martedì, 24 Dicembre 2024

Fine pena mai

1784, un numero importante

1784. Sarebbe bello poter dire che fu l’anno in cui il pittore francese Jacques-Louis David completò Il giuramento degli Orazi o l’anno in cui James Watt brevettò la locomotiva a vapore. Oppure approssimativamente la distanza in linea d’aria tra la Vetta d’Italia, il punto più a nord dello Stato, e Lampedusa. Ebbene, purtroppo 1784 non è una data e neanche di una distanza. Di cosa si tratta verrà comunicato in seguito. Per ora è bene partire dal principio.

Il lascito degli illuministi

Dalla nascita del movimento illuminista, e più precisamente dalla pubblicazione del saggio Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria nella seconda metà del XVIII secolo, si interpretò la Giustizia diversamente rispetto ai secoli precedenti. Il lascito degli illuministi ha ancora oggi un’incidenza determinante nel nostro ordinamento giuridico. Ricordiamo diversi principi tra i quali nullum crimen sine lege, la riserva di legge e il sillogismo perfetto, oppure valori come la laicità e la liberalità dello Stato e per quanto riguarda la pena la sua proporzionalità, la funzione preventiva e rieducativa di cui essa si fa carico e il divieto di pena di morte.

Art. 27.4 della Costituzione: inammissibilità della pena di morte

Proprio su questi ultimi due concetti sarebbe bene soffermarsi: funzione rieducativa della pena e divieto della pena di morte. Si spera che tutti nel 2021 siano d’accordo sul fatto che la pena di morte sia scorretta e disumana, in quanto lo Stato si pone come omicida del reo. Questo per retribuire un crimine da lui compiuto e quindi una lesione da lui provocata a scapito della società. È un dato di fatto che la pena di morte non porti alcun vantaggio alla società, la quale, anzi, si vede privare della presenza di un consociato, comportando quindi altro dolore, sofferenza e difficoltà. Per non parlare del fatto che è una pena irreversibile e che, come a volte accade, in futuro probabilmente si riconosca un errore compiuto dal giudice in sede di processo. Ma l’innocente imputato è ormai defunto.

Funzione rieducativa della pena

Analizziamo ora la funzione rieducativa della pena. L’articolo 27 della Costituzione recita al terzo comma: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”. Questo articolo sottolinea che, oltre ad avere una funzione retributiva e preventiva, la pena deve permettere il reinserimento sociale del condannato. Una volta compreso il senso della pena nei due parametri di rieducazione e di umanità (quindi l’esclusione della pena di morte), la domanda sorge spontanea. Come può l’ergastolo essere ammissibile da un punto di vista Costituzionale? Questo tipo di pena, proprio dei delitti, non lascia prospettive future al condannato che non potrà mai uscire dal carcere e, di conseguenza, essere rieducato. Si potrebbe definire una “pena di morte dalla vita in società”.

Restorative justice: una nuova prospettiva di giustizia

È un tema molto dibattuto nella giurisprudenza e assai complesso. La tesi più utilizzata a favore dell’ergastolo afferma che sia giusto che per un crimine orribile il reo sconti la pena più dura, in modo da retribuire il danno compiuto.
È quindi una tesi fondata sull’odio, sul disprezzo. È una tesi che non tiene conto dei diritti umani del condannato e delle reali funzioni della pena. Condannare all’ergastolo il colpevole non cancellerà il dolore che egli ha provocato.
È proprio partendo da queste supposizioni che negli anni ‘80 nasce una nuova idea di giustizia chiamata restorative justice (o giustizia riparativa), che consiste nel considerare il reato principalmente in termini di danno alle persone. Da ciò consegue l’obbligo, per l’autore del reato, di rimediare alle conseguenze lesive della sua condotta. A tal fine, si prospetta un coinvolgimento attivo della vittima, dell’agente e della stessa comunità civile nella ricerca di soluzioni atte a far fronte all’insieme di bisogni scaturiti a seguito del reato.

La gestione dei fondi statali a favore delle carceri

Una seconda tesi molto accreditata a favore dell’ergastolo ribadisce la pericolosità sociale dei condannati a questo tipo di pena. La soluzione è tanto semplice quanto complessa.
Semplice da un punto di vista teorico, in quanto sarebbe sufficiente adottare dei piani di rieducazione ben strutturati e applicare determinate misure al fine di allontanare il reo e la propria famiglia dalla malavita e da situazioni di povertà e degrado.
Complessa da un punto di vista pratico, poiché un’erronea o insufficiente gestione dei fondi da parte dello Stato a favore delle carceri e della scuola implica l’aumento della criminalità.

Quando e come si diventa criminali?

Altro spunto di riflessione interessante lo fornisce la psicologia: si nasce cattivi o lo si diventa?
Gli amanti delle serie TV ricorderanno Mindhunter, che sviluppa proprio questo tema. La risposta più frequente data dalla giurisprudenza è che si diventa cattivi. Il fatto di essere criminali dipende dall’ambiente in cui si nasce e dalle circostanze presenti nella fase di crescita. È intuitivo che chi ha avuto la sfortuna di nascere in luoghi controllati dalla criminalità organizzata, senza un’adeguata istruzione e senza prospettive di vita sia più propenso a delinquere.

1784 speranze di vita spezzate

È il momento di svelare il significato del numero che citato a inizio articolo.
1784 è il numero registrato nel 2020 degli ergastolani presenti nelle carceri italiane. Ogni volta che in televisione, sul giornale o sui social media si scopre di una condanna all’ergastolo, sarebbe meglio provare a mettere da parte le reazioni di pancia e proviamo a riflettere sulla vita del condannato, sulle sue prospettive, sul suo futuro e sul senso della pena. È sempre bene ricordare che dietro quelle sbarre c’è un essere umano che, per quanto abbia sbagliato, ha vissuto in situazioni di degrado e che probabilmente vuole porre rimedio a ciò che ha compiuto. Chiediamoci sempre in che mondo vogliamo vivere e che speranze vogliamo dare a chi commette degli errori.
Preferiamo una pena che abbia una cieca funzione retributiva o una fiduciosa funzione rieducativa e riparativa?

Il drammaturgo russo Anton Čechov pose un dilemma interessante: “La pena capitale uccide all’istante, mentre l’ergastolo lo fa lentamente. Quale boia è più umano? Quello che uccide in pochi minuti o quello che strappa la vita in tanti anni?”.

Giovanni Domenicucci
Giovanni Domenicuccihttps://www.sistemacritico.it/
Non sopporto la montagna, non credo nei principi scout, non parlo mai di politica, non mi piace dibattere su questioni giuridiche e dico bugie. Studio giurisprudenza nella città che ritengo, a mani basse, stupenda: Trento.

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