Sono cresciuta con i drammi eclettici di Dawson’s Creek, The O.C. e Pretty Little Liars. Il picco massimo della trasgressione pre-adolescenziale si concentrava essenzialmente nel vedere la scena sobria di un bacio e immaginare cosa potesse avvenire dopo. Il sesso e la droga? Taboo. Gli anni della mia crescita emotiva erano diversi: il celeberrimo canale targato Fininvest regnava su la qualunque. Una Mamma per amica, Settimo Cielo, per citarne alcuni. Avevo diciannove anni quando vidi Tredici, la prima vera serie tv che racconta – sotto forma di un macabro viaggio diaristico – il lato oscuro della realtà adolescenziale: bullismo, suicidio, violenza. Ne rimasi scioccata e, come me, migliaia di insegnati e psicologi. Adesso cosa rimane? Euphoria, la serie che tutti i genitori avranno il terrore di guardare e di cui la me adolescente avrebbe avuto bisogno.
1×1: l’estetica dell’esteta
Perché guardare Euphoria? La serie tv firmata Sam Levinson e prodotta da HBO mette in scena molti temi ricorrenti nelle serie già citate e non, tra cui l’amicizia, l’amore, il tradimento, il conflitto interiore, l’abuso di droghe e altri. Definire il prodotto una novità sarebbe inesatto, eppure gli episodi delle due stagioni hanno catturato l’animo di 6 milioni e mezzo di spettatori.
Glitter, vestiti scintillanti, atmosfere hollywoodiane: Euphoria è bella. Il creatore dello show, figlio di Barry Levinson – il veterano di Hollywood che ha diretto Good Morning, Vietnam, Rain Man e tanti altri – ha riadattato Euphoria da una serie israeliana, riconnettendola ad elementi autobiografici.
Droga e violenze si alternano a LunaPark e feste super colorate, a creare il giusto equilibro tra l’oscurità della mente e la stabilità effimera e menzognera del corpo. Levinson disegna il magico e ermetico mondo dei sedici anni, intriso di primi dolori e stupore infantile. I vertiginosi e costanti piani sequenza regalano la sensazione di una incessante perdita di controllo; lo spazio si dilata e si comprime improvvisamente, causando un grave senso di soffocamento a chi guarda. Grave perché l’immersione nella vita di quegli adolescenti è tanta e, a tratti, spaventosa.
1×2: un cast tremendamente azzeccato
Zendaya. Qualsiasi parola sarebbe superflua per descrivere il capolavoro che ha realizzato. La sua Rue è spiazzante, disarmante, incantevole, fragile, dissacrante. Tutti i suoi diciassette anni sono avvolti in un turbinio di perversione e devasto, complice la perdita del padre in età immatura e la sua tossicodipendenza.
Zendaya è la voce narrante di questo lungo viaggio tra grottesco e drammatico; un Caronte che traghetta direttamente le sue anime nell’abisso profondo dell’inferno, senza nessuno sconto. Rue, dagli occhi spenti e prosciugati, è il perfetto file rouge tra la gioia e l’infelicità degli anni adolescenziali. Attorno a lei, Levinson ha assemblato un cast impeccabile, scegliendo i volti giusti tra giovanissimi interpreti.
Jacob Elordi (The Kissing Booth) è un bullo psicopatico e inquietante, con una famiglia contorta alle spalle. Hunter Schafer, giovanissima modella transgender, è Jules, la nuova arrivata della scuola, coraggiosa, misteriosa e frammentata in parti che sembrano colorarsi e sbiadire insieme. Rue, la sua amata e odiata, sarà il suo faro di luce per tutto lo show. Barbie Ferreira, modella e attivista body positive, è Kat, un’inedita versione della tipica ragazza grassa che scardina ogni tipo di preconcetto e stereotipo. La giovane Sydney Sweeney è Cassie, la bella della scuola, in cerca dell’amore eterno e disposta a tutto pur di sentirsi desiderata e protetta. Alexa Demie, la scintillante Maddy che ha sbalordito chiunque con il suo make-up e outfit. Personaggio anche il suo molto atipico, se si pensa alla classica bella che non balla. Maddy balla, balla eccome.
La lista degli attori continua; ognuno di loro lascia un segno tridimensionale e unico al proprio personaggio. Una straordinarietà che rende tutti gli interpreti essenziali l’uno all’altro.
1×3: tante, troppe tematiche
Parlare di tutti i temi toccati da Euphoria sarebbe inutile e ridondante. Precisare come il regista li ha trasportati sullo schermo è essenziale per delineare la sua delicatezza e sensibilità. Il mondo vissuto dai protagonisti di quella cittadina può sembrare sconvolgente, ma, in realtà, gioca con un realismo spiazzante, tanto da sembrare inverosimile. L’eccessivo uso di droghe, il sesso sacrilego, la depressione: Euphoria non giudica. Sospende il giudizio e lascia al pubblico l’ardire di compiacere o condannare l’imputato. Il dialogo è serrato e pungente, l’atmosfera cupa e scintillante al tempo stesso. Non esiste una morale.
Protagonista è la vita, in tutte le sue sfumature di colore e in tutte le sue ombre più cupe.