Haiti: il 12 Marzo 2024 il primo ministro Ariel Henry, alla guida del Paese dal 2021, rassegna ufficialmente le sue dimissioni.
Il Paese non è nuovo a simili vuoti di potere, che rendono sempre più urgenti il ripristino della sicurezza e di condizioni umanitarie dignitose. Questa situazione è il risultato di mesi in cui la pressione e le violenze da parte delle gang locali sono cresciute esponenzialmente.
Cenni storici
Haiti ha rappresentato fonte di grandi profitti per la Francia colonizzatrice.
Nel corso del ‘700 era diventata una delle mete principali per gli schiavi importati dall’Africa, data la grande abbondanza di risorse, in particolare di zucchero. Come tante altre colonie, non era altro che una regione privata della propria popolazione autoctona e trasformata in una fabbrica di ricchezza per l’Europa.
Le cose cambiano con la Rivoluzione del 1804, frutto di decenni di rivolte da parte degli schiavi. Nasce così la Repubblica di Haiti, prima repubblica nera indipendente al mondo.
Si tratta, quindi, di un processo rivoluzionario piuttosto precoce rispetto alla fase di decolonizzazione dell’America Centrale e del Sud. Questo ad un prezzo non indifferente.
Il Paese, infatti, entra sin da subito in una condizione di isolamento. È circondato da potenze europee, che non avrebbero mai rischiato la diffusione di rivolte nelle loro colonie, che avrebbero indebolito il proprio sistema schiavista. La questione razziale, inoltre, rende eventuali rapporti fra esse ancora più improbabili.
L’indipendenza ha avuto anche un costo economico. La Francia infatti richiede alte riparazioni in cambio dell’autonomia della Repubblica, così da attutire la perdita degli alti profitti derivanti dalle importazioni di zucchero.
Povertà, instabilità politica e sociale sono naturali conseguenze.
Chi si interessa di Haiti?
La storia più recente del Paese è altrettanto drammatica. Nel corso del Novecento diversi attori della regione hanno intrapreso relazioni politico-economiche con il Paese. Tra questi, soprattutto gli Stati Uniti. Di fatto, però, i bisogni haitiani sono spesso stati ignorati a favore degli interessi puramente economici delle potenze straniere.
Nel 2010 un devastante terremoto ha riacceso i riflettori su Haiti. Le condizioni della popolazione, però, non sono mai migliorate da allora. Secondo il Word Food Programme oltre 4 milioni di persone son malnutrite e il mercato, dipendente da importazioni, è soggetto ad alti tassi di inflazione.
Dati i vuoti di potere e governi che non hanno alcun controllo sul territorio, la comunità internazionale non può più fare affidamento sullo stato.
In situazioni di gravi emergenze, come quella attuale, sono principalmente Organizzazioni Non Governative a tentare di migliorare la situazione sul campo. Fra queste, ActionAid, Aibi, Avsi, Cesvi, la Fondazione Francesca Rava.
Le Nazioni Unite sono intervenute con l’operazione MINUSTAH (Mission des Nations Unies pour la Stabilisation en Haïti) dal 2004 al 2017. Oltre alle difficoltà nel ripristinare ordine sociopolitico, le forze di intervento furono coinvolte nella contaminazione accidentale delle acque del fiume Artibonite, che causò un epidemia di colera. Questa ulteriore emergenza, alla fine del 2010, aumentò l’opposizione degli haitiani agli interventi internazionali nel Paese.
Il concatenarsi di crisi politiche, economiche e umanitarie costringe la popolazione a emigrare.
Le principali rotte migratorie sono quelle verso la confinante Repubblica Dominicana o verso la Florida. Quest’ultima trova forti resistenze sia da Panama, che, soprattutto, dal governatore della Florida, Ron DeSantis, pronto a contrastare l'”invasione”, come viene da esso definita, con centinaia di soldati al confine.
Le gang al potere
Da decenni ormai sono gruppi armati irregolari, le cosiddette “gang”, a detenere il vero potere ad Haiti. Si tratta di oltre 200 gruppi sparsi su tutto il territorio. In particolare, sono due le coalizioni ad avere acquisito quasi il totale controllo della capitale, Port-au-Prince: le Forze Rivoluzionarie della G9 e degli Alleati, guidati da Jimmy Cherizier, detto “Barbecue”, e G-Pep, guidata da Gabriel Jean-Pierre.
La violenza è da tempo l’unico mezzo con il quale prendere e detenere il potere. A partire dai 29 anni dei regimi dittatoriali del Duvalier, l’esercito ha acquisito un ruolo centrale per contrastare l’opposizione, uccidendo migliaia di persone. Parallelamente, si sono costituite le gang, formate da ex-membri di partiti politici e giovani, che vedono nella lotta armata l’unica soluzione.
Nel corso del tempo la loro strategia si è evoluta. Si sono arricchite grazie a traffici illeciti e rapimenti, tanto da avere forte influenza sulle autorità politiche. Governare contro di esse sembra diventato impossibile.
La tensione aveva già raggiunto l’apice nel 2021, quando il Presidente Jovenel Moïse venne ucciso nella sua residenza. Nonostante non sia ancora chiaro quali e quanti attori siano stati coinvolti nell’uccisione, da allora gli eventi violenti sono aumentati esponenzialmente.
I gruppi G9 e G-Pep si sono coalizzati contro ogni forma di governo, soprattutto dopo le richieste di interventi internazionali nel Paese da parte del primo ministro Ariel Henry, unica figura alla guida di Haiti dal 2021.
E ora?
L’escalation di violenze, attacchi contro le forze dell’ordine e a quelle di supporto umanitario, ha portato alle dimissioni di Ariel Henry.
«Il mio governo se ne andrà subito dopo l’inaugurazione del consiglio. Saremo un governo provvisorio finché non nomineranno un primo ministro e un nuovo gabinetto».
Ariel Henry, ex primo ministro haitiano
Le negoziazioni per scegliere il nuovo primo ministro coinvolgono principalmente i membri del CARICOM (Caribbean Community and Common Market), Stati Uniti e Nazioni Unite.
Nel frattempo, la comunità internazionale si interroga sulle successive mosse da compiere in un Paese sotto stato di emergenza e sull’orlo del fallimento.
L’Unione Europea ha stabilito lo stanziamento di 20 milioni di euro per aiuti umanitari ad Haiti. L’operazione di intervento ONU, approvata ad ottobre 2023, è, invece, in una fase di stallo a causa del negato invio di forze da parte del Kenya, uno dei principali Paesi contribuenti.
La gravità della situazione richiede probabilmente uno sforzo maggiore da parte degli attori internazionali. È possibile stabilizzare la situazione solamente inviando forze in opposizione alle gang? In un contesto in cui attori non-statali hanno il pieno controllo del territorio, come si può ripristinare l’ordine istituzionale senza un dialogo con essi?
Forse è necessario ripensare le strategie di intervento occidentali, tramite una comprensione più profonda di dinamiche di potere completamente diverse da quello di un comune stato nazione tradizionale.