Dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura di Perugia, negli ultimi giorni è tornato in auge il “Caso Palamara” indagine della magistratura che ha travolto la magistratura.
Non è certo la prima volta che giudici e uomini di giustizia finiscono sotto la lente d’ingrandimento di altri magistrati, ma questa volta è diverso. Questa volta al centro dei riflettori c’è Luca Palamara, ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura (il CsM, l’organo di autogoverno della giustizia in Italia) ed ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (Anm).
L’intreccio non lascia fuori nessuno: giustizia, politica, imprenditoria e salotti correntizi.
Dopo la fine della credibilità dei partiti sotto i colpi del pool di Milano nella stagione di “Mani Pulite”, oggi c’è già chi investe il caso Palamara del medesimo ruolo. Questa volta però, spostando la mira dalla politica alla magistratura.
Non bisogna permetterlo.
Quali sono le accuse a carico di Palamara (che ora rischia il processo)
Il coinvolgimento del potente Palamara è un cosiddetto sviluppo inaspettato.
In principio c’è infatti un’indagine della Guardia di Finanza relativa ad un giro di fatture false tra alcune società dell’avvocato Piero Amara e l’imprenditore romano Fabrizio Centofanti. Va bene, e Palamara? Luca Palamara emerge per i contatti con Centofanti e le indagini arrivano ad un punto inatteso: Palamara risulta coinvolto e viene accusato di corruzione (avrebbe messo a disposizione il suo ruolo all’interno della magistratura per favorire Centofanti in procedimenti giudiziari a suo carico) dietro pagamento di viaggi, soggiorni e spostamenti, in Europa e non. Ma non solo: anche ristrutturazioni e altri interventi edilizi ad alcuni suoi immobili.
Quale sarebbe stato, di fatto, il modus operandi di Palamara secondo l’accusa? Quello di aver tentato una serie di manovre all’interno delle procure e tentate nomine per favorire Centofanti.
Le altre accuse poi cadute
In tutto ciò, Palamara viene inizialmente indagato dai PM di Perugia anche per altre due questioni ben più gravi. La prima, veniva spiegata una anno fa da Carlo Bonini su Repubblica (a indagini ancora in corso):
Quello che la coppia Amara-Colafiore (altro avvocato, ndr) chiede a Palamara, spesso attraverso Centofanti, richiede pelo sullo stomaco. Come sfregiare professionalmente Marco Bisogni, pm di Siracusa, che indaga proprio su Amara e che è titolare di procedimenti che gli stanno a cuore (Eni). Amara monta contro Bisogni un pretestuoso esposto disciplinare di cui il Procuratore generale della Cassazione chiede l’archiviazione. E che Palamara, al contrario, in quel momento componente della commissione disciplinare del Csm, tiene vivo (manovra perché venga rigettata dalla commissione del Csm la richiesta di archiviazione). Consapevole, tuttavia, che a quel pm nulla possa rimproverarsi, come poi dimostrerà la sua completa assoluzione disciplinare.
Carlo Bonini, su Repubblica del 30/05/2019
E’ doveroso segnalare che questa, come l’altra grave accusa di aver ricevuto la promessa del pagamento di una ingente somma per pilotare la nomina del PM Giancarlo Longo (nomina mai avvenuta per il blocco di Mattarella e Longo poi arrestato per corruzione in un altro processo) al ruolo di procuratore capo di Gela (Sicilia), sono entrambe state archiviate. Oggi Palamara non ne è più accusato.
Ma quindi, cadute le accuse più gravi, dove sta la grande notizia?
In tutto ciò che ne è venuto dopo. Sì perché ciò che è emerso da intercettazioni (pubblicate dai giornali) e chat reperite con sistemi informatici di controllo come i Trojan installati nel cellulare di Palamara, ha creato agitazione e scompiglio fra le correnti della magistratura. E’ infatti venuto alla ribalta un giro di nomi che coinvolge tutto: CsM, personaggi della politica (sospettati di aver usato conoscenze tra le toghe per far partire procedimenti nei confronti degli avversari), giornalisti (talvolta coinvolti nelle intercettazioni e di cui si cerca di capire la propria estraneità o meno ai fatti), magistrati e relative correnti.
L’uragano derivato dalla pubblicazione delle intercettazioni
Le conseguenze dell’inizio dell’indagine a carico di Palamara e della pubblicazione sui quotidiani delle intercettazioni (di cui ne è stata ribadita la non rilevanza penale e per cui quindi è ora in corso un accesso dibattito riguardo alla liceità del loro passaggio ai giornali) sono state devastanti.
L’onda d’urto ha colpito prima di tutto il CsM che, come riporta La Stampa, oltre a un Palamara sospeso in via cautelare e privato dello stipendio, ha visto una serie di ben sei dimissioni tra i suoi consiglieri sottoposti a procedimento disciplinare. Non solo: si è registrato anche un ribaltamento di assetti di potere in seno al CsM con le forze vincitrici alle elezioni del 2018 (Magistratura Indipendente e Unicost) passate in minoranza e la nascita di una nuova maggioranza creata tra le correnti che al contrario nel 2018 avevano perso le elezioni (Area, Autonomia e Indipendenza). E infine, lo scandalo ha travolto anche gli accordi già conclusi per portare alla procura di Roma (la più ambita d’Italia e secondo alcuni più importante di un Ministero), l’attuale procuratore di Firenze che in effetti, alla votazione in seno al CsM dello scorso 3 Marzo, non è stato eletto.
