Fino a qualche anno fa anche il solo pensiero di una nuova guerra civile americana avrebbe fatto storcere il naso a molti, ma ora? L’aumento dei casi e delle vittime del SARS-CoV-2, le rivolte scatenate dalla morte di George Floyd, l’approccio dell’amministrazione Trump alla sanità… Questa ‘lista della spesa’ è destinata ad allungarsi sempre di più ogni giorno, e prima o poi lo spazio su cui scrivere si esaurirà. Quando ciò accadrà, ed i conflitti si accentueranno, si riconoscerà lo status di ‘guerra civile’? La comunità internazionale interverrà? E se sì, lo farà a difesa dei cittadini americani o di un governo privo di de facto controllo del territorio?
I due candidati a confronto
Domani, gli elettori americani dovranno compiere una scelta estremamente difficile. Ovvero, dovranno decidere se a governare il loro Paese per i prossimi quattro anni sarà Donald J. Trump o Joe Biden. Nel corso dei dibattiti presidenziali, i due candidati hanno espresso opinioni diametralmente opposte sulla maggior parte dei temi affrontati. Primo tra tutti, le contromisure statunitensi in risposta alle manifestazioni imperversanti sul territorio.
Il partito dei Repubblicani e quello dei Democratici non concordano sulle manifestazioni scaturite dalla morte di George Floyd. Da un lato, Trump ed i suoi sostenitori si sono schierati a supporto delle forze di polizia. A loro avviso, occorre porre al fine alle rivolte, ormai divenute veri e propri centri di ‘terrorismo domestico’. Inoltre, il presidente ha più volte denunciato pubblicamente organizzazioni quali Antifa e Black Lives Matter, definendo quest’ultima una ‘disgrazia’ ed un vero e proprio ‘simbolo d’odio’. Al contrario, i Democratici sono schierati a favore delle manifestazioni, guidate da un sentimento di rabbia verso un governo che incentiva la brutalità delle autorità.
I due candidati hanno inoltre espresso opinioni opposte riguardo al COVID-19. Da un lato, Trump ha più volte disincentivato l’utilizzo di maschere protettive e sminuito la reale entità del virus. Nonostante il Presidente affermi che il virus stia scomparendo, i dati rivelano che gli Stati Uniti sono il Paese con il maggior numero di casi e morti registrate per SARS-CoV-2.
Al contrario, Biden sembra avere un piano ben definito su come affrontare l’imminente ‘inverno nero’ che attende il suo Paese. Eppure, le restrizioni alla libertà personale proposte dal democratico sono apparse a molti come il preludio di un futuro ‘lockdown all’italiana’ (ovviamente non il film con Ezio Greggio). Biden stesso ha sottolineato come il suo intento non sia quello di chiudere il Paese, ma quello di terminare il virus una volta per tutte.
Il rischio di una seconda guerra civile
Un dato preoccupante è il numero di cittadini americani disposti a sottoporsi ad un vaccino promosso dal loro governo, pari al 40% della popolazione. Considerando che rientrano in tale conteggio sia Democratici che Repubblicani, proviamo a prevedere la reazione dei due gruppi in caso vinca la rispettiva opposizione. Nel caso vinca Biden, è improbabile che i sostenitori dell’ex-presidente si sottopongano ad un vaccino promosso da un governo intento a limitare le loro libertà. In caso contrario, gli elettori del democratico diffideranno di un vaccino distribuito dalle stesse autorità con cui ancora oggi si scontrano per strada. Non importa chi vincerà, una nuova guerra civile scoppierà perché il Paese non sarà unito, come già non lo è adesso.
I principi del diritto internazionale
Supponiamo che le manifestazioni continuino e che una seconda guerra civile scoppi negli Stati Uniti nei prossimi quattro/otto anni. Inoltre, ipotizziamo che il governo in carica si rivolga alla comunità internazionale per riottenere il de-facto controllo del territorio. Gli altri stati sarebbero legittimati ad intervenire?
