La Russia: di che regime parliamo
La prima cosa che bisogna chiedersi quando si parla di Russia è: di che tipo di regime parliamo? Progetti come Freedom House e Polity Project, la cui mission è monitorare il livello di democrazia degli stati, facilmente indicano come la forma di stato russo non sia democratica.
Capire di che tipo di regime parliamo è importante. Non tanto per una mera classificazione accademica da scienziati politici, ma per una serie di altri fattori: la reputazione a livello internazionale, la copertura giornalistica, le valutazioni delle agenzie di rating, gli investimenti esteri, gli aiuti internazionali e non per ultima ovviamente la diplomazia. Facilmente capiamo come il modo in cui uno Stato viene visto dalla comunità internazionale possa condizionare le sorti dello Stato stesso.
La Russia combina diversi elementi propri dei regimi democratici e autoritari. Si potrebbe forse definire un “autoritarismo elettorale” (per inserirlo nello schema soprastante, tra competitive authoritarian e electoral democracy).
Negli anni ’90 lo stato nato dalla dissoluzione dell’ Unione Sovietica veniva vista, dal vecchio blocco occidentale, come un paese in transizione. Come se fosse scontato che qualsiasi nazione, una volta uscita dall’ombra del totalitarismo, dovesse intraprendere la strada della democratizzazione.
La legittimità del regime
Il primo elemento cruciale è la legittimità: le elezioni ci sono e la percentuale dei russi che percepiscono il proprio sistema come democratico è stato in crescita fino al 2016 (H. Hale 2019).
Sicuramente la leadership di Putin negli ultimi vent’anni ha potuto contare su un’enorme popolarità, più che sulla legittimità. Questa popolarità è un fattore da non sottovalutare.
Visto da fuori, il regime russo appare a tutti come un regime personalistico, come se riconoscessimo in Putin l’unico che prendere le decisioni. Spesso infatti il Presidente è stato additato come il “nuovo zar” e il regime confuso con un regime dittatoriale. La realtà è ben più complessa di così.
Attorno alla figura di Putin si trova un enorme network di soggetti che, insieme alla percezione della popolazione, crea stabilità in Russia. Questi gruppi di potere cercano il coinvolgimento del Presidente per sostenere i loro interessi e la loro posizione se in contrasto con un altro gruppo di pressione.
La costituzione del 1993
Neanche dal punto di vista costituzionale il regime è, come si potrebbe pensare, presidenziale. Parliamo di un tipo di regime semipresidenziale. La Costituzione del 1993 infatti divide il potere esecutivo tra il Presidente e il Primo Ministro. I poteri del primo sono essenzialmente molto ampi: nomina e destituisce il Primo Ministro e a livello federale può nominare i governatori regionali.
Questo sbilanciamento che tende a dare enorme potere al Presidente ha una matrice storica. Nell’ottobre 1993 il presidente Boris Eltsin risolse i suoi contrasti con il parlamento facendo intervenire le forze armate. Da quel momento la neonata Federazione Russa prese la via del “super-presidenzialismo”. Lo scontro di potere vinto dall’esecutivo ha fatto si che Eltsin potesse scrivere la costituzione che voleva. La stessa costituzione che Putin ha poi ereditato dal dicembre 1999.
Riforma costituzionale
Il problema principale per i regimi ibridi è legato alla transizione del potere. Quando un autoritarismo elettorale si avvicina al passaggio di potere si presenta la possibilità di destabilizzazione del regime. Non potendo utilizzare apertamente (ed esclusivamente) mezzi coercitivi si mantiene un elemento di imprevedibilità. I gruppi di potere cominciano a muoversi per capire su chi scommettere. Si parla di “elite split”: conflitto tra gruppi e fazioni al potere. In questo caso c’è la possibilità di nascano centri alternativo.
Dunque il momento che dovrebbe dare più legittimità al potere e anche il momento in cui questo stesso potere vacilla e il regime è in pericolo. In questo senso, molto importante è la situazione economica in cui versa il Paese. Mantenere la coesione dei gruppi di interesse è molto più facile quando ci sono più fondi da distribuire. Così come è più facile mantenere il sostegno della popolazione e evitare disordini se vi è un livello di benessere generale garantito.
Per risolvere molti di questi problemi legati all’imprevedibilità della transizione, nel gennaio 2020 è stata proposta una nuova riforma costituzionale. Inizialmente quello che viene proposto il 15 gennaio è di conferire più potere al Parlamento per bilanciarne la distribuzione tra i vari soggetti istituzionali. Il 20 gennaio il decreto viene presentato in parlamento, ma solo il 10 marzo 2020 viene presentato l’emendamento Tereshkova che di fatto propone l’annullamento dei mandati presidenziali. Putin infatti non si sarebbe più potuto presentare alle elezioni del 2024, ma avrebbe dovuto ricoprire nuovamente la carica di Primo Ministro per un mandato e presentarsi poi alla elezioni successive (escamotage già utilizzato da lui nel 2008).
Con l’approvazione della riforma della Corte Costituzionale e i risultati del referendum costituzionale, Putin adesso potrà candidarsi per altri due mandati, rimanendo al potere fino al 2036.
La disillusione crescente
I risultati del referendum costituzionale potrebbero far pensare che la leadership di Putin goda di un forte sostegno popolare. Con un’affluenza del 67.8%, il 78,5% dei votanti si è dichiarato a favore della riforma costituzionale. Tuttavia, le votazioni si sono tenute in tre giorni diversi e i brogli sono stati comprovati.
Crescenti sono la disillusione e frustrazione per lo status quo. Il caso Navalny senza dubbio ha riacceso le proteste nella popolazione. Alexei Navalny, oppositore storico di Putin, è stato avvelenato ad agosto 2020. Dopo il periodo di convalescenza in un ospedale di Berlino, la polizia russa lo ha arrestato al suo rientro in patria.
Il 23 gennaio 2021 la polizia ha fermat 3.454 persone nelle proteste contro la detenzione di Navalny in corso in circa 80 città della Russia. Le proteste sono state le più grandi degli ultimi 10 anni.
Grazie alle nuove forme di partecipazione politica e a causa dell’incapacità del regime di creare nuove narrazioni nazionali, una fetta sempre più consistente della popolazione si sta allontanando. Una delle stampelle fondamentali per il regime, grazie a questo gap generazionale, sta cominciando a vacillare.
La Russia si democratizzerà?
Putin dunque ci sarà per moltissimo altro tempo, ma non resisterà per sempre. Più che chiederci dunque di che regime parliamo adesso, dovremmo chiederci di tipo di regime si tratterà in futuro. Una visione ottimistica che continua a vedere la strada della Russia come una strada verso il progresso democratico, ha delle basi: è un paese con grandi centri urbani, la popolazione è abbastanza istruita, non vi sono conflitti etnici e religiosi rilevanti. Tuttavia i problemi che si frappongono alla piena democratizzazione del paese sono molto più consistenti: deboli strutture organizzative e assenza di forti organizzazioni alternative a quelle istituzionali (es. il ruolo giocato dalla chiesa cattolica in Polonia o America Latina). Si può sicuramente pensare a forme più o meno morbide di autoritarismo elettorale, ma la strada è senza dubbio ancora lunga.