<< Per quanto ancora sarà il burattino di Salvini e Di Maio, signor Conte? >>
Questa frase viene pronunciata a Bruxelles il 13 Febbraio 2019. Il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte è ospite alla seduta di un Parlamento europeo presieduto da Antonio Tajani e ormai a fine legislatura. Le parole, tutt’altro che rispettose – ma non per questo prive di verità – sono parte di un intervento dell’eurodeputato olandese e capogruppo dell’ALDE Guy Verhofastadt. Il tutto, è giusto sottolinearlo, tra gli applausi dell’assemblea.
Eppure, a guardare bene oggi, sembra passato un secolo. Conte ora accompagna il suo cognome al numero 2, c’è un nuovo governo che non è più a trazione nazional-populista (ma anzi istituzionale ed europeista) ed il parlamento UE ha subito un ricambio con le elezioni del 26 Maggio.
Ecco quindi un aggiornamento flash per chi abbia spento tv e cellulare sei mesi fa e li riaccenda ora: il burattino Conte è diventato nel frattempo condizione imprescindibile di un nuovo Governo da lui stesso ancora presieduto, si è guadagnato uno spazio pari (se non superiore) a Luigi Di Maio nelle gerarchie del Movimento 5 Stelle (di cui ora pare essere frontman) e non solo sembrano essere finite le risatine alle sue spalle in Europa ma gode ora della stima pubblicamente espressa di Trump, Tusk, Von der Leyen e altri leader europei.
Se è vero che nulla accade per nulla, forse è il caso di esaminare cosa ha portato a questo clamoroso ribaltamento di fronte.
1. Dopo il trionfo della Lega alle europee di fine Maggio ed il tracollo del M5S, l’Italia comincia a ricordarsi di avere un Presidente del Consiglio
E’ proprio nel periodo che va tra fine Maggio e lo scoppio della crisi di Governo del 7 Agosto, che Conte comincia sommessamente a farsi sentire e a dare una forma alla sua interpretazione del ruolo.
Salvini ha vinto le europee, la Lega ha ottenuto il 34% dei consensi ed è chiaro a tutti che ora qualcosa di grosso accadrà al governo. Nonostante il leader sovranista si precipiti subito a chiarire di non voler invertire i rapporti di forza con i 5stelle ma di aspettarsi – genericamente – “qualche sì in più” (che tradotto significa proprio invertire i rapporti di forza anche se non detto in politichese), le cose nel Governo cambiano e la guerra interna diventa ordine del giorno.
Fiat lux: entra in scena Conte.
E’ appena il 3 Giugno ed il premier, in un discorso alla nazione in cui ricorda a tutti di essere inquilino di Palazzo Chigi, tuona sulle forze di maggioranza: “vogliono continuare e rispettare il contratto di Governo o andare al voto? Chiedo una risposta chiara, inequivocabile e rapida perché il Paese non può più aspettare”. Poi continua “Lega e M5S si assumano le proprie responsabilità o io rimetto il mandato”.
Poi una frase, che letta oggi la si può intendere un po’ come la chiave di violino dello spartito estivo: “i Ministri cerchino di non invadere i terreni di competenza altrui”. Pur non citandolo espressamente è chiara a tutti l’identità del destinatario di questa bacchettata: Matteo Salvini che in quei giorni fa pressioni non indifferenti sull’allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli per tenere chiusi i porti italiani alle navi delle organizzazioni umanitarie.
A Luglio il contesto non è cambiato. Anzi, si può dire che sia peggiorato e questa volta Conte è furibondo ancora contro il leader della Lega che incontrando le parti sociali ha parlato a nome del governo su temi non discussi in Consiglio dei Ministri e non ancora approvati dal premier.
Si potrebbero fare altri esempi ma nella sostanza cambierebbe poco. Quello che emerge è un Presidente del Consiglio che sta uscendo piano piano dall’anonimato a fronte di un Luigi Di Maio ancora disorientato dalla batosta europea.
2. Il colpo di scena: è il 20 Agosto ed al Senato Conte mette in stato d’accusa Salvini davanti alla nazione con un discorso duro, a tratti esaltante, che spiazza il leader leghista
Si potrebbe cominciare dalla fine: Matteo Salvini sale tra i banchi dei suoi parlamentari e improvvisa un discorso di cui non si riesce a capire il nesso tra riferimenti a “uomini e donne liberi” e attacchi senza un perché a Matteo Renzi dall’altra parte dell’aula.
