Nata a Ottawa il 18 novembre 1939, Margaret Atwood si contraddistingue per una carriera pluripremiata. Interrogandosi sulle questioni sociali e i ruoli di genere, la nota autrice rende la sua scrittura il tramite per una valutazione odierna. Poetessa e scrittrice, conferisce al mondo una nuova prospettiva ricreando e sfatando strutture socioculturali.
Un particolare interesse va al mito: Il canto di Penelope, pubblicato nel 2005, riporta un nuovo sguardo sulla tessitrice. In una narrativa scorrevole e coinvolgente, Penelope parla di verità non dette.
Penelope e Odisseo
Odisseo è una figura trasversale nella letteratura, ma non è lui il protagonista nel romanzo di Margaret Atwood.
L’autrice canadese, ambientalista e attivista, si focalizza non su Odisseo ma su Penelope. La famosa sposa è il punto fermo, l’ideale patriarcale del focolare domestico, colei che attende e tesse. Ma, attraverso la scrittrice, ella si fa portavoce di sé stessa, raccontando dall’Ade la sua storia. Ecco che si materializza una Penelope ironica, conscia e diversa da quella dell’immaginario collettivo. Traendo fonti non solo dall’Odissea, Margaret Atwood raccoglie fin dall’infanzia la vita di Penelope. Alla voce di questa si alternano in coro quelle delle dodici ancelle impiccate da Odisseo, simbolo di una violenza comune e di un silenzio forzato.
Penelope, una voce rivendicata
È l’inizio di Penelope dall’Ade, sommersa tra ombre ed echi. Non può raggiungere il mondo con la voce, lo sa. Non ha una bocca attraverso cui parlare: non ha più niente in sé che sia terreno. Ma è determinata, si dice, e sceglie di tessere la sua tela e dare la propria prospettiva. Dalla sua nascita si forma il racconto. Così, narra di come la scarsa fiducia fiorisca mediante il padre, che aveva tentato di affogarla in tenera età. Autosufficienza e diffidenza sono i primi raggiungimenti. Tra la madre fredda e la cugina arrogante, Elena, cresce in un ambiente ostile. All’avanzare dell’età sopraggiunge il matrimonio: è qui che subentra Odisseo.
Ironia tagliente
È un humour tagliente quello di Penelope. Lei è conscia di un Odisseo che continua a sfuggire, che pensa a Elena, che continua a ricrearsi vite scappando dal suo punto fermo. Penelope è conscia delle menzogne mischiate a mito e realtà. Ed è conscia delle sue dodici ancelle impiccate, del suo senso di colpa e della loro morte.
La sua ironia si staglia tra tragicità e mito, storia e modernità. In un tono cinico e disilluso, Penelope ritaglia la miserabilità che si cela dietro la sua immagine “leggendaria”. Le sue ancelle, le sue colombe, i suoi occhi e le sue orecchie in mezzo ai pretendenti, sono il coro che si inserisce a tratti nel suo racconto. Le ancelle, sua estensione, sono come lei impiccate e vittime di un omicidio. Lei, uccisa dall’attesa dell’attesa, e loro, uccise da suo marito.
Margaret Atwood: una modernità polemizzante
In una modernità polemizzante e ironica, Margaret Atwood usufruisce di una figura “ideale” quale Penelope. Le toglie gli abiti pesanti, le spoglie divine, il carico dell’attesa contro sé stessa. E denuncia, attraverso la donna, ingiustizie atemporali. Dunque, Penelope diviene voce sua, delle ancelle, e di chi non l’ha mai avuta. Atwood, inoltre, suppone Penelope come trasposizione della dea Artemide: le dodici ancelle sono compagne e parte esteriorizzata della dea. La fine di Penelope e delle ancelle è l’ascesa violenta di Odisseo.
È sempre il mito il protagonista: con sguardo moderno si riprendono immagini passate.