giovedì, 26 Dicembre 2024

Il 3 novembre negli Usa. Una data ricca di significato.

Alcune considerazioni finali a poche ore dalla conclusione di una delle campagne elettorali più significative della storia degli Stati Uniti. Una giornata, quella del 3 novembre, che può vantare illustri antecedenti negli ultimi 150 anni.

Ci siamo. La tensione è alle stelle e l’attesa si fa spasmodica per gli addetti ai lavori, ma non solo per loro. I giornalisti affilano con cura le penne, le loro armi personali, i litri di caffè rilasciano un aroma familiare e l’unico suono sembra quasi metallico, ovattato. Proviene dai thermos dei conduttori televisivi, pronti per la maratona elettorale (Mentana perdonerà questo abuso del termine) che inizierà nel giro di poche ore. Dalla mezzanotte di oggi, infatti, il mondo assisterà all’elezione del 46° presidente degli Stati Uniti d’America e a quello che è il 59° duello elettorale in assoluto.

Inutile girarci intorno, questo 3 novembre sarà diverso da tutti i precedenti. Sarà per il variegato contesto di questo tormentatissimo 2020 a livello politico, economico, sociale e soprattutto sanitario. Sarà per le differenze abissali tra le personalità dei candidati, personificazioni viventi della tranquillitas e del furor, qualità che i Romani riconoscevano e apprezzavano. Fatto sta che questa data, questo 03/11/2020, lascerà un segno nella nostra mente per gli anni a venire.

Non solo numeri

Una degna conclusione per una campagna infinita, iniziata addirittura all’alba del mandato presidenziale che si conclude quest’anno. Era il 2016, Donald J. Trump era il fresco trionfatore nella corsa elettorale, vinta a scapito di una Hillary Clinton che nessuno avrebbe dato per perdente fino all’ultimo momento. Neanche il tempo di adattarsi al suo nuovo incarico e già il tycoon esprimeva la sua intenzione di candidarsi ad un secondo mandato. Come a dire “qui sono arrivato e qui intendo rimanere il più a lungo possibile”.

L’inizio di un percorso durato 4 anni, che si concluderà questo 3 novembre. Uno sfidante all’altezza rimasto senza volto per lungo tempo (da Bernie Sanders a Michael Bloomberg, passando per Elizabeth Warren e Bill De Blasio). L’avvento di Joe Biden (senza dimenticare ovviamente Kamala Harris, l’altra faccia del ticket elettorale democratico). Una situazione che nelle intenzioni di voto sembrerebbe meno in bilico di altre volte. I sondaggi delle ultime settimane parlano di un notevole vantaggio del candidato democratico sul rivale repubblicano. Tuttavia dopo le sorprese dell’ultima consultazione nessuno oserà dare Trump per spacciato fino all’ultima conta dei voti. 240 milioni di preferenze, che altrettanti aventi diritto saranno chiamati ad esprimere.

La situazione nei sondaggi a poche ore dal voto (CNN)

Anche se le percentuali provvisorie danno infatti ragione ai democratici nella maggior parte degli stati in bilico, è pur sempre vero che da realtà complesse come quelle della Florida, dell’Ohio e del North Carolina (solo per citarne alcuni) bisogna sempre aspettarsi l’inaspettato. Non bisogna poi trascurare alcune delle “vittorie” di Trump nelle ultime settimane, che hanno consentito al tycoon di ridurre sensibilmente lo svantaggio. Ad esempio la mediazione nella tregua del conflitto tra Armenia e Azerbaigian, che sembra essere arrivata come l’occasione giusta al momento giusto.

Un “cocktail elettorale” con molteplici ingredienti

Tante sono le incognite di questa consultazione elettorale. Nello shaker della politica americana non hanno mai trovato spazio così tanti ingredienti, in attesa di scoprire chi sia il barman migliore nel dosarli. Uno su tutti il fattore Covid-19, uno dei temi di scontro assoluto fra i due candidati alla White House, che determinerà la prosecuzione sulla rotta attuale della nave americana oppure il suo repentino cambio di direzione. Le posizioni molto “morbide” di Trump (da ricordare a questo proposito la faida interna tra l’attuale presidente e l’immunologo Anthony Fauci) e la prudenza predicata da Biden saranno uno dei temi cardine di questa sfida.

