venerdì, 20 Dicembre 2024

Ethic o Aesthetic? Ce lo spiega @ilcapovintage

“Certi amori fanno giri immensi e poi ritornano”, non è forse anche il motto del fashion? Secondo le ultime tendenze analizzate dagli esperti del settore e mostrate dai “trendsetter” dello stile che spopolano sui social, la ciclicità della moda è confermata e tangibile.

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Recentemente anche Vestiaire Collective, consolidata piattaforma di compravendita del lusso second-hand, ha lanciato un’avvincente campagna pubblicitaria per le strade di Milano, dopo averla sperimentata prima a Parigi. Con il nome “Lunga Vita alla Moda”, essa fa leva su un approccio più consapevole agli acquisti, utilizzando un linguaggio giovanile e goliardico: “C’è in giro gente vestita come tua nonna. E sta da dio.” recita una delle locandine affisse in centro a Milano.

Foto di “Marketing Sniper

Le premesse per raggiungere finalmente un contatto più eco-friendly con il mondo del fashion sembrerebbero più che buone; icone contemporanee, come la supermodella Bella Hadid, hanno dichiarato infatti il loro amore per il vintage, una parola che già da sé richiama classe ed eleganza (dal francese antico “vendenge” ovvero “vendemmia”, si riferiva a pregiati vini d’annata). Hadid è stata fotografata più volte con capi ricercatissimi di vecchie collezioni, inseriti alla perfezione in uno stile eclettico e personale che non per niente la sta rendendo celebre: basti pensare che la sua influenza ha creato terreno fertile per le “Bella Copycats”, ovvero chi cerca di vestire in modo simile a lei.

L’aesthetic che deriva dal mondo retrò è ammaliante: senza dubbio rispondere “è vintage” piuttosto che “è di H&M” alla domanda “dove hai preso questo vestito?” ha tutto un altro sapore, rotondo come un buon calice di rosso invecchiato. Ora che l’acquisto di seconda mano va di pari passo con Zara in quanto ad hype e le opzioni di acquisto sono aumentate notevolmente rispetto ad anni fa, è davvero necessario continuare ad abusare del fast fashion?

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Piattaforme online come la sopracitata Vestiaire Collective si affiancano ad altre non dedicate solo al mondo luxury ma alla portata di tutti: è il caso di Depop o ancor di più di Vinted, app sulla piazza da tempo ma sbarcata in Italia solo negli d’anni (senza contare la vera e propria esplosione mediatica che sta ottenendo grazie alle creators che su Tiktok si occupano di cercare i capi di tendenza per il loro seguito). Su Vinted è anche possibile trovare fast fashion, ovvero prodotti nuovi con cartellino come appena comprati in negozio, mitigandone però l’impatto ambientale e riuscendo a dare una nuova vita agli articoli.

Se è vero che il fine giustifica i mezzi, allora potremmo dire che non è necessario che l’ideologia principale di chi compra vintage sia green, ma basta che lo si compri preferendolo al fast fashion. In questa battaglia sinergica per emergere dalla massa e allo stesso tempo aiutare il pianeta, etica ed estetica non sono mai state così vicine

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Per rendere questo articolo più accurato segue l’intervista a Beatrice Mesguich (classe ’97), proprietaria della boutique “Il Capo Vintage”, un vero gioiello torinese, perfetto mix tra cultura pop (non potrete non notare gli stickers di Harry Styles) e reverenza per il passato. La cura con cui la scelta di capi è presentata al cliente fa già intuire che non siamo di certo in una delle solite catene da centro commerciale. Chi meglio di lei, che con i social ci sa fare e che (anche se per poco) fa parte della Gen-Z, ci può aiutare? Attraverso una serie di domande, a metà tra il professionale e il personale, si potrà capire meglio la visione di chi del vintage ha fatto la sua vita.

Foto di Beatrice Mesguich, dettagli de “Il Capo

Intervista

Diciamo che va bene tutto, affinché si inizi, magari si arriva per il blazer oversize che va tanto di moda, e poi si notano altri capi, un maglione in cashmere e così via...”

Beatrice Mesguich

Innanzitutto, domanda scontata, visto che “Il Capo Vintage” è piuttosto recente: da cosa è nata l’idea di aprire un negozio interamente dedicato a capi di seconda mano o di vecchie collezioni, ora che il mondo sembra sempre di più allontanare il passato?