Neanche una parola sull’arringa di 45 minuti dell’avvocato Conte che non gli ha risparmiato neanche un capo di accusa dalla responsabilità per la crisi di governo, alle perplessità sullo scandalo Savoini-Russia passando per i simboli religiosi esibiti nei comizi di piazza e la preoccupante richiesta di “pieni poteri” fatta dallo stesso Ministro dell’interno una settimana prima.
E’ il delitto perfetto. In diretta nazionale su varie emittenti televisive (e guai a dire che la politica è ormai sempre più paragonabile al calcio…) il Premier imputa senza mezze misure la responsabilità dell’intera crisi di Governo al suo vice-ministro il quale, silenziato perché senza microfono e probabilmente spiazzato dal discorso di Conte, abbozza qualche espressione di dissenso plateale che però risulta inefficace rispetto alla potenza delle parole che gli vengono rovesciate contro.
In questo dramma teatrale – a cui un Di Maio ridacchiante non partecipa come un alunno graziato dall’insegnante – si configura la prima vera sconfitta di Salvini.
Il Re è nudo, e se ne sono accorti tutti.
3. Salvini vacilla e inaspettatamente si crea un’asse impensabile Pd-M5S. L’Europa e gli USA, che stanno alla finestra, subito si mobilitano per dare la spinta definitiva al leader leghista innalzando Conte
E’ inutile girarci intorno: Conte ha ricevuto sì elogi (anche esagerati) ma, tra più o meno dubbie sincerità, alcuni di questi attestati di stima sono arrivati in un contesto di convenienza collettiva. Che convenienza? Cogliere al balzo l’occasione unica di levarsi dai piedi Matteo Salvini.
E allora neanche il tempo di tornare da Biarritz, dove nel frattempo si è tenuto il G7, ecco che Trump da Twitter parla di Conte come di “un uomo rispettoso e di talento che si spera resti Primo Ministro”. Un’investitura pesante che tra le parole che non dice suona come il peggiore dei commiati verso quel Matteo Salvini prima aspirante adulatore ma ormai da qualche tempo troppo vicino a Mosca.
Da un Donald all’altro, ecco che dopo Trump è il commissario europeo Tusk a riservare parole al miele per Conte descrivendolo come “uno dei migliori esempi di lealtà in Europa”.
E così via.
Da sconosciuto burattino a statista e icona
Non c’è che dire, quella dell’avvocato di Volturara Appula rimarrà una delle rivoluzioni politico-stilistiche più assurde della storia politica recente.
Eppure sembra esserci un filo di coerenza in tutto questo che rende accettabile anche che sia lo stesso presidente del Consiglio a presiedere un governo prima a trazione sovranista e poi fortemente europeista. Il seme della svolta sta proprio nel suo atteggiamento di questa estate culminato con il discorso del 20Agosto.
C’è chi dice – forse non a torto – che sia troppo poco per riabilitarlo. Si tende a ricordare che i Decreti Sicurezza, la non opposizione a Salvini e la recessione economica in cui è tornata l’Italia dopo anni di crescita siano anche sua responsabilità. Si sottolinea infine – e questo è il maggiore capo d’accusa – che si sia fatto sentire solo quando ormai non aveva più niente da perdere. Quando cioè Salvini aveva già staccato la spina al Governo, quando lui sarebbe ritornato all’irrilevanza da cui era stato pescato.
Eppure, forse è un altro il focus della questione. Conte è emerso sì quando il Governo vacillava, ha accusato sì pubblicamente Salvini poco prima di dimettersi. Ma che non fosse in realtà il vero Conte solo quello che abbiamo visto in questi ultimi mesi?
Del resto, quale potere politico aveva appena diventato Presidente del Consiglio? Nessuno. Non una struttura partitica a sostenerlo, non degli uomini di fiducia nell’esecutivo. Insomma che stesse zitto e facesse il suo lavoro che a mandare avanti il governo ci avrebbero pensato i due vice-premier.
Quale forza aveva per contrastare Salvini senza innescare una crisi di Governo? Nessuna. Anzi, il risultato più probabile sarebbe stata la sua sostituzione tra l’imbarazzo generale con un altro tecnico per tenere in piedi l’alleanza.
Detto questo, quanta responsabilità ha il premier per gli atti del precedente esecutivo? Difficile dirlo eppure non si può ignorare il fatto che forse il vero Giuseppe Conte lo abbiamo cominciato a conoscere solo da quel discorso al Senato di un mese fa.
Questo non farà di lui uno statista. Di sicuro non può neanche assolverlo in pieno e nemmeno ergerlo a paladino della sinistra.
Ci vorrà tempo, ma ora non ci sono più scuse: quello che farà Conte da oggi in avanti ci dirà chi è realmente.