Il 13 novembre 2022 un’esplosione ad Istanbul ha ucciso sei persone e feritone ottantuno. Lo scoppio è avvenuto di domenica, a İstiklal Caddesi, nel quartiere Beyoğlu, una tra le aree più frequentate della città. Le autorità turche credono si tratti un attentato terroristico ad opera dei separatisti curdi. La principale sospettata è Ahlam Albashir, una donna siriana, arrestata con l’accusa di collaborazione con il PKK.
Una settimana dopo l’attacco, il ministro della difesa turco ha annunciato su Twitter l’inizio delle incursioni aeree in territorio curdo, all’interno dei confini siriani ed iracheni.
La recente escalation di eventi ha nuovamente attirato l’attenzione sulla questione curda di cui spesso l’opinione pubblica sembra dimenticarsi. Ma paesi come Turchia, Iran, Russia e USA sono sempre pronti a rivendicare i propri interessi geopolitici nella zona.
Le radici storiche del conflitto tra turchi e curdi
Il conflitto turco-curdo ha radici che risalgono alla fine della Prima guerra mondiale per cui le aggressioni turche nei territori curdi non sono una novità.
Il Kurdistan non è uno stato indipendente, ma una nazione senza stato in cui abitano circa 30 milioni di curdi. Si trova nella parte settentrionale e nord-orientale dell’ex Mesopotamia che include parte della Turchia, Siria, Iraq e Iran.
I curdi sono una minoranza etnica la cui identità dipende dalla lingua, differente sia da quella araba, sia da quella turca. La discriminazione e l’assimilazione forzata dei curdi si sono intensificate con la dissoluzione dell’Impero Ottomano. Nel 1922 Mustafà Kemal vincitore dalla Guerra d’Indipendenza turca, si rifiutò di ratificare il Trattato di Sevrés e obbligò le ex potenze alleate a tornare al tavolo dei negoziati. Il trattato prevedeva delle modifiche territoriali e la tutela delle minoranze attraverso la formazione di uno stato più piccolo. Tutto ciò rappresentava un’umiliazione per il popolo turco, che iniziò a sedimentare il sentimento nazionalista alla base della “Sindrome di Sevres”. Col nuovo trattato di Losanna (1923) si stabilì il riconoscimento della Repubblica di Turchia e non si fece alcun cenno sulle minoranze Curde e Armene.
Dalla Seconda guerra mondiale al 2000
Nel 1946 un secondo tentativo di autonomismo curdo fu la creazione della Repubblica di Mahabad ad opera del Partito Democratico del Kurdistan iraniano. Essa godeva dell’appoggio dell’Unione Sovietica, ma il mancato riconoscimento da parte di altre potenze determinò la fine di questa breve esperienza. Questi episodi privi di risvolti positivi hanno portato a numerose rivendicazioni nazionaliste curde sfociate in varie ribellioni, guerriglie e talvolta atti terroristici.
Il principale gruppo ribelle è il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), creato nel 1978 e nato come organizzazione nazionalista militante curda d’ispirazione marxista-leninista. Successivamente il confederalismo democratico sostituì la matrice marxista. Il PKK, dal nord dell’Iraq e della Siria, dal 1984 compie azioni terroristiche contro la Turchia per rivendicare l’indipendenza del popolo curdo. Motivo per cui Turchia, Stati Uniti e Unione Europea lo hanno classificato come organizzazione terroristica e messo fuori legge nel 1999.
I curdi in Medioriente
In Iraq, Iran e Siria, la storia dei curdi si è spesso intrecciata con i cambiamenti politici dei rispettivi paesi.
Negli anni ’70, Mustafa Barzani, il leader del Partito democratico dei curdi (PDK), guidò una rivolta nazionalista curda in Iraq che sfociò in un conflitto civile lungo e sanguinoso. Nel frattempo l’Iran guidato da Mohammad Reza Pahlavi, alleato degli USA, grazie al loro sostegno economico iniziò a fornire armi ai curdi Iracheni per destabilizzare l’Iraq, obiettivo comune di entrambi i paesi. Con l’arrivo di Saddam Hussein in Iraq i curdi furono nuovamente vittime di persecuzione, fino all’omicidio di massa causato da un attacco chimico nel 1988.
Dopo prima guerra del Golfo, venne riconosciuta una regione curda autonoma nel nord dell’Iraq e nel 2005 con la Costituzione federale dell’Iraq alla caduta di S. Hussein, l’autonomia dei curdi divenne legge. Nacque il governo regionale del Kurdistan, un’entità politica responsabile dell’amministrazione del Kurdistan Iracheno, grazie all’appoggio del PDK, all’Unione patriottica del Kurdistan (UPK) e degli USA.
Durante il dominio dell’ISIS in territorio siriano, i curdi hanno nuovamente subito massacri e persecuzioni, ma sono stati fondamentali alla sconfitta dello stato islamico. Nel 2014 i curdi siriani hanno formato le Unita di Difesa del Popolo (YPG) per reagire all’invasione dell’ISIS e hanno assunto gradualmente il controllo dei territori abbandonati dall’esercito nazionale, fondamentale in quest’occasione fu il contributo delle donne con le Unità di Difesa femminile (YPI). Inoltre, grazie al sostegno militare degli USA, i curdi siriani sono riusciti a smantellare gran parte delle zone controllate dall’ISIS. Questa serie di eventi ha allarmato la Turchia che considera i curdi siriani alleati del PKK e accusa gli stati Uniti di sostenere un movimento terroristico. Questo rappresenta uno dei principali motivi d’attrito tra USA e Turchia.