Il Capo nasce da un periodo complicato della mia vita, che ho cercato di svoltare aprendo questo negozio. Tanti di noi sono collegati al passato, magari non esplicitamente ma abbiamo ricordi dei nostri genitori o nonni che ci mostrano come fosse diverso una volta, ma non proprio del tutto. Mia mamma e i miei nonni hanno sempre lavorato nel commercio del vintage, perciò è stata un’evoluzione. A me piace trovare cose del passato ma non ignoro le tendenze, quindi cerco nel passato capi che vanno di moda ora. E’ più facile ultimamente trovare riferimenti visto che il vintage è di tendenza, la maggior parte di quello che si trova nel fast fashion è in gran parte ispirato a collezioni passate.

La selezione di capi da te proposta come nasce? Quanto influisce il tuo gusto personale e quanto invece influiscono i trend proposti dalle passerelle di moda, e perché no, dai social?

La selezione dei capi è molto influenzata dal mio gusto perché ho la brutta/bella abitudine di selezionare un capo alla volta e solo quello che metterei anche io. E’ come se fosse un prolungamento del mio armadio, però non tutti hanno il mio gusto perciò spesso mi faccio aiutare dai miei amici, questa settimana andremo in Francia dai grossisti. A volte anche mia mamma, che non ha mai smesso di andare in giro per mercatini, mi porta dei pezzi: la ricerca è quindi un mix tra il mio gusto, quello di chi mi circonda e ovviamente anche quello dei social. Il mio stile è cambiato tantissimo da quando uso Tiktok e da quando seguo Harry Styles. Ho un’80% di capi basici che uso a rotazione e inoltre le tendenze che vedo su Tiktok ultimamente sono vintage, quindi è facile che siano nelle mie corde.

E’ inutile dire che non siamo influenzati dalla moda e che ogni giorno decido totalmente in autonomia come vestirmi: se sei sui social, ne sei ovviamente influenzato. Ognuno di noi però è diverso, quindi la distinzione è tra chi segue la moda e basta e chi la segue ma facendo proprio quello che vede. Questo è essere dentro al mondo della moda, non copiare e incollare il look della vetrina.

Trovi che l’influenza di icone contemporanee popolari tra i giovani possano giovare alla riscoperta del mondo della moda vintage e sostenibile?

Assolutamente sì, ci sono tante star ed influencer che si avvicinano al mondo del vintage. Ci sono anche due correnti: chi si compra la Chanel vintage perché va di moda continuando a vestirsi totalmente fast-fashion, o chi fa veramente ricerca, chi ama quello che sta toccando. E’ facile che arrivino anche qui ragazze molto giovani che seguendo i trend vogliono, ad esempio, un blazer oversize perché è all’ultima moda (meglio così ovviamente piuttosto che andare da Zara).

Ma ho anche clienti più esperti che sono qui perché ricercano la qualità, un pantalone sartoriale analizzando le cuciture. Mi fa anche molto piacere quando magari qualcuno non vedendo l’etichetta viene a chiedermi la composizione del capo, quello è ancora uno step successivo. Va benissimo anche quando vengono clienti “alle prime armi” perché vogliono un abito vintage, anche solo per moda, è comunque un primo approccio. Diciamo che va bene tutto affinché si inizi: magari si arriva per il blazer oversize, e poi si notano altri capi, un maglione in cashmere e così via. Ancora non è immediato passare prima in una boutique vintage, poi, come piano B, andare nel negozio fast fashion.

Domanda scomoda: in percentuale, in quanti comprano vintage per ridurre il consumo di fast-fashion e in quanti per seguire la moda (perché ora vintage = cool)?

Io trovo che sia molto difficile per me parlare di cose scomode, sono sempre le benvenute. In questo momento sì, è di moda vestirsi vintage e sono molto felice di questo ma ci sono due facce della stessa medaglia. La prima è che chi entra qui cercando le 2/3 cose che vanno ora, lo riconosci subito perché non considera nient’altro al di fuori dell’articolo di tendenza. L’anno scorso per esempio era scoppiata la moda dei Levi’s 501: alcuni entravano cercando quelli e basta, se gli stavano male (cosa facile perché il modello è rigido) non accettavano nessun altro consiglio, ad esempio il Levi’s 521, più comodo). Adesso vanno tanto i blazer, i completi, le gonne e i trench.

