Lo scorso 10 maggio è stata una data tanto attesa quanto temuta. Undici mesi fa infatti la Corte costituzionale si è pronunciata sulla costituzionalità della misura dell’ergastolo ostativo. Nel 2020 è stato chiesto alla Corte costituzionale se la previsione della sanzione del carcere a vita, riducibile solo nei casi in cui i condannati collaborino con la giustizia, poteva o meno essere conforme ad un Testo costituzionale, che al suo interno sancisce letteralmente la necessità che la pena sia finalizzata alla rieducazione del condannato.
Nel 2020 la Corte non ha risposto alla domanda richiesta, ma ha optato per un’altra strada. Sebbene nell’ordinanza emessa i giudici abbiano chiaramente elencato tutta una serie di ragioni che affermano l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, la Corte decise di rimandare la decisione ad una nuova udienza, fissata dopo undici mesi.
Le pronunce di costituzionalità
Questo è stato un modo tramite cui la Corte ha anticipato alcune drastiche dichiarazioni di incostituzionalità, tutte accomunate da un elevato tasso di politicità. Tra gli esempi più celebri il caso Cappato. In questa occasione, infatti, la dichiarazione di incostituzionalità della norma che puniva il suicidio assistito è stata preceduta da un’ordinanza del tutto simile a quella del 2020 in tema di ergastolo ostativo.
In un primo momento la Corte si è limitata a rinviare la sentenza ad un termine successivo, andando tuttavia già a mostrare le ragioni circa l’incostituzionalità della norma in esame. L’emissione di ordinanze e la cosiddetta tecnica della doppia pronuncia si fondano su una ragione semplice ma fondamentale: il rispetto dell’equilibrio istituzionale.
La Corte costituzionale è l’unico organo abilitato a dichiarare la costituzionalità, e cioè la conformità al testo costituzionale, di alcune norme dell’ordinamento. L’effetto delle pronunce la Consulta accertata il contrasto è quello di rendere inapplicabili le norme affette da incostituzionalità. È ben possibile che a seguito di una sentenza si venga a creare una lacuna nella disciplina di alcuni settori normativi.
Il rispetto del ruolo del Parlamento
Per evitare queste evenienze, la Corte emette sentenze adittive o manipolative, grazie alle quali interviene direttamente sul testo della legge, e mitiga gli effetti delle sue pronunce di incostituzionalità.
Vi è un limite a tale possibilità, costituito dal rispetto della discrezionalità del Parlamento. Solo l’organo legislativo ha infatti la possibilità di modificare il quadro normativo vigente, e questa esigenza si fa sentire maggiormente nei casi più “scottanti” per la collettività. Come ad esempio la questione sull’ergastolo ostativo, che vede contrapporsi esigenze di giustizia collettiva con esigenze costituzionali di rieducazione del condannato.
Dunque, per evitare l’emissione di sentenze in cui la Corte interviene sui testi legislativi, questa si limita ad individuare un’ipotesi di incostituzionalità ed invita il Parlamento ad intervenire.
L’esito dell’udienza del 2022
La Corte, undici mesi dopo l’ordinanza, deve ancora stabilire la legittimità o meno dell’ergastolo ostativo. Sebbene la Corte abbia rispettato l’equilibrio istituzionale, il Parlamento nel periodo concesso, non ha affrontato a pieno la questione.
Anche in questa sede tuttavia la Corte decide di non decidere, non ancora. Si rinvia di nuovo, si dovrà attendere, una probabile proposta di legge si trova in Senato, per cui se ne riparla a novembre.
Il problema a questo punto è rilevante, ci sono una serie di soggetti che richiedono di poter accedere al beneficio che consente la liberazione condizionale. La richiesta dei condannati non può neppure essere esaminata. E’ ancora in vigore la norma che ricollega alla mancata collaborazione con la giustizia, una valutazione assoluta di pericolosità automatica, che non prevede prova contraria. Ed è proprio la pericolosità presunta che ostacola l’accesso al beneficio della liberazione condizionale, necessaria per rendere la sanzione finalizzata alla risocializzazione del condannato.