“Non c’è libertà senza giustizia sociale, non c’è giustizia sociale senza libertà”.
Sandro Pertini
Democrazia: un concetto labile
Libertà e giustizia: capisaldi o presunti tali, di qualsivoglia regime democratico. Ma cos’è la democrazia se non un concetto estremamente equivoco? Di questa equivocità ne è un esempio l’ex regime Iraniano di Khomeini, definito prima Repubblica democratica islamica e poi ridotto a Repubblica islamica. Qual è il perché dell’omissione? Secondo le parole di Khomeini “per via della perfezione del termine islamico“: così perfetto, al punto da inglobare anche il termine di democrazia e non a caso. Infatti, la parola democrazia non necessita di essere esplicitata, in quanto corrotta dalla storia delle interpretazioni e questo è un esempio lampante di quanto essa stessa sia oggetto di numerose declinazioni, divenendo così esageratamente labile e ambigua. Talmente labile che il regime politico Nordcoreano, emblema della dittatura e, quindi dell’antidemocrazia per il mindset occidentale – ironia della retorica, altro termine ambiguo – è definito Repubblica popolare democratica di Corea.
Un processo biologico o un darwinismo lessicale?
Poniamo, come nel titolo, questo sguardo al contesto internazionale passato e presente, solo per porre l’interrogativo: come può una Democrazia, emblema della volatilità, partorire, per così dire, concetti stabili? Quelli di libertà e giustizia – senz’altro baluardi della democrazia – non sono di certo costanti; così come il tasso di interesse varia a seconda della politica monetaria scelta, la libertà e la giustizia variano dalla – mia costruzione sicuramente opinabile – politica di accettazione.
Flusso di domande
Guardiamo l’Italia. Poniamo un domanda: può dirsi, il bel Paese, libero e giusto quando a un ragazzo/a di 20 anni, nato/a in Marocco ma residente in Italia dall’età di 6 anni, viene negata la cittadinanza italiana e, quindi, il diritto politico per antonomasia, quello di voto? Si è in un Paese veramente libero e giusto quando si invade la comunicazione -non che io sia contro- di campagne femministe e pro- LGBT e, al contempo, di valanghe di oscenità, direttamente da testate giornalistiche nazionali, nei confronti di una ragazza sprofondata nel baratro del fondamentalismo islamico per ben 18 mesi? (Silvia Romano, ndr).
Le domande continuano. Si è in un Paese sempre libero e giusto quando si inveisce contro, in maniera semplicistica, una destra razzista, mostrandosi paladini della Giustizia- penso a politiche sinistroidi (non a caso Pasolini parlava del Fascismo degli antifascisti) – alimentando al contempo una sinofobia accentuata? Gennaio 2020: lo Spettro invisibile (Covid-19) non ha ancora invaso il continente intoccabile (Europa, ndr), ma è un qualcosa di Cinese. Si è in un Paese giusto quando il Gender wage gap è sempre più acuto? Quando una donna politica è costretta a ricorrere alla scorta per via, anche, di insulti sessisti? Basta interrogativi, basta domande retoriche, domande che portano tutte alla medesima risposta, che si riassume con un semplice monosillabo: no.
Io, però, voglio che il sì sia presente. Voglio farlo vivere. Il sì, inteso come libertà e giustizia, si concretizza nella scrittura.
Uno sguardo storico
La libertà di parola è un’arma potente, uno strumento imprescindibile. Tuttavia, essa non può e non deve esaurirsi nella penna, come disse Pertini, la libertà di stampa era prerogativa dei regimi liberali dell’Italia prefascista; ma cos’era la libertà di parola per quella massa di contadini analfabeti? Cos’era la libertà di parola per chi, invece, non poteva che imprecare per la fame?
Ma non guardiamo più al passato. Che cos’è oggi la libertà? Che cos’è oggi la giustizia? Preferisco non rispondere.