I filosofi hanno imparato a usare due termini diversi per quel che normalmente diciamo con un solo verbo: “essere”.
Le parole “essenza” e “presenza” : la prima per indicare “ciò che una cosa è”, “la definizione di una cosa”; mentre la seconda specifica “l’esistere di una certa cosa nel mondo”.
Questa distinzione,sia concettuale che terminologica, così banale a prima lettura, è implicita in tutta la riflessione filosofica; sebbene non vi siano spiegazioni esaustive a riguardo.
Ma cosa c’è alla base della questione? Ciò che noi predichiamo “esistere”, realmente, è ciò che esiste secondo il pensiero o ciò che esiste secondo i sensi ( dunque nel mondo )?
La questione dell’essenza
Essere come qualificatore
L’essenza di una cosa è ciò che definisce una cosa.
Per esempio, nell’enunciato “l’uomo è un animale sociale”, animale sociale è il definente, cioè ciò che mostra compiutamente il senso-significato della parola definita, l’uomo.
Il verbo, in questo caso, è usato come qualificatore: “questa cosa è rossa”, “questa pizza è buona”, “questa musica è di Beethoven” sono tutti usi possibili del verbo essere come esplicitatore di essenza.
Essere come indicatore di “presenza” o “esistenza”
Ma esiste anche un altro uso del verbo essere: quello di indicatore di “presenza” o “esistenza”.
Questo secondo caso è quello che prende il nome di “esistenziale”. L’uso del verbo esistenziale ci consente di visualizzare un oggetto nel mondo e di determinarlo.
Per esempio, la frase “questo computer è di fronte a me”: in senso più astratto, significa dire che “questo computer esiste” nel mondo.
In questo ultimo significato l’essere non è tanto attributore di essenza, in quanto non dice affatto cosa sia un computer né qualifica il mio, ma indica semplicemente che esso esiste in un certo luogo e in un certo tempo.
La questione da un punto di vista filosofico
Parmenide, quando dice che l’essere-è, opera una scissione netta tra l’essere e le cose: infatti quello che esiste, l’essere, è solo nel senso essenziale, solo delle cose si può dire che esistono nel senso esistenziale: di una cosa si può dire che esiste qui e ora, non dell’essere.
Dunque Parmenide dice che, in quanto l’essere non è soggetto al mutamento, esso è solo nell’essenza, non nell’esistenza. In questo modo egli arriva a dedurre che l’essere è coincidente col pensiero e, quindi, non è un’entità materiale.
Una questione delicata
La questione è molto delicata: c’è, in ballo, ciò che noi possiamo conoscere attraverso il pensiero e quello che possiamo conoscere attraverso i sensi.
Che un ente fisico sia qualcosa e non qualcos’altro è effettivamente conoscibile dal pensiero in quanto oggetto di ragionamento.
Di un cane non posso predicare la capacità di volare perché la sua stessa definizione non consente di dedurlo. Ma che un cane sia rosso piuttosto che rosa è una cosa che non si deduce dalla definizione perché un fatto del tutto inessenziale.
Una questione complessa
La conoscenza è ciò che si conosce attraverso il solo uso della ragione oppure è ciò che si conosce attraverso i sensi? Oppure ciò che si conosce attraverso i sensi può essere comunque considerato una forma di conoscenza, seppure meno preziosa di quella intellettuale? O ancora esiste solo la conoscenza attraverso i sensi?
Si può dire che questa difficilissima questione, che nessuno mai spiega perché troppo ovvia o perché troppo difficile da spiegare, sia l’essenza stessa di tutta la storia della filosofia.
Alla quale sembra che non si possa dare una soluzione assoluta e definitiva.