Magari i primi clienti vengono due volte: la prima si concentrano solo sull’obiettivo modaiolo, la seconda esplorano di più. Sono anche contenta della moda dei creators che vanno al mercato e mostrano tutti i tesori che hanno trovato, però passa anche l’idea sbagliata del fatto che per noi che vendiamo vintage fare tanta cresta su un pezzo sia la regola. Si pensa “questi comprano a 2 euro e rivendono a 50” ma sono due discorsi diversi. L’acquisto per un negozio è di tanti pezzi, i prezzi dei grossisti sono diversi, si parte sempre da due cifre, innanzitutto. Comunque, avvicinare un pubblico che prima non considerava il vintage a questo nuovo approccio è sempre un bene.

Trovi che a lungo andare il vintage, dato il boom di ora, possa trasformarsi in una sorta di fast-fashion?

Alla base di ogni acquisto bisogna chiedersi se “quella cosa lì effettivamente mi serve”. Ovviamente poi a volte si è spinti dall’impulso dell’acquisto: hai visto un maglioncino su Tiktok e ne vuoi uno uguale per ricreare quel look, certo, però bisogna dare rispetto a quel capo. Non bisogna esagerare. Anche chi va al mercato e trova una bancarella con tutto a 5 euro, dovrebbe chiedersi “quante volte metterai quei dieci pezzi acquistati perché era un affare?”.

E’ necessario educare verso un altro approccio all’acquisto, più attento, consapevole, stagionale e soprattutto capire quello che ci serve. Ovviamente poi ci sta l’acquisto impulsivo, però non deve essere la regola, servono più consapevolezza e lentezza. Il vintage, ora che sta andando tanto, rende più difficile il fatto di trovarne di qualità. Se prima i grossisti avevano solo 10 negozi da fornire su Torino, ora ce ne sono 25 e perciò è più complesso trovare vintage buono e ovviamente costa molto di più.

La tua attività quanto è influenzata dall’ambiente torinese? Trovi che una grande città sia più predisposta a lasciarsi andare ad una scelta diversa più ricercata, nonostante le numerose proposte fast-fashion?

Venendo da Asti, una città più piccola di Torino dove non c’erano ancora negozi vintage e non c’era possibilità di acquisto, per me andare in vacanza a Parigi ad esempio significava andare a cercare negozi vintage. Per fortuna ora ci aiutano tanto le app, grazie alle quali chiunque può cercare second-hand. Torino è una città dal look molto vintage. Una persona vestita vintage a Torino sta molto bene, con questo allure un po’ parigino. Ovviamente però capisco che se in una città grande il lavoro è solo quello di farsi conoscere, in una città più piccola è anche invogliare ad acquistare questo tipo di vestiti.

Se ci fossero solo vintage sarebbe più semplice, purtroppo per abitudine prima si va nel negozio fast. In ogni caso, non trovo giusti neanche gli estremismi: non è obbligatorio acquistare solo vintage, soprattutto per persone che amano la moda e vogliono essere più stravaganti con un capo specifico. L’approccio deve però essere comunque consapevole.

In conclusione…

Il vintage è un mondo che, attraverso le parole di Beatrice, sembra adatto a tutti e allo stesso tempo impegnativo, accogliente, incompreso, trepidante. Insomma, non ci si annoia. Il dialogo tra etica ed estetica trova una via ben precisa e delineata al suo interno, il miglior luogo dove coniugare gli aspetti più controversi della moda, ovvero sostenibilità ed espressione.

Ormai è chiaro che spetta alla Generazione Z decidere cosa è cool e cosa no ma in questo caso, forse anche con un pizzico di fortuna, è stato un connubio azzeccato. Resta solo da sperare che questo trend rimanga saldo e ancorato alla nostra “for you page”.

Benedetta Mancini
Benedetta Mancini
Studentessa di lettere moderne che ora è passata al mondo della comunicazione, fan della cultura in tutte le sue forme...il mio guilty pleasure è quella pop. Tratti salienti: un po’ troppo amante delle virgole.

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