Non bisogna tuttavia dimenticare il fatto che la situazione sanitaria degli Stati Uniti, oltre ad essere occasione di grande dibattito, andrà ad incidere direttamente sulle modalità (e qualcuno malignamente suggerisce anche sull’esito) con cui si svolgeranno queste elezioni. O, per meglio dire, sono già andate ad incidere, come si può notare dalle statistiche ufficiali dell’Election project sull’early voting o voto anticipato (previsto dall’art. 2 della costituzione americana), che quest’anno ha fatto segnare la cifra record di quasi 70 milioni di preferenze.

L’early voting americano ha raggiunto delle percentuali altissime nel corso di questa campagna elettorale (Il Fatto)

Un altro tema di fortissimo dibattito riguarderà le tempistiche che serviranno per avere i risultati definitivi di queste tormentate elezioni. Il voto postale, incentivato in questa particolare circostanza dal fattore pandemico, ha infatti dei tempi di raccolta particolarmente lunghi e non è mancato chi si è espresso contro una raccolta dei dati che potrebbe raggiungere una durata anche di alcune settimane. Non sarà insomma una passeggiata e ci sono tutte le ragioni per pensare che questo 3 novembre 2020 entrerà di diritto nella storia, insieme a molti precedenti illustri.

Di martedì si fa la storia, ma il 3 novembre di più

Dal 1845 la data delle elezioni americane deve seguire i dettami di una legge nazionale, secondo la quale la consultazione elettorale si svolge ogni quattro anni il martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre. Ciò significa che, pur restando fedeli a questi parametri, la data precisa varia in base al calendario. Per quelli che si dilettano nello studio delle ricorrenze storiche, tuttavia, quella del 3 novembre è una data assai significativa, specialmente in riferimento alle elezioni americane. Lo dimostrano numerosi esempi, i più significativi tra i quali denotano un certo peso a livello storico:

3 novembre 1868: Ulysses S. Grant è nominato 18° presidente. Artefice della vittoria militare nordista nella guerra civile, lasciò il segno come uno degli eroi più significativi per gli Stati Uniti.

3 novembre 1896: William McKinley è nominato 25° presidente. La sua ascesa portò grande fortuna ai repubblicani che, fatte salve alcune eccezioni, tennero saldamente in mano la carica presidenziale fino agli anni Trenta.

3 novembre 1908: Wiliam Howard Taft è nominato 27° presidente.

3 novembre 1936: Franklin Delano Roosevelt è nominato 32° presidente. Fu l’unico ad essere eletto alla carica presidenziale per ben 4 mandati (1932, 1936, 1940, 1944). Propugnatore della politica economica del New Deal in seguito alla Grande Depressione, ha trovato un riconoscimento universale come uno dei 3 presidenti più popolari della storia degli Stati Uniti, insieme a Lincoln e Washington.

Il New Deal di Roosevelt (Corriere)

3 novembre 1964: Lyndon B. Johnson è nominato 36° presidente. Promosse un grande piano di riforme sociali e dei diritti civili.

3 novembre 1992: Bill Clinton è nominato 42° presidente. Il suo mandato coincise con uno dei più lunghi e proficui periodi di pace e sviluppo economico per il paese.

La lunga notte elettorale

Si può quindi affermare a ragion veduta che la data cardine di questa controversa tornata elettorale trovi alcuni antecedenti di una certa importanza. Se poi al fattore temporale si vogliono aggiungere un risultato per nulla scontato e l’incertezza che caratterizzerà le modalità con cui si perverrà ad esso una cosa è certa, in questo 3 novembre ci sarà da divertirsi. Se non altro è quello che sperano gli appassionati di maratone elettorali.

Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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