Il ruolo delle correnti nella magistratura
Su Linkiesta, il giornalista Cataldo Intrieri, definisce il caso Palamara la “pistolettata di Sarajevo” da cui è scaturita una “guerra civile tra correnti”.
Ma cosa sono le correnti? Sono i gruppi interni all’Associazione nazionale magistrati (di cui Palamara era presidente e a cui ad oggi è iscritto il 90% dei magistrati in funzione). Esse rappresentano varie sensibilità ideologiche che spesso finiscono per identificarsi con le aree politiche di centro, centrosinistra e centrodestra. Agi.it ne fa un elenco qui.
Ebbene, coloro che rappresentano queste correnti confluiscono a formare parte del CsM che, per Costituzione, è formalmente presieduto dal Presidente della Repubblica (art. 104). A dirigere i lavori è in realtà de facto il vice-presidente che viene eletto proprio in base agli accordi raggiunti tra le correnti. Correnti che, ormai, stando alle parole dello stesso Palamara a Rai Radio1, “dominano il mondo della magistratura”.
Se Quotidiano.net arriva addirittura a definirle un “cancro”, gli studiosi del fenomeno ed altri osservatori sembrano essere concordi nel ritenere che l’iniziale spinta ideologica che le aveva contraddistinte è degenerata in logiche di potere che talvolta finiscono per esautorare lo stesso CsM.
“Le correnti ormai sono ambigue articolazioni di potere, dedite, più che non alla realizzazione di un progetto alla propria autoconservazione… tanto da far sospettare che esse svolgano ormai un’attività istruttoria impropria su temi delicatissimi, espropriandone il Csm stesso che dovrebbe essere viceversa la sede delle decisioni inerenti quei temi”.
Guido Melis, storico e studioso della Magistratura
Le proposte
Il caso Palamara ha auspicabilmente accelerato i tempi per delle riforme in seno alla giustizia e la situazione appare fertile per cambi radicali.
Già da tempo infatti si ragiona a riforme del sistema elettorale del CsM per sottrarlo alla disponibilità delle correnti. Tra chi invoca estrazioni a sorte (ecco le parole di Matteo Salvini negli ultimi giorni) e chi pensa a collegi uninominali (come emerge dal piano del Ministro Bonafede), l’ipotesi più suggestiva è quella di un doppio CsM: un autogoverno della magistratura insomma che si divida in due blocchi occupandosi da un lato dei giudici inquirenti e dall’altro di quelli giudicanti.
Quella appena accennata, è in realtà solo una parte dell’idea che si traduce in un pacchetto ben più corposo avanzato con proposta legge di iniziativa popolare da parte dell’Unione delle Camere penali. La ratio di fondo è: “Due Csm, due carriere, una giustizia”.
Le proposte:
- la possibilità di nominare, a tutti i livelli della magistratura giudicante, avvocati e professori ordinari universitari di materie giuridiche al di fuori della selezione con pubblico concorso;
- la modifica della composizione dei membri elettivi dei due istituendi CSM rispetto a quello unitario esistente, passando dalla prevalenza numerica della componente togata, costituzionalizzata oggi nella misura dei due terzi, alla sua parificazione rispetto a quella laica, di nomina politica;
- la eliminazione del principio della obbligatorietà dell’azione penale; la separazione formale dell’ordine giudiziario nelle due categorie della magistratura giudicante e della magistratura requirente con previsione di distinti concorsi, per l’accesso in esse, e due distinti CSM;
- l’abrogazione del comma 3 dell’art. 107 che prevede le garanzie ordinamentali in favore del pubblico ministero.
Perché bisogna evitare un’altra Mani Pulite
Il richiamo è improprio, azzardato ma volutamente altisonante.
Più che altro: perché questo paragone con Mani Pulite, altra grande inchiesta della nostra storia repubblicana? Perché oggi, come nel 1992, dall’apertura di vasi di Pandora come questo ne può scaturire metaforicamente un lancio di altre monetine, forse non più all’Hotel Raphaël ma a Palazzo dei Marescialli (sede del CsM).
Quello che si deve evitare, correndo col ricordo proprio a Tangentopoli, è la gogna mediatica, la spettacolarizzazione ed infine l’attacco cieco e generalizzato ad una parte dello Stato. Nel 1992 toccò alla politica e al parlamento, da allora indiscriminatamente individuato come covo di ladri e mafiosi, delegittimato agli occhi del popolo della sua funzione costituzionale di rappresentanza dei cittadini e (forse irreversibilmente) leso nell’immagine.
L’auspicio, anzi il dovere, è evitare alla magistratura lo stesso epilogo. Ciò non significa negare la realtà di un sistema a quanto pare ostaggio delle sue correnti e necessitante di una urgente riforma. Né significa tacere le responsabilità, i reati ed il malaffare che probabilmente hanno interessato alcuni di quello che è e rimane un organo prestigioso.
Ma di alcuni si tratta appunto, non di tutti ed è bene che questo sia messo in chiaro in futuro.
Lorenzo Alessandroni
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