Primavera del 1956, Pinacoteca di Brera. Fernanda Wittgens, da sedici anni direttrice della galleria, organizza “Fiori a Brera”, una delle iniziative più riuscite nella storia dei musei italiani, frutto della prima collaborazione tra un’azienda privata e un museo nazionale.
Fiori a Brera
Gli anni successivi alla guerra furono anni difficili per tutti, anche per le gallerie d’arte e i musei, che si ritrovarono a fare i conti con opere disperse, edifici distrutti e un pubblico inesistente.
Per incentivare l’afflusso di persone, Fernanda Wittgens organizzò diverse iniziative, tra cui proprio “Fiori a Brera”. Ebbe luogo nelle sale della pinacoteca tra il 29 aprile e il 6 maggio, grazie all’appoggio economico dei grandi magazzini La Rinascente. Per l’occasione un’immensa quantità di fiori riempì le stanze del museo, gli stessi che i visitatori ritrovavano dipinti sulle tavole e sulle tele appese alle pareti. L’esito fu decisamente scenografico e la portata di pubblico eccezionale (180mila visitatori in una settimana, di cui 40 nella sola giornata di domenica). Ciò fu possibile anche grazie alla promozione pubblicitaria e alla parallela esposizione della Danza degli amorini di Francesco Albani (dipinto ad olio del 1660) – di proprietà di Brera – in una delle vetrine della Rinascente.
Fernanda Wittgens mise in atto una campagna di marketing, in un periodo in cui il marketing culturale ancora non esisteva in Italia.
Lo scopo sociale del museo
La direttrice, senza saperlo, anticipò una questione che sarebbe diventata attuale solo decenni più tardi: il confronto tra il museo e le nuove esigenze sociali.
La sua idea era quella del museo vivente, un luogo dove chiunque potesse sentirsi accolto e potesse imparare qualcosa. La Pinacoteca doveva essere «un organismo vivo, producente e non imbalsamato come museo intoccabile, dove nessuno va perché “c’è già stato”.».
Un centro culturale attivo.
Fernanda sentiva l’esigenza di intrecciare un rapporto vero con la nuova società. Per questo avviò, a partire dal 1951, una serie di iniziative e di attività inedite rivolte a un pubblico eterogeneo. Bambini, giovani, pensionati, operai, insegnanti, potevano ora assistere a concerti di musica classica e a sfilate di moda tra le sale. Iniziarono anche le aperture serali, organizzate per venire incontro a tutti.
È la formula del “museo vivente”, aperto alle diverse forme d’arte.
Lungimiranza
Non per niente, quindi, Fernanda Wittgens divenne la prima donna in Italia a dirigere un museo statale.
Nata nel 1903 da una famiglia di origine austro-ungherese, iniziò come insegnante di liceo, per giungere nel 1928 alla Pinacoteca di Brera con la qualifica di operaia. La sua dedizione, però, le permise di diventare in poco tempo l’assistente del direttore Ettore Modigliani e di contribuire alla crescita del museo.
Nel 1940 le leggi razziali causarono il licenziamento del suo maestro e la conseguente sua nomina a curatrice della galleria.
Il suo primo pensiero fu quello di mettere in salvo dai bombardamenti e dai nazisti la preziosa collezione, spostata in edifici privi di pericoli e in località protette. Un’impresa eccezionale, terminata solo nel giugno del 1943. Mai ci fu migliore tempismo: le bombe colpirono e distrussero Brera nella notte fra il 7 e l’8 agosto.
Nel luglio del 1944 entrò in carcere per aver aiutato gruppi di ebrei a fuggire e vi restò per quattro anni.
Fernanda Wittgens, l’allodola
Concluso questo periodo e conclusa la guerra, tornò ad affiancare Modigliani nella rinascita della Pinacoteca di Brera. Dopo la morte del suo mentore nel 1947, divenne definitivamente direttrice.
Esattamente tre anni più tardi, nel giugno del 1950, inaugurò la “Grande Brera” – da lei stessa definita – un insieme di trentotto spazi espositivi completamente ristrutturati, che sarebbero dovuti diventare (e che poi sono diventati) il punto di riferimento per la nuova cultura internazionale.
Fernanda Wittgens morì prematuramente l’11 luglio 1957. Migliaia di persone parteciparono alla camera ardente allestita nella Pinacoteca, segno del riconoscimento e del rispetto verso quella donna che tanto aveva fatto per il museo e per la città di Milano.
Fu il suo allievo Franco Russoli a portare avanti la sua eredità e a farsi promotore della missione sociale del museo.
Fernanda Wittgens è stata soprannominata l’allodola, per la sua grandezza discreta evidente soltanto quando le ali si aprono in volo. Non poteva esistere definizione migliore per una donna che, pur compiendo imprese straordinarie, ha evitato il clamore delle cronache, lavorando giorno e notte al servizio dell’arte, della bellezza e della libertà.