Il 27 maggio l’Italia ha subito una condanna dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, a causa di una sentenza emessa dalla Corte d’appello di Firenze. Questo provvedimento è stato ritenuto contrastante con l’articolo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che sancisce l’inviolabile diritto al rispetto della vita privata e famigliare.
La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo
La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è una Carta che sancisce una serie di diritti fondamentali, riconosciuti a livello internazionale da tutte le Nazioni firmatarie. Ciò che caratterizza la CEDU è l’istituzione di un tribunale volto a garantire che i diritti in essa previsti siano effettivamente rispettati.
La tutela di questi diritti viene infatti ad essere garantita anche dal fatto che una possibile violazione da parte dello Stato può essere direttamente denunciata dai cittadini. Inoltre se la violazione venga accertata dai giudici della Corte, lo Stato responsabile sarà condannato a ripagare un risarcimento al soggetto che ha subito le conseguenze di questa violazione.
La condanna all’Italia
In questo caso specifico la questione si fa particolarmente scottante poiché la condanna all’Italia deriva proprio da un provvedimento di una Corte di Appello. In particolare il procedimento italiano riguardava un caso di stupro di gruppo. Questi soggetti, condannati in primo grado, sono dichiarati innocenti in sede di appello, attraverso una sentenza il cui contenuto è stato condannato dai giudici di Strasburgo.
Secondo i giudici della Corte europea dei diritti dell’Uomo nella sentenza di assoluzione sono è stato utilizzato un “linguaggio colpevolizzante e moraleggiante che scoraggia la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario”.
La sentenza contiene riferimenti alla vita sociale della vittima, il suo abbigliamento e l’atteggiamento tenuto durante la serata. Questi argomenti sono stati utilizzati dai giudici Italiani per fondare l’innocenza degli imputati.
I giudici della Corte non si sono limitati a dichiarare la violazione della Convenzione. Essi hanno individuato come tale sentenza non sia altro che un indice di una diffusa cultura sessista.
Una condanna che scotta
Al di là dell’esito del processo, proprio coloro che per mestiere dovrebbero tutelare gli interessi della collettività, si sono resi protagonisti di questo episodio.
Sebbene questa non sia la prima nè, probabilmente, l’unica condanna derivante dalla Corte di Strasburgo all’Italia, potrebbe rappresentare la più difficile da digerire. In un Paese in cui si discute di quote rosa e sull’opportunità di imporre gli asterischi nei termini tradizionalmente declinati al maschile, si corre il rischio di tralasciare la tutela primaria della vittima.