La ripresa del conflitto
Lo scontro tra il PKK ed Ankara, è ricominciato violentemente nel 2015, al termine di una tregua di due anni e mezzo. Dopo i negoziati di pace iniziati nel 2012, i curdi accusavano la Turchia di favorire il passaggio dei militanti dell’ISIS per attaccare la città curda di Kobani. Da quel momento le proteste si intensificarono e la Turchia intraprese massicci bombardamenti contro le presunte sedi del PKK, ponendo fine al cessate il fuoco dei negoziati. Dal 2016 al 2022 il governo turco ha condotto diverse operazioni militari in Siria e in Iraq per colpire i militanti curdi, dispiegando ingenti risorse finanziarie e umane.
Dubbi sull’attentato di novembre
Nonostante la questione della responsabilità dell’attentato sia risolta per la Turchia, ci sono ancora molti interrogativi sul reale andamento dei fatti. Il primo riguarda il modus operandi che non rispecchia quello del PKK, il quale, oltre ad aver smentito ogni coinvolgimento con l’accaduto, raramente colpisce obiettivi civili. Queste circostanze rendono sospetta la situazione, motivo per cui è attendibile che l’imputabilità dell’attacco attribuite dal governo turco servano a legittimare un ulteriore intervento militare in Siria. L’evento si inserisce inoltre in un quadro politico delicato: la Turchia si sta preparando alle elezioni del 2023. Motivo per cui Erdoğan potrebbe voler rafforzare la propria figura politica con un intervento forte e deciso in politica estera.
Un complesso di interessi geopolitici
L’accaduto riapre una serie di questioni interne in Turchia legate alle vicende mediorientali e agli interessi nell’area di altri paesi come Iran, Russia e USA.
Come è noto, la Russia ha dei legami storici con la Siria e dall’inizio del conflitto civile siriano ha sempre sostenuto il governo di Assad. Le motivazioni di questo sostegno sono molto strategiche, poiché la Siria rappresenta un importante strumento per esercitare la propria influenza geopolitica nell’area. Se da un lato Assad è un grande alleato russo, dall’altro la Russia ha spesso giovato della repressione curda da parte della Turchia. Poiché i territori abitati dai curdi rappresentano, dalla guerra civile siriana in poi, un punto di appoggio militare cruciale per gli USA. Nel contesto attuale però, la preoccupazione della Russia è differente. Essa teme che in un momento in cui tutte le risorse del paese sono concentrate in Ucraina, la Turchia possa approfittarne per accrescere il suo peso in Medioriente.
Le raccomandazioni di moderazione dirette alla Turchia, questa volta, provengono sia dalla Russia che dagli Stati Uniti. La prima che si sente minacciata nella propria zona d’influenza e i secondi che contano sui curdi per la lotta all’ISIS, ma che effettivamente non fanno nulla per difenderli.
A questo pastone di interessi geopolitici si aggiungano quelli dell’Iran, storico sostenitore del regime di Assad nonché unico alleato arabo nella regione. Dalla primavera araba l’Iran continua a perseguire in Siria una politica estera di guerra antisimmetrica attraverso l’empowerment di gruppi locali alleati, piuttosto che un coinvolgimento diretto nei conflitti. Anche questa volta Teheran sembra aver trovato il pretesto perfetto per attaccare i gruppi curdi, che a suo dire starebbero sostenendo l’ondata di proteste nel paese.
E l’Europa?
Attualmente le azioni intraprese dall’Europa per far fronte alla situazione curda sono inesistenti. Nel 2019 il Consiglio dell’Unione Europea si è limitato a condannare l’azione turca, sostenere l’integrità della Siria e interrompere la fornitura di armi alla Turchia. Ma quest’estate la NATO, per avere l’approvazione della Turchia sull’accesso di Svezia e Finlandia, ha accettato condizioni discutibili. Il prezzo da pagare alla Turchia per togliere il veto all’allargamento dell’alleanza atlantica è alto ed è pagato a spese della popolazione curda. Consiste nell’estradizione dei prigionieri curdi e la ripresa della vendita di armi per supportare le “operazioni antiterroristiche” in Kurdistan. Questa decisione trascura il fatto che i curdi non siano composti solamente dai terroristi che il governo turco combatte. In mezzo alle decisioni politiche occidentali ci sono la vita e libertà di un popolo che da oltre un secolo reclama la propria autonomia.
Il silenzio dell’Europa fa eco dinanzi a questa tragedia umanitaria che viene perpetuata da anni nell’indifferenza della maggior parte degli attori della comunità internazionale. Ed in questi casi vien da chiedersi se l’Unione Europea alzi la voce per difendere il diritto all’autodeterminazione e alla democrazia solo quando possa ricavarne un vantaggio politico.
“I curdi sono uno dei pochissimi popoli di cui nessuno si preoccupa, salvo le grandi potenze, però quando e come conviene ai loro interessi, sostanzialmente sinora a danno dei curdi stessi.”
Ferdinando Vegas, giornalista e professore universitario italiano.