lunedì, 18 Novembre 2024

Eurocentrismo e storia: opportunità o occasione persa?

Un termine e un concetto che sottolineano una realtà ancora oggi al centro delle discussioni. Al di sopra di queste, un’unica domanda: può la centralità dell’Europa stimolare la conoscenza delle nostre radici?

Terminologia discutibile

Se si apre il dizionario e si sfoglia quel numero smisurato di pagine alla ricerca del termine eurocentrismo si può trovare la seguente definizione:

“Concezione che vede l’Europa come protagonista e centro della storia e della civiltà.”

Dal dizionario di Oxford

Una frase molto chiara, che esprime una tendenza da sempre radicata nel substrato della nostra società europea. Un giudizio, probabilmente una discriminazione, verso tutte le altre culture. Il pregiudizio di una civiltà che si ritiene più progredita e sviluppata.

L’eurocentrismo da sempre è al centro della nostra formazione e del nostro modo di pensare. Lo si può notare, anche in maniera molto semplice ed evitando grandi discorsi, ad esempio entrando in una qualsiasi aula di scuola. Dalle elementari alle superiori, attaccata alla parete ci sarà sempre una mappa dell’Europa in bella vista, dalla quale partire per spiegare la nostra geografia, la nostra storia e la nostra civiltà. Il problema ad alcuni potrà sembrare inesistente, ma viene messo in evidenza se si considera il fatto che a molte cartine dell’Europa il più delle volte non corrispondono altrettanti planisferi, altrettante carte dell’America, dell’Africa, dell’Asia e di tutte le altre realtà del nostro mondo.
La metafora, ovviamente, non vuole essere solamente geografica ma considerare un contesto assai più ampio a livello storico, etnografico, culturale ed economico.

Quando la storia cambia

Un’enfasi, quella per il mondo occidentale, che ha ovviamente radici geopolitiche. La massima espressione dell’eurocentrismo è localizzabile infatti nel colonialismo e nell’imperialismo europeo tra il ‘700 e il ‘900, quando si riteneva che l’importanza dello stile di vita europeo rendesse possibile un rimodellamento di stati considerati inferiori su canoni più “nostri” (con l’esempio cardine del colonialismo in Africa).

Non è un caso che il focus si sia allargato con la fine delle guerre mondiali. La sempre maggiore perdita di potere dell’Europa a vantaggio delle potenze asiatiche e americane (una realtà di cui ci rendiamo conto giorno per giorno) ha determinato la crisi dell’eurocentrismo in favore di una visione più globale. Anche se in alcuni casi con derive certamente discutibili, come il neomondialismo economico.

Ampio dibattito

Ovviamente, una visione di questo tipo non può non aver generato nel corso degli anni forti polemiche. Il grande sforzo portato avanti dal mondo occidentale per “calare dall’alto” la propria prospettiva spazio-temporale ai paesi extra-europei è stata terreno di grande dibattito per gli studiosi.

Si può citare, ad esempio, il contributo del 2008 del professore Jack Goody, il cui titolo conia il concetto di “furto della storia“. Per questo antropologo inglese le radici dell’eurocentrismo sarebbero addirittura da ricercarsi a partire dalla preistoria. La diffusione dell’uomo in Europa, infatti, determinò un primo step di una tendenza poi pienamente sviluppatasi con la Grecia classica, da sempre considerata un esempio per i moderni sistemi istituzionali europei e non.

Secondo Goody, questo focus è in parte errato, dal momento che la democrazia diretta si espresse nel corso dei secoli in altre realtà molto spesso dimenticate dalla ricostruzione storica moderna e contemporanea (in particolare l’esempio riportato è quello della civiltà dei Fenici). Egli poi non manca di sottolineare come buona parte delle innovazioni tecnologiche del cosiddetto Rinascimento europeo derivino da contatti con il vicino Oriente, in particolare con la cultura islamica e cinese. Come sottolineato in precedenza, la criticità sta proprio nella prospettiva portata dall’eurocentrismo.

Il professore Jack Goody

Altri esempi che non si possono omettere sono rappresentati dai lavori dal sociologo Gerard Delanty, che evidenzia le ragioni del dominio coloniale europeo nel XIX secolo, e dell’economista e politologo Samir Amin, che sottolinea come l’ideologia europea appaia da sempre estremamente deformata, specie se la si vuole considerare in una prospettiva più globale.

Bisogna superare l’eurocentrismo?

Alla luce di questi illuminati esempi, tuttavia, fa da contraltare l’opinione di chi pensa che una prospettiva come quella portata dall’eurocentrismo abbia una sua particolare utilità ai giorni nostri. In un mondo estremamente globalizzato, infatti, le prospettive e le peculiarità culturali rischiano di sfumare l’una con l’altra. Una tavolozza nella quale si sono mescolati i colori a casaccio.

Parte del mondo intellettuale, dunque, si chiede se un po’ di eurocentrismo a livello storico e culturale (dal momento che quello economico appare totalmente superato) non serva a preservare e a trasmettere le radici europee alle generazioni future. In questa prospettiva l’eurocentrismo diventa un’opportunità di preservazione della memoria storica dell’occidente.

Certamente questo concetto rischia di avere un suo seguito ed una sua logica. Ma ancora una volta il vero problema è la prospettiva con cui si considera la questione. Se è vero infatti che l’eurocentrismo da un punto di vista didattico permetterebbe una maggior consapevolezza della base storico-sociale su cui si è costruito nel corso dei secoli il continente europeo, è altrettanto vero che esso, se portato agli estremi, rischia di farci chiudere in una bolla ideologico-culturale, con evidenti ripercussioni a livello economico.

Politica di compromesso

Di questo, le stesse istituzioni europee sembrano negli ultimi anni essere diventate estremamente consapevoli. Le linee guida sulla didattica scolastica, infatti, vanno sempre più nella direzione di un compromesso. Un equilibrio tra la trasmissione delle radici culturali europee e la consapevolezza dell’esistenza di prospettive assai differenti da quella occidentale. A breve, dunque, le tipografie del paese potrebbero dover aumentare la fornitura di planisferi.
E questo è l’augurio di tutti.

Dalla sfera didattica a quella socio-economica la transizione è estremamente complicata ma indispensabile per viaggiare nel mondo contemporaneo. E una buona bussola per questo viaggio la si può certamente trovare nelle parole dello storico Dipesh Chakrabarty:

“Il pensiero europeo è allo stesso tempo indispensabile e inadeguato per riflettere sulle esperienze di modernità politica nelle nazioni non occidentali”

Dal libro “Provincializzare l’Europa” (2000)

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Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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