sabato, 21 Dicembre 2024

Fratelli D’Innocenzo, Dostoevskij e la polifonia della devastazione

Dostoevskij è l’ultima fatica dei fratelli D’Innocenzo. I formidabili cineasti gemelli sviluppano un immaginario crudo già profondamente connotato con questa serie televisiva pensata come opera-mondo sull’oscurità. Distribuita in due atti al cinema dall’11 al 17 luglio, la serie andrà prossimamente in onda sulla piattaforma Sky con una divisione in sei episodi.

Manipolazioni di un genere

I fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo hanno scelto di comporre la loro personale variazione su tema di uno dei tropi più abusati dell’immaginario televisivo. Un detective di mezza età dal temperamento duro e respingente si mette a caccia di un pericoloso serial killer. Confrontarsi con narrazioni così radicate nella coscienza culturale implica la necessità di trovare un appiglio drammaturgico originale che impedisca di soccombere all’ordinarietà dei palinsesti. Ma, la ragione profonda per cui il pubblico è così appassionato a questo tipo di racconti è da ricercarsi nella potenza di una narrazione fondata sulla necessità di rintracciare ciò che è male per epurarlo dal mondo. In questo senso, il detective incarna un moderno eroe epico che ingaggia una lotta con il serial killer volta alla neutralizzazione dell’oscurità. In questo scenario bene e male sono due istanze che non possono in alcun modo comprendersi e tantomeno invischiarsi. Ma, non è questo il caso di Enzo Vitello, il poliziotto protagonista della serie, e di Dostoevskij.

Filippo Timi, protagonista della serie televisiva dei fratelli D’Innocenzo.
https://www.today.it/film-serie-tv/sky/Dostoevskij-fratelli-innocenzo-quando-esce.html

Un assassino, uno scrittore

I D’Innocenzo hanno messo a punto uno stratagemma tanto sofisticato quanto potenzialmente letale. Il loro efferatissimo serial killer miete le sue vittime senza uno schema e senza un vero e proprio modus operandi. Ma, per ogni omicidio scrive una lettera. Con un linguaggio elaborato e penetrante, l’assassino, per questo ribattezzato Dostoevskij, lascia delle piccole impronte del suo operato giustificato da un unico principio. Per lui, la morte è il modo per liberare le vittime dal tedio che caratterizza la vita, lo stesso insopportabile male che attanaglia il killer.
L’operato del criminale vira su un piano strettamente esistenziale che permette a Enzo Vitello di porsi in intima sintonia con l’assassino. Nelle fasi più critiche di un’indagine inconcludente, il detective costruisce infatti una sorta di dialogo con le lettere lasciate sui luoghi dei delitti. Proprio come accade in Delitto e castigo, in cui l’intuizione dialogica dell’investigatore Potrovič gli permette di penetrare l’irrisolto animo del reo Raskol’nikov, Enzo Vitello è l’unico a comprendere Dostoevskij. Lasciato da parte il giudizio, il detective si pone in un pericoloso rapporto di risonanza interiore con le azioni dell’assassino.

L’uomo del sottosuolo dei fratelli D’Innocenzo

Che Enzo Vitello sia in qualche misura affetto dal male è chiaro sin dalla prima folgorante sequenza della serie in cui compie è un tentativo di suicidio. Una chiamata di lavoro lo strappa al veleno che ha ingerito: il detective si infila due dita in gola e vomita la morte perché il dovere lo chiama. Non sa che quel giorno avrà inizio la sua lotta con Dostoevskij. Ma la conflittualità con il serial killer è totalmente interiorizzata: quando trova le sue lettere vicino ai cadaveri, Enzo è impaziente di leggerle per poter leggere se stesso. Come per un sadico gioco del destino, i demoni del detective sembrano prendere forma nelle parole di Dostoevskij. Ciò che ne risulta è una dinamica che spazza via il manicheismo tra bene e male e mette in scena il conflitto tra il senso di colpa per la pulsione verso il male contro il cinismo efferato dell’azione. In questo senso, sembra che i D’Innocenzo abbiano colto in pieno una delle grandi lezioni di Dostoevskij (lo scrittore, non l’assassino). È al grande romanziere che si riconosce il merito di aver svelato una volta per tutte la spinta verso il male che si annida nelle profondità dell’umano. Enzo è quindi uomo del sottosuolo fino in fondo, un ammasso tettonico di pulsioni inconfessabili che l’andamento sismico della narrazione rivela sino a sviscerare l’essenza oscura del suo protagonista.

Filippo Timi e Carlotta Gamba in Dostoevskij dei fratelli D’Innocenzo.
https://www.vanityfair.it/article/fratelli-dinnocenzo-dostoevskij-serie-tv-filippo-timi

Polifonia della devastazione

Ma c’è un altro tratto caratteristico che i fratelli d’Innocenzo sembrano ereditare da Dostoevskij, vale a dire l’assetto polifonico della narrazione. All’alba del XX secolo, il critico Michail Bachtin identifica nella pluralità delle coscienze indipendenti, e spesso inconciliabili, il tratto caratteristico della scrittura del romanziere. Nella serie televisiva non solo i personaggi parlano molto e letterariamente (nel senso che, con l’eccezione dei momenti più drammaticamente connotati, i personaggi parlano come se stessero scrivendo), ma la coscienza stessa di Enzo sembra frammentarsi nelle voci degli altri. Ognuna delle voci costruisce in questo senso lo spazio enunciativo della conflittualità del protagonista: i suoi bisogni contrastanti e le sue mancanze assumono i volti dei personaggi e in questo modo il dramma messo in scena risulta completamente assorbito nell’io sotterraneo di Enzo. Lo stesso serial Killer Dostoevskij non che è il luogo più impantanato della sua anima, la manifestazione estroflessa del suo male.

La purificazione per i fratelli D’Innocenzo

Non si può aggiungere molto altro senza rivelare alcuni dei punti chiave di Dostoevskij. Di certo, durante la visione ci si sente sopraffatti da un profondo senso di devastazione reso materico dalla splendida cinematografia di Matteo Cocco in grado di restituire il capillare senso di sporcizia che domina la storia.
Spesso, nelle loro interviste, i fratelli D’Innocenzo hanno fatto riferimento alla parola catarsi. In effetti, quando la visione termina un nuovo equilibrio è stato ricostruito e la vita sembra tornare a scorrere placida. Ciò nonostante, quello che la serie televisiva sembra porre è più che altro un interrogativo sull’ontologia del male che pervade l’umano: è davvero possibile una catarsi? E se sì, qual è la vera natura di una purificazione?

Michela Solitro
Michela Solitrohttps://www.sistemacritico.it
Sono nata durante un gelido inverno e forse per questo ho sempre le mani fredde. Quando non scrivo, leggo e quando non leggo, guardo film. In ogni caso, bevo troppi caffè e mi dimentico di annaffiare le piante.

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