuale del diritto allo studio universitario in Italia? Le risorse destinate al diritto allo studio sono aumentate o diminuite nel corso degli ultimi anni? In che posizione si trova l’Italia rispetto ai suoi partner europei? In questo articolo, proveremo a dare risposta ad alcune di queste domande.
Il diritto allo studio universitario e il report del MIUR
Il DSU trova fondamento in due articoli della costituzione, precisamente gli articoli 3 e 34. L’art. 3 “affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”; l’art. 34 prevede che “i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.
Il MIUR offre ogni anno un report sullo stato del diritto allo studio universitario in Italia. Il più recente, disponibile dal 14 aprile scorso, fa riferimento all’anno accademico 2021-22. Il documento fornisce molte informazioni non solo sui fondi erogati ma anche sulle strutture erogatrici, confronti tra le singole regioni e dati relativi agli anni precedenti. Chiunque fosse interessato ad una lettura dettagliata, può trovare a questo link il report completo. In questo articolo mi limiterò a riportare i tratti salienti e a fornire alcune considerazioni.
Distribuzione fondi e borse di studio
Concentriamoci innanzitutto sulla distribuzione delle risorse tra tutti gli interventi messi in campo. Nell’anno accademico 2021-22 la spesa destinata al DSU è stata di circa 825 milioni di euro. Di queste risorse, il 75,4% è stato destinato alle borse di studio (BDS), mentre il 24,6% ad altri sussidi. Tra questi ultimi, la voce principale è relativa a posti e contributi alloggio, cui seguono, in proporzione minore, premi per conseguimento titolo e contributi trasporto. Data la netta preponderanza all’interno del paniere dei finanziamenti, nei prossimi paragrafi ci concentreremo esclusivamente sulle BDS.
Quando si parla di BDS, è necessario specificare che ogni regione eroga BDS per tre importi diversi a seconda che uno studente sia in sede, pendolare o fuori sede. L’importo è maggiore per i fuorisede e minore per chi studia nella propria città di residenza. Per quel che riguarda la spesa complessiva, va segnalato un dato positivo. Le risorse destinate alle BDS sono aumentate del 37,5% negli ultimi 5 anni. L’ultimo dato disponibile, quello relativo al 2021, indica una spesa di 775 milioni di euro destinata a BDS, contro i 564 milioni del 2017. Nell’anno accademico 2021-22 il numero di borse di studio concesse è stato di 238.357, che hanno coperto il 97,9% degli aventi diritto. Ancora una volta, guardando ai dati degli ultimi 5 anni, si evidenzia un trend complessivamente favorevole. Difatti, dall’anno accademico 2017-18 il numero di borse erogate ed il numero di idonei sono aumentati sensibilmente, rispettivamente del 24,8% e del 24,4%. Ciò sta a significare che, ceteris baribus, ad essere aumentati sono sia le risorse destinate alle borse di studio sia la platea dei beneficiari.
Bisogna tuttavia segnalare che, rispetto all’anno accademico 2020-21, si è assistito ad un calo sia delle borse erogate che della copertura degli aventi diritto del 2%. Un dato, questo, che non compromette la tendenza positiva degli ultimi 5 anni, ma che preoccupa e mantiene vivo il tema dei c.d idonei non vincitori, ovvero tutti quegli studenti in possesso dei requisiti per ottenere la BDS ma che, per mancanza di fondi, non riescono ad ottenere il contributo.
Le differenze regionali
L’erogazione delle BDS è di competenza regionale. Le regioni individuano gli enti erogatori, decidono le risorse da destinare al DSU e le soglie per accedere ai contributi. Non stupisce dunque che tra le singole regioni intercorrano sostanziali differenze.
