Considerate degli studenti universitari davanti alla proposta rarissima, da parte dell’ateneo, di poter intrattenere una conversazione di filosofia, pedagogia o letteratura dentro a un carcere di massima sicurezza. Considerate anche la risposta alla conversazione di filosofia, pedagogia o letteratura di detenuti, ergastolani o in isolamento. Consideriamo allora, adesso, l’esistenza di un progetto di incontro e scambio tra studenti dentro e studenti fuori dal carcere e aggiungiamoci considerazioni generali al di là di una conversazione di filosofia, pedagogia o letteratura ma di condizioni di vita nel mondo reale del carcere: dal diritto allo studio a ciò che è diritto umano.
PERCHE’ PROPRIO UN CARCERE
La Costituzione italiana sancisce all’articolo 27 co. 3 che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato , uno dei principi fondamentali non solo del nostro ordinamento costituzionale e penale, ma racchiude la funzione stessa della pena. Pena intesa in senso polisemico, come punizione, ri-educazione, consapevolezza e prevenzione, significati che nella Costituzione italiana tentano di ridursi riportando la pena a un senso umano: una spinta educativa e una presa di coscienza duratura ed attiva, oltre che una possibile inclusione sociale. Di conseguenza, all’interno di questo discorso è possibile individuare le motivazioni che hanno reso possibile un progetto di scambio extra-curriculare promotore del legame tra università, coscienza civile e riconoscimento dei diritti umani: Studenti dentro e studenti fuori.
Innanzitutto, è necessario risalire all’inizio di questa convenzione: a partire dal 2015 è stato reso possibile il Polo Universitario presso la Casa di Reclusione di Fossombrone con un’elevata presenza di
detenuti con fine-pena molto lunghi o ergastoli, Polo Universitario in costante contatto con gli studenti dell’università di Urbino. Il fine dell’iniziativa era volto a stimolare e continuare l’apprendimento, riconoscere scadenze e, soprattutto, confrontarsi con l’esterno: elementi fondamentali per contribuire alla gestione delle ansie e al riconoscimento della stima personale. Durante l’anno accademico vengono frequentemente organizzati incontri tra studenti del Polo e studenti di diversi corsi di laurea dell’Ateneo e la collaborazione tra lo spazio formativo dell’università e il luogo poco conosciuto del tanto ripetuto carcere o casa di reclusione o casa circondariale a seconda di quale tipologia si parli, secondo le testimonianze degli studenti dentro e fuori (dal carcere) coinvolti nel progetto, si ripropone come un momento di intreccio di punti di vista reali, conoscenza e superamento primario di stereotipi e avvicinamento a un mondo definito anche nascosto a tutta la società. Una lezione universitaria bilaterale con una sovrapposizione di punti di vista da dentro e da fuori fino a una conclusione comune: una conversazione sulle materie universitarie da entrambi trattate, che non sono circoscrivibili nè dentro nè fuori un luogo.
LE RISPOSTE DEL DETENUTO
Il progetto tra gli studenti dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo-diventata tra le prime otto d’Italia per le attività di “Terza missione” – e La casa di Reclusione di Fossombrone, è necessario raccontarlo andando al di là di un’attività extra-universitaria e assumere uno sguardo critico sul suo svolgimento. Se l’intento della collaborazione, circoscritta agli incontri, riguardava una conversazione oggettiva di pedagogia, filosofia e letteratura è necessario eliminare questo intento e descrivere le reali direzioni verso le quali è giunto il dialogo, che riprendono uno degli obiettivi iniziali proprio della convenzione. E’ necessario sottolineare la numerosa adesione da parte degli studenti di Urbino, grande e attiva partecipazione che ha aumentato i quesiti, i confronti e la curiosità verso il dibattito proposto dai detenuti, o meglio, dagli studenti del Polo Universitario. Avvicinando la descrizione all’incontro vero e proprio, da un primo momento oggettivo di presentazioni, inevitabilmente si è arrivati a un secondo momento di racconto delle proprie vite, della propria quotidianità e visione stessa della vita da un punto di vista dentro e fuori dal carcere, individuando quali regole determinano il rapporto con l’esterno e quali regole possono mantenere un equilibrio all’interno: la famiglia, la possibilità di formarsi professionalmente, il diritto allo studio, addirittura l’esistenza o meno di gerarchie all’interno –ispirati da una distorta visione dei film- l’organizzazione della giornata e la concezione di affettività. Questi elementi del primo dialogo erano diretti a chiedersi se è possibile ristabilire un nuovo equilibrio, un nuovo bilanciamento tra ciò che è ammesso avere e fare e ciò che non è consentito all’interno, e la risposta di un gran numero di detenuti è stata trovare un riferimento che sia motivo per continuare questa vita e potenziarlo tantissimo. Ma esattamente, cosa si intende per riferimento?
LO SCORRERE DEL TEMPO DENTRO E FUORI
Le foto della mia famiglia, la mia religione, ciò che riguarda l’arte, la lettura e lo studio rientrano tra i riferimenti citati dai detenuti che determinano punti fermi nell’infinito scorrere del tempo dentro il carcere. Scorrere del tempo perché anche di tempo si è parlato, di tempo non univoco, nuovo, ma quasi alieno e alienante. Diventa necessario allora sottolineare il racconto, quasi ironico, di un detenuto che riconosceva di sentirsi totalmente estraneo al dinamico, veloce scorrere del tempo che ha percepito in una giornata di permesso con la sua famiglia, concludendola con la richiesta di ritornare dentro la Casa di Reclusione, di ritornare a un altro tipo di scorrere del tempo, lento, statico, di un’altra dimensione. Il tempo che procede ininterrottamente e l’evoluzione della vita fuori dalle mura di reclusione determinano la distinzione tra una realtà dentro e una realtà fuori, che richiede ai detenuti uno sforzo per poterla seguire e non rimanere fermi al momento esatto in cui sono entrati nelle mura. In riferimento alla questione del tempo, il dibattito apre un quesito su come far coincidere, al termine della pena, per un reinserimento, un’inclusione sociale-o non al termine di una pena ma nel periodo della sua durata- entrambe le vite appunto dentro e fuori.
