venerdì, 20 Dicembre 2024

Cina e Hong Kong: un paese. Due sistemi?

Da diversi anni Hong Kong è teatro di cicli di proteste e manifestazioni popolari che godono di un alto tasso di partecipazione, specialmente tra i residenti più giovani. Proviamo qui a contestualizzarle in un breve excursus storico e giuridico.

Hong Kong è un territorio insulare conquistato nell’Ottocento dall’impero britannico, restituito alla Repubblica popolare cinese solo nel 1997; gli accordi bilaterali tra Regno Unito e Cina lo hanno reso una regione amministrativa speciale sotto l’egida del principio “un paese, due sistemi”.

Un quadro giuridico

In base alla Legge fondamentale di Hong Kong, approvata al momento della restituzione, il territorio forma parte integrante dello Stato cinese; le sue istituzioni godono di un ampio margine di autonomia amministrativa in tutti i campi riguardanti gli affari interni. Allo Stato centrale competono perlopiù la politica estera e la difesa militare.

Regolari elezioni si tengono per il rinnovo dell’Assemblea legislativa e delle assemblee degli enti locali; una rete di organi sociali di rappresentanza è incaricata di nominare un comitato elettorale con il compito di scegliere un governatore capo dell’esecutivo. L’organo esecutivo deve avere l’approvazione del governo centrale cinese ma, aldilà della procedura, rimane piuttosto autonomo nel suo operato.

La magistratura della città è indipendente dal governo e completamente scissa dal suo omologo organo cