DC e PCI, PCI e DC. Questi i due grandi partiti che dominarono la scena politica italiana della Prima Repubblica. Poi il fallimento comunista, Tangentopoli e la scesa in campo di Berlusconi che ci traghettano nella Seconda Repubblica (in cui tutt’ora siamo). DC e PCI spariscono, Berlusconi fa il botto alla prima tornata elettorale conquistando il governo del paese. L’ascesa (vincente) di Berlusconi e la legge elettorale maggioritaria costringono le altre forze politiche a compattarsi imponendo una logica sempre più bipolare.
Lo capiscono gli eredi di DC e PCI e cioè, semplificando, Margherita e Democratici di Sinistra (DS) che mettono da parte i vecchi contrasti di un tempo e si alleano dando vita ad un soggetto politico comune di centrosinistra: L’Ulivo di Romano Prodi. Un fronte però fortemente eterogeneo, diviso e lacerato da rivalità interne.
Ed ecco l’idea di Walter Veltroni, superare le divisioni interne tra post-democristiani e post-comunisti ed unirli in un unico partito: il Partito Democratico. Margherita e Democratici di Sinistra non esistono più, ora esiste solo il PD, creato per costituire una seria alternativa a Berlusconi. Era il 2007.
Da quel momento il PD è costretto all’opposizione dopo la sconfitta alle elezioni del 2008 ma è tenuto insieme dall’antiberlusconismo che anestetizza le vecchie divisioni.
I problemi riemergono quando il PD di Pierluigi Bersani arriva primo ma “non vince” alle politiche del 2013, ciò provoca una crisi all’interno del partito che porta alle dimissioni di Bersani da segretario a cui succede Matteo Renzi.
E’ importante notare come nel PD, fino alla segreteria di Renzi, i rapporti di forza tra l’ala centrista del partito (gli ex-Margherita) e quella di sinistra (gli ex-DS) siano stati sempre favorevoli a quest’ultima.
La leadership del partito, la segreteria è stata sempre controllata saldamente dalla sinistra del PD, basti pensare che sia il fondatore del Partito Democratico Walter Veltroni che il suo successore alla segreteria del partito Pierluigi Bersani provengono dalle fila del PCI. Anche l’elettorato del PD è stato sempre tradizionalmente più di sinistra che di centro, ed infatti il PD ha ottenuto sempre i suoi migliori risultati nella cosiddetta “zona rossa” (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche), storica roccaforte del PCI, e poi dei DS.
I rapporti di forza sono invece cambiati con Matteo Renzi, primo ed unico segretario che fonda le sue radici nella Margherita e in una tradizione politica-ideologica centrista. La situazione, poi, è diventata esplosiva quando lo stesso Renzi ha espresso l’esigenza per il PD di rivolgersi agli elettori di centro e persino di quella destra moderata che fa capo a Berlusconi. Ed ecco spiegato un programma di governo che, a parte per le unioni civili su cui si è stati comunque molto cauti, può dirsi tutto tranne che di sinistra. L’abolizione dell’articolo 18 e i litigi con i sindacati di sinistra, le trivelle e i litigi con le associazioni ambientaliste, i voucher e i litigi con i sindacati di sinistra (di nuovo), la riforma della scuola in senso manageriale e i litigi con le associazioni studentesche, l’Italicum (su cui si mise la fiducia, poi dichiarato incostituzionale), la retorica delle grandi opere come il Ponte sullo Stretto da sempre caro a Berlusconi ed infine la riforma costituzionale scritta assieme alla destra e la conseguente Waterloo del 4 Dicembre.
A tutto questo si aggiunge il modo in cui si pone Renzi, il suo stile simil-berlusconiano con la piccolissima differenza che il PD non è Forza Italia. Il suo modo di fare lo spaccone, di trattare con sufficienza tutti quelli che non la pensano come lui (“Fassina chi?”, “gufi”, “rosiconi”, “professoroni” ecc. ecc.) alla lunga ha irritato la vecchia leadership del PD (di sinistra), divenuta minoranza, che dopo il danno di aver perso la guida del partito ha ricevuto anche la beffa di essere oggetto di sfottò.
Tutto questo spiega il clima di resa dei conti che si respira oggi nel PD, la retorica da scissione, la guerra fratricida tra le due anime fondatrici del partito, quella cattolico-centrista-moderata e quella progressista e di sinistra. Non è un caso che chi oggi fa opposizione a Renzi abbia militato tra le fila del PCI in passato. D’Alema, Bersani, Enrico Rossi e Cuperlo sono passati tutti dal PCI mentre Speranza (più giovane di loro) ha militato comunque fra i DS.
Per questi motivi la situazione è più critica di quanto sembri e, a dieci anni dalla fondazione, il PD rischia seriamente di scindersi, a maggior ragione ora che il bipolarismo sembra ormai tramontato inesorabilmente e che la legge elettorale proporzionale stride con il sogno maggioritario insito nel DNA del Partito Democratico.
Queste divisioni, quindi, non solo riconducibili ad un mero problema di leadership ma si fondano soprattutto su questioni identitarie ed ideologiche.
Alessandro Fabbri