In primis, definiamo il concetto d’autodeterminazione dei popoli enunciato nell’Art 1(2) del Secondo Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra. Tale disposizione vieta azioni militari in Paesi vittime di guerra civile. Inoltre, occorre considerare il principio d’uguaglianza di sovranità tra le nazioni. Esso proibisce a stati terzi d’intervenire in materie di politica interna, come formulato nell’Art 2(7) della Carta delle Nazioni Unite. Di fatto, l’Art 20 della Responsabilità degli Stati per atti internazionalmente illeciti (ARSIWA) permette d’eseguire azioni militari in un altro Paese solo in presenza di un ‘valido consenso’. Solo il governo legittimo dello stato ospitante può emetterlo, e le azioni dell’ospite devono rientrare entro i limiti dettati dal consenso stesso. Le forze straniere devono inoltre rispettare le disposizioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani quando ricorrono all’uso della forza.
Dunque, uno stato privo di controllo effettivo del territorio si potrebbe ancora definire legittimo? Sarebbe legittimato ad esprimere un valido consenso?
Yemen, un’eventualità da non sottovalutare
Servendoci di un esempio pratico, scopriamo cosa accadrebbe se il governo statunitense perdesse il de-facto controllo del proprio territorio, tuttavia mantenendo quello de-jure (o giuridico). Per la precisione, vediamo cosa è successo in Yemen, Paese il cui regime è in contrasto con i ribelli Houthi dal 2004.
Nel 2012, l’ascesa al potere del presidente Abdrabbuh Mansour Hadi tramite elezioni a lista unica ha alimentato il malcontento della ribellione. Dopo tre anni, i ribelli riuscirono a conquistare gran parte dello Yemen e la capitale Sana’a. A quel punto, il Presidente ed il suo gabinetto, costretti a dimettersi, abbandonarono il Paese e si rifugiarono in Arabia Saudita. Tuttavia, non ci volle molto prima che Hadi annullasse le proprie dimissioni ed incoraggiasse altri stati ad intervenire contro gli Houthi.
La guerra civile in Yemen
Nonostante i ribelli siano supportati da Al-Qaeda nella Penisola Arabica, gran parte della popolazione si dichiara tutt’ora a loro favore, tanto da definirli dei patrioti. Dunque, sembra difficile pensare che il Presidente Hadi possa ancora parlare per conto dei ‘suoi’ cittadini. Eppure, questo non ha fermato una coalizione di Paesi arabi guidati dall’Arabia Saudita dal fornire il proprio supporto per sconfiggere i ribelli. Inoltre, anche Stati Uniti e Regno Unito hanno favorito la richiesta di Hadi. Solamente l’Iran si è opposto all’evidente violazione della sovranità dello Yemen. Nel 2014, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha riconosciuto la legittimità del Presidente tramite una risoluzione. Grazie a tale azione, Hadi può invitare stati terzi di intervenire in Yemen tramite valido consenso. La comunità internazionale è quindi legalmente legittimata ad intervenire in assenza del riconoscimento dello status di guerra civile.
Ne possiamo trarre che il controllo de-jure di un governo in esilio prevale su quello de-facto degli Houthi supportati dai cittadini. Si mette dunque a rischio il principio d’autodeterminazione dei popoli.
Cosa ci riserva il futuro?
Nonostante sia difficile paragonare la realtà statunitense allo Yemen, supponiamo che le manifestazioni si trasformino in una ribellione contro un governo non più rappresentativo. A patto che non venga riconosciuto lo status di guerra civile, gli Stati Uniti sarebbero teoricamente legittimati a richiedere l’intervento militare di altri Paesi. Tuttavia, quale membro della comunità internazionale oserebbe mai affrontare il danno mediatico causato dallo schierarsi contro i cittadini americani? A mio avviso, nessuno stato al mondo potrebbe permettersi tale azzardo. Ma cosa fermerebbe Paesi come Cina e Russia dallo schierarsi contro un governo rivale in declino che opprime i propri cittadini con la forza? Possiamo facilmente supporre che una seconda guerra civile americana, riconosciuta come tale o meno, genererà ripercussioni in tutto il mondo. Dunque, divers i Paesi decideranno d’intervenire direttamente nel conflitto.
Nonostante questo articolo sia frutto di congetture che potrebbero non realizzarsi mai, i segnali di divisione interna sono più forti che mai. Nessuno dei due candidati sembra possedere le qualità necessarie per scongiurare quella che appare come un’imminente ribellione.