La mattina del 7 ottobre 2023 Hamas sfonda la recinzione che separa la Striscia di Gaza da Israele, in un attacco a sorpresa in cui il gruppo terrorista riesce ad avanzare, trucidando centinaia di civili israeliani. Tel Aviv risponde lanciando razzi: ad oggi i colpi continuano a susseguirsi da entrambe le parti. Le vittime sarebbero più di 4000 tra i palestinesi e più di 1000 tra gli israeliani, anche se non si hanno dati certi. Il rischio è l’espansione del conflitto a tutta la Palestina. I bombardamenti a Gaza porteranno a un’escalation drammatica delle ostilità tra coloni e nativi in Cisgiordania?
La Cisgiordania è un pezzo di terra incastonato fra Israele, Giordania e Mar Morto, facente parte dei territori palestinesi insieme a Gaza. A differenza di quest’ultima, la West Bank (i territori della Cisgiordania sulla sponda occidentale del fiume Giordano) non è sotto controllo di Hamas ma dell’Autorità Palestinese, espressione dell’organizzazione politica e paramilitare Fatah, cacciata dalla Striscia nel 2007 proprio da Hamas in seguito alla sconfitta nella guerra civile.
Tuttavia, Israele esercita un controllo de facto su gran parte dei territori in questione fin dalla Guerra dei sei giorni del 1967, e ha promosso l’insediamento di coloni israeliani, che sono al momento circa 700mila. Da più di 50 anni si espande in Cisgiordania, attuando una limitazione in termini fisici, spaziali, ma anche di diritti, a discapito della popolazione palestinese.
Violenza in Cisgiordania
Dal 7 ottobre, gli scontri armati sono effettivamente aumentati, provocando l’uccisione di 56 palestinesi. È proprio a Ramallah (la capitale della Cisgiordania) che è iniziata la catena di proteste propagatasi in buona parte del Medio Oriente in seguito al bombardamento dell’ospedale Al Ahli al Arabi. Il governo Netanyahu pende decisamente a favore dell’espansione coloniale e ha annunciato che fornirà fucili d’assalto in Cisgiordania. Al contempo, il focus dell’attenzione su Gaza da parte dell’esercito israeliano potrebbe alimentare una maggior libertà di reazione palestinese contro gli occupanti. Sul territorio, reduce dall’incursione di Jenin, sono presenti diversi gruppi radicali, sostenitori dell’attacco di Hamas. In seguito al 17 ottobre la popolazione ha protestato contro l’Autorità palestinese, considerata troppo immobilista e accondiscendente verso Tel Aviv.
Diritti
Secondo il report Born Without Civil Rights, Israel’s Use of Draconian Military Orders to Repress Palestinians in the West Bank (2019) di Human Rights Watch, dal 1967 l’esercito israeliano priva i palestinesi dei loro diritti fondamentali attraverso due strumenti: il Defense (Emergency) Regulations del 1945 e il Military Order 101. Questi due provvedimenti, di cui uno ereditato dal mandato britannico, sanzionano più di dieci persone che si riuniscono senza un permesso, con una pena che può arrivare a dieci anni di reclusione, proibiscono la pubblicazione di materiali dal “significato politico” e la messa in mostra di bandiere o simboli politici senza il permesso dell’esercito. Dieci anni previsti anche per chi, secondo Israele, cerca di influenzare l’opinione pubblica mettendo in pericolo la pace e l’ordine generali.
Le autorità israeliane negano che i doveri di Tel Aviv in materia di diritti umani si applichino al trattamento dei palestinesi nella Cisgiordania occupata. Posizione condannata sia dalla Corte internazionale di giustizia (ICJ) che dall’United Nations Human Rights Committe.
Tra il 1° luglio 2014 e il 30 giugno 2019 l’esercito israeliano persegue 4.590 palestinesi per essere entrati in una zona riservata all’accesso militare, espressione spesso data in un secondo momento ai luoghi dove avvengono le proteste. Dal 1967, il Ministero della Difesa ha bandito più di 411 organizzazioni, tra cui i maggiori partiti politici palestinesi e organizzazioni della società civile, sotto accusa di fornire supporto finanziario ad Hamas.
The International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR), “is applicable in respect of acts done by a State in the exercise of its jurisdiction outside its own territory,” alongside the law of occupation.
Territorio
Dopo la prima intifada nel 1987, Israele revoca il “permesso di uscita generale” che permetteva ai palestinesi di spostarsi liberamente tra Gaza, Israele e la Cisgiordania. L’obbiettivo di questa decisione è quello di dividere i palestinesi in più territori; infatti, Tel Aviv pensa che sia stata proprio la libertà di spostamento degli anni precedenti ad aver alimentato le prime rivolte. I confini della Striscia vengono chiusi, disseminati di check point. La chiave delle porte di Gaza appartiene alle autorità israeliane, sono loro a permettere o bloccare il passaggio di persone e beni.
Questa politica è perseguita dal primo ministro che, all’infuori dei conflitti, sostiene Hamas poiché rivale di Fatah. È un divide et impera.
“Chiunque voglia ostacolare la creazione di uno stato palestinese deve sostenere la nostra politica di rafforzamento e d’invio di denaro a Hamas”, Netanyahu nel 2019 ai parlamentari del Likud. “Fa parte della nostra strategia: isolare i palestinesi di Gaza da quelli della Cisgiordania”.
In conclusione, in Cisgiordania perdura un regime marziale che nega la libertà di parola e di dibattito, l’accesso alla libera informazione e limita la possibilità di protestare pacificamente per il cambiamento. Ne conseguono stagnazione intellettuale e sociale e un aumento della frustrazione. Tutto ciò va a vantaggio dei gruppi terroristici, il cui il lavoro di reclutamento viene solamente facilitato.
Ad ottobre 2023 la pressione aumenta come mai era successo negli ultimi decenni e l’escalation di violenze a Gaza potrebbe innescare un meccanismo incendiario nei territori occupati.