Il 17 novembre, il teatro Raffaello Sanzio di Urbino ha avuto il piacere di ospitare sul proprio palcoscenico la compagnia di danza contemporanea Abbondanza/Bertoni; nata dall’influenza dell’esperienza newyorkese nella scuola di Saint Nikolais, degli studi francesi con Dominique Dupuy e delle improvvisazioni poetiche di Carolyn Carlson, unita allo studio e alla pratica dello zen dei due fondatori e direttori artistici, Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, verrà poi riconosciuta una tra le realtà artistiche più prolifiche del panorama italiano.
La compagnia ha momentaneamente in repertorio lo spettacolo “La morte e la fanciulla”, portato in scena solo pochi giorni fa nella città del Duca Federico. Chi ha assistito allo spettacolo ha potuto apprezzare tre diversi capolavori: quello musicale del quartetto d’archi in re minore del maestro Franz Schubert, noto per l’appunto come “La morte e la fanciulla”, quello fisico, maestosamente rappresentato dalle tre ballerine in scena ed infine quello spirituale-filosofico con riferimento alla riflessione sulla “comune amica” dell’uomo: la Morte, in tedesco traducibile con il sostantivo maschile “der Tor”. Ed è per questo che l’opera si fa portatrice di un dualismo inquietante, evidente all’interno dello spettacolo. Le figure femminili danzano e si muovono infatti sempre al confine tra sessualità, erotismo da una parte e morte dall’altra. In scena questo connubio viene spezzato e vengono sì rappresentati i due aspetti, ma distinti tra ciò che avviene sul piano coreografico (la fanciulla) e ciò che avviene sul piano video (morte). La performance difatti non si avvale solamente della fisicità delle ballerine sul palcoscenico ma anche di video ed immagini proiettate alle loro spalle, creando illusione nello spettatore, immerso nella metateatralità, che è rottura ed inclusione.
I corpi che si muovono davanti al pubblico sono privi di qualsivoglia copertura. Nessun filtro, se non quello del fumo utilizzato inizialmente, separa i corpi nudi e sinuosi delle ballerine dal pubblico. L’essere umano appare nella sua nudità totale; come al cospetto della morte. Di fronte alla quale siamo protagonisti incoscienti, come siamo fin dalla nascita. Essa è, come già accennato, l’antagonista che agisce sul piano verticale, ovvero sullo schermo alle spalle delle fianciulle. A rappresentarla c’è l’occhio della telecamera, invadente e sempre presente. Il suono che sentiamo invadere le immagini sullo schermo, a intervallo tra i quattro movimenti del quartetto d’archi, è velato, quasi silente, come fosse il respiro della Morte stessa. Non è una casualità che Schubert abbia composto “Der Tod und Das Mädchen” (“La morte e la fanciulla”) dopo un periodo di grave malattia all’età di 27 anni. Forse dopo aver capito che la morte gli era più vicina di quanto non riuscisse, o non volesse, credere.