giovedì, 21 Novembre 2024

O provvida sventura: il dolore nella letteratura

Dalla nascita della scrittura fino al secondo ventennio del secolo attualmente in corso, il tema del dolore ha costituito e costituisce un aspetto centrale della riflessione letteraria. Le varie sfumature che esso assume per l’autore antico e moderno raccontano l’animo umano e conferiscono bellezza al suo“mare di nebbia” interiore.

Una domanda, mille e millenarie risposte

Mesopotamia, 3200 a.C. Con l’avvento della scrittura i pensieri e le storie degli uomini iniziano a diventare non solo patrimonio di un ristretto gruppo di persone ma dell’intera umanità. La fertilità culturale che si produce in quel momento è incommensurabile, così come le possibilità di confronto e discussione sulle principali domande che riguardano l’uomo in quanto tale.

Una di queste è senza dubbio quella legata alla sofferenza umana, che non a caso si presenta fin da subito come un tema indubbiamente stimolante e difficilmente sviscerabile per un’unica persona. Esso si afferma con Gilgamesh, protagonista di quella che è probabilmente la più antica opera epica della storia, il poema “Enuma Elish”, “Quanto in alto”. In esso il tema del dolore si collega al nemico primordiale dell’uomo, la morte. La punizione che il protagonista subisce da parte degli dei nel vedere il suo migliore amico allontanarsi dalla vita assume di certo un aura religiosa, ma inizia anche a far intravedere una riflessione più “laica” di tutto quel dolore.

Il fine delle sventure dell’eroe è quello dell’esperienza e della formazione: attraverso il dolore e la sofferenza Gilgamesh diviene un sovrano migliore. Un percorso, dunque, di tipo sociale oltre che personale.

Conoscenza e dolore

Passano i secoli e l’interrogativo sulla natura della sofferenza è sempre più ricorrente. Lo sviluppo della filosofia, inoltre, trasforma i compositori della materia letteraria in pensatori che sviluppano idee estremamente moderne.

Una su tutte la correlazione tra sofferenza e conoscenza. Il tema della formazione di Gilgamesh viene ridefinito in una sfera più intellettuale: non è dato all’uomo conoscere tutto. Anzi, quel poco che ad esso viene concesso è pagato tramite estreme sofferenze. Un vero e proprio genere letterario, la tragedia, viene fondato in questa prospettiva. Illuminato precursore è ovviamente l’autore greco Eschilo, che nell’inno in onore di Zeus della sua Agamennone ci spiega il “pathei mathos”, ovvero come la conoscenza si ottenga solo attraverso la sofferenza:

A Zeus che ha avviato i mortali
a essere saggi, che ha posto come valida legge
“saggezza attraverso la sofferenza”.
anche nel sonno stilla davanti al cuore
un’angoscia memore di dolori:
anche a chi non vuole arriva saggezza;”

Una scena dall’Agamennone di Eschilo

Nella sua Nascita della Tragedia anche il filosofo Nietzsche evidenzierà il dolore come fondamentale per il popolo greco, per lo sviluppo della conoscenza e soprattutto per l’origine del bello:

quanto dovette soffrire questo popolo, per poter diventare così bello!”

Exercitatio Virtutis

Di analogo avviso, seppure sotto una diversa sfumatura, il Seneca del De Providentia. Il grande autore latino, rispondendo all’amico Lucilio nella cornice letteraria dell’opera, afferma che il dolore debba contribuire alla virtù e alla fermezza morale del giusto. L’inevitabilità del dolore accomuna il filosofo latino al tragediografo greco, ma nella misura in cui esso contribuisca al progresso interiore dell’uomo.

L’avversità non sconvolge l’animo forte: esso sta nella sua posizione, perché è più forte di ogni cosa. Ma non dico che non sente il dolore: lo combatte e si leva contro ciò che lo attacca. Considera ogni avversità un esercizio.”

L’uomo, dunque, viene quasi paragonato ad un gladiatore nell’arena. Il dolore è il suo nemico naturale e necessario e gli consente, se sopportato pazientemente, di raggiungere le vette più alte del suo animo.

Mancanza o vicinanza di Dio?

Il mio animo tormentato non riposa che in te”. Con questa frase Sant’Agostino introduce una nuova prospettiva sul dolore, e più in generale sul male. Esso deriverebbe, secondo la concezione di uno dei padri della Chiesa, dall’assenza del divino e della tensione naturale dell’uomo al Paradiso. L’uomo è di per sé un essere sofferente, perché non può accedere alla grazia divina, e l’unico modo per colmare parzialmente questo dolore è vivere secondo i precetti del Vangelo.

Dall’immagine di un’umanità naturalmente sofferente introduce la propria concezione anche uno tra i più grandi dell’800, ovvero Alessandro Manzoni. Il concetto di “provvida sventura” che caratterizza l’ossatura portante dei suoi Promessi Sposi caratterizza il tema del dolore come parte integrante della storia dell’uomo, il quale non viene mai abbandonato da Dio, che attraverso la sofferenza certifica il suo amore per l’umanità, assicurando all’umile e al penitente un approdo sicuro ad una vita migliore.

L’innominato manzoniano costituisce uno dei più grandi esempi di tormento interiore e conversione

Milleottocento motivi per soffrire

Il secolo però in cui la tematica del dolore viene maggiormente indagata è senza dubbio il diciannovesimo. La domanda filosofica sulla natura può tuttavia proporre una risposta che a volte può essere amara e insoddisfacente. Lo dimostra Giacomo Leopardi nei suoi più famosi componimenti.

Nello Zibaldone, ad esempio, una verità di inevitabile sofferenza è pienamente manifestata:

Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente, ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl’individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi.”

Giacomo Leopardi

La consapevolezza del dolore umano diventa quindi in Leopardi consapevolezza di un dolore più ampio, quasi cosmico. Un dolore che lascia spazio a pochi intervalli di felicità, riprendendo l’idea di Schopenhauer di una vita come pendolo tra noia e dolore. Un pessimismo cosmico, un destino tragico per l’intera umanità che, come la Ginestra, non può resistere alla “crudel possanza” della natura.

E tu, lenta ginestra,
che di selve odorate
queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco,
che ritornando al loco
già noto, stenderà l’avaro lembo
su tue molli foreste”

L’unico rimedio è quello della solidarietà sociale. Dolore e sofferenza sono il destino dell’uomo, e solo una fratellanza universale dell’uomo, oltre le ideologie, può rendere meno duro questo destino, seppure non possa evitarlo. Potrebbe essere complicato considerare un messaggio di speranza in questa prospettiva. Ma la genialità dell’ultimo Leopardi risiede nell’unire una visione così catastrofica dell’uomo con la possibilità di salvezza data dalla solidarietà, con la possibilità di essere l’unico fiore che riesce a crescere lungo le pendici desolate del Vesuvio, simbolo dell’impotenza umana di fronte alla forza della natura.

Il percorso del dolore

Ciò che la letteratura sembra aver dunque consegnato all’uomo fino a questo momento sembra essere l’idea che accomuna la sofferenza ad un percorso che esso è tenuto ad affrontare: un viaggio di formazione sociale, morale, religiosa e soprattutto cosmica.

Il percorso della sofferenza è infatti la strada non solo del singolo ma di tutta l’umanità: dalle origini del pensiero alle raffinatezze socio-filosofiche dei giorni nostri la tensione dell’uomo verso la felicità risulta certamente essere alla base del pensiero occidentale. Tuttavia, non vi è dubbio che gli ostacoli e le difficoltà di questo percorso affascinino quasi maggiormente la specie umana del percorso stesso, creando un dibattito di difficile soluzione.

Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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