«Il lavoro dei detenuti è senz’altro un tema centrale in un sistema di esecuzione penale volto a favorire il reinserimento della persona condannata. È in questa prospettiva che occorre promuovere percorsi di formazione professionale, portare all’interno degli Istituti lavorazioni di aziende piccole, medie e grandi attraverso incentivi fiscali, sostenere il lavoro esterno attraverso l’applicazione di misure alternative, sostenere le attività delle cooperative sociali dentro e fuori gli Istituti». Relazione al Parlamento del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, marzo 2019
In riferimento alla proposta del Garante Nazionale, è necessario ribadire che parlando di tempo e realtà dentro e fuori si intende mettere la persona nelle condizioni di continuare una vita nel mondo del lavoro, di accompagnare la pena a un momento di progressione personale, possibile con attività e strumenti che provengono dall’esterno: da corsi professionali fino all’istruzione, anche universitaria. La riforma della disciplina del lavoro penitenziario dimostra un progresso rispetto alla normativa previgente, anche se presenta le sue problematiche e criticità in divenire, ma consente di ridurre il gap tra realtà dentro e fuori e permette l’inclusione in attività professionali.
AL DI LA’ DELLA COMPASSIONE: CARCERE E DIRITTI UMANI
Si potrebbe definire che, anche le due parole “diritti umani”, oltre a pena-definita polisemica-, assumono un significato polisemico. Diritti umani quindi intesi come salvaguardia della salute fisica e psichica, progressione della personalità, riconoscimento della dignità della persona e non solo. E’ delicato il rapporto, in continua trasformazione, tra carcere e diritti umani, a causa dell’emergere di incongruenze, incompatibilità e incomprensioni sulla progressione della persona in un percorso rieducativo e di forte consapevolezza, e con diritto umano non è di compassione che si parla, ma di rispetto dignitoso della persona, all’interno di percorsi volti a scontare una pena, sempre mirando a rendere realmente consapevole il detenuto. Interessanti alcuni riferimenti emersi durante l’incontro al Polo Universitario, in cui erano presenti soltanto uomini, che riguardavano la messa in discussione della propria personalità: riscoprire una propria emotività, mettendo da parte una virilità costante e testimonianza di ciò ne è anche l’articolo del Magistrato di Sorveglianza Maria Laura Fadda che insiste sulla costruzione del carcere anche per contenere l’azione dell’uomo per un controllo personale. A ciò si aggiunge anche proprio la necessità di accedere al Polo Universitario, definito, infatti, da alcuni detenuti come un modo per conoscere se stessi e capire ciò che succede fuori, scegliendo corsi di laurea come Giurisprudenza oppure, tra quelli citati, Scienze dell’educazione come strategie di auto-formazione. Andando oltre a ciò che nell’incontro è emerso, parlando di diritti umani, è possibile riferirsi a questioni fondamentali che riguardano le carceri italiane, che è necessario conoscere: numerosi casi di disagi che richiedono una costante assistenza psichiatrica, fenomeni di mancata salvaguardia personale, eventi che nel periodo in cui viene scontata la pena possono manifestarsi in un luogo che spesso tende al rispetto del diritto umano ma senza mantenerlo del tutto.
Con diritto umano si intende anche riconoscimento dell’affettività, emotività, componenti che nel dibattito del progetto tra Studenti dentro e fuori si sono presentate come fondamentali. Diritti umani fondamentali, accompagnati a un percorso di ferma e rigorosa costruzione di una consapevolezza di ciò che si sta scontando e ciò che può contribuire a una progressione personale continua.
E’ necessario sottolineare che incontro a queste richieste è sempre più frequente l’intervento di associazioni per i diritti e le garanzie nel sistema penale, tra le quali a livello nazionale è forte la presenza dell’Associazione Antigone, che permette anche di monitorare la realtà effettiva dentro al carcere.
AL DI LA’ DEI PUNTI DI VISTA
Studenti dentro e studenti fuori è un progetto che quindi va al di là dell’apprendimento, della formazione universitaria, ma propone un incontro reale e di sensibilizzazione autentica. Un intreccio di realtà, dentro e fuori, che riprende gli obiettivi iniziali del momento di detenzione, soprattutto concentrandosi nel lavoro di progressione personale e contatto con l’esterno. Un incontro tra persona e persona, in un dialogo che ha dato vita ad uno scambio di idee, pensieri, consigli reciproci, sia proponendo ai detenuti il mondo in divenire fuori, sia proponendo agli studenti di Urbino l’esistenza di una realtà parallela all’interno delle mura, al fine anche di una maggiore coscienza civile e conoscenza reale. Un grande contributo dato anche dagli insegnanti dell’Ateneo, aderenti al Polo Universitario, insegnanti anche degli studenti dentro. Una convenzione che pone l’attenzione non solo al diritto allo studio, – senza distinzione tra studenti dentro o fuori, ma semplicemente studenti,- ma tende oltre, tende a non allontanarsi da ciò che è diritto umano, accompagnato da rigorose consapevolezze di progressione.
Francesca Vannini e Noemi Crescentini