Quasi tutte le regioni del centro-nord presentano un rapporto di copertura tra idonei e vincitori del 100%, eccezion fatta per il Veneto (93,7%). Diverso il discorso per il sud, con Abruzzo, Molise e Sicilia sotto la soglia del 90% e con la Calabria che si attesta al 94,9%. Dati poco rassicuranti per il Mezzogiorno, soprattutto se confrontati con l’anno precedente. Per le Isole, si assiste ad una diminuzione del 2,5% degli idonei vincitori rispetto all’anno precedente. L’intera diminuzione è da attribuire alla regione Sicilia, visto che in Sardegna il rapporto di copertura è rimasto del 100%. Possono sembrare numeri astratti, eppure quella che in percentuale sembra una piccola riduzione, sta a significare che nella sola Sicilia, a distanza di un anno, 5873 studenti idonei non hanno ottenuto il contributo che gli spettava. La riduzione più drammatica è tuttavia quella dell’Abruzzo, dove nell’arco di un solo anno si è passati da un tasso di copertura del 100% ad uno dell’88,2%.
La spesa media per studente
Altro indicatore rilevante nei confronti regionali è il numero di euro spesi in media per singolo studente. In questo caso le differenze sono ancora più accentuate. Guardando ad un confronto tra macroaree ci accorgiamo di come uno studente frequentante un corso di laurea in Sicilia o in Sardegna riceva in media 837 euro in meno rispetto alla media nazionale e ben 1324 euro in meno rispetto ad uno studente di un’università del centro Italia. Se ci concentriamo sulle singole regioni la situazione è ancora più grave, con regioni quali la Basilicata e la Sicilia che spendono rispettivamente 1711€ e 1496€ in meno rispetto alla media nazionale per singolo studente.
Va altresì segnalato che queste differenze dipendono in buona parte dallo status degli studenti delle singole regioni. Difatti, l’importo medio delle borse è maggiore se una percentuale elevata di studenti regionali è fuorisede. Di conseguenza, regioni in cui il numero di studenti fuorisede è basso presentano una spesa media inferiore. Ciò non toglie che gli studenti del Mezzogiorno e in particolare delle Isole si trovino in una posizione svantaggiata rispetto al resto del Paese.
Il confronto con i paesi europei
Per concludere, come si posiziona l’Italia nelle politiche di diritto allo studio rispetto al resto dei paesi UE? Purtroppo, la risposta è tutt’altro che incoraggiante. Stando ai dati Eurostat, nel 2020 l’Italia si è posizionata all’ultimo posto nei paesi europei per la spesa per istruzione terziaria, investendo nel diritto allo studio universitario lo 0,6% della spesa pubblica, contro una media europea dell’1,6%. Questo dato negativo si inserisce nel più generale contesto della spesa per istruzione in Italia, che rappresenta l’8% della spesa pubblica totale, contro una media europea ancora una volta superiore (10%). Il dato è ancora più deludente se confrontato con quello di paesi come l’Estonia, che investono il 15,5% della propria spesa pubblica in istruzione, il doppio rispetto al nostro paese.
Conclusioni
Insomma, a seconda della prospettiva con cui la si guarda, la situazione del DSU in Italia può suscitare sentimenti di cauto ottimismo e allo stesso tempo di disillusione. Da un lato, l’aumento di risorse e l’estensione della platea dei beneficiari verificatesi negli anni recenti è incoraggiante. Si tratta di un primo passo importante, nella direzione del principio dell’uguaglianza formale e sostanziale garantito dalla costituzione. Sotto il velo dell’apparenza, si nascondono però sostanziali disuguaglianze non ancora colmate.
Ad oggi, in media e fatte salve le dovute differenze tra numero di studenti in sede, pendolari e fuori sede, un ragazzo o una ragazza che studiano a Palermo ricevono importi di 2100€ in meno rispetto a chi studia ad Ancona e 1319€ in meno rispetto a chi studia a Bologna. In più, a regioni che garantiscono una copertura totale dei beneficiari si associano realtà come quella abruzzese o molisana in cui quasi uno studente su sei non riesce ad ottenere i sussidi a cui avrebbe diritto.
Infine, le conclusioni sono ancora più deprimenti guardando la situazione da una prospettiva europea. L’Italia rimane il fanalino di coda dell’UE per quello che riguarda la spesa pubblica in istruzione. In particolare, concentrandosi sulla spesa per il diritto allo studio universitario rispetto alla spesa pubblica complessiva, il nostro paese rimane all’ultimo posto, con valori inferiori alla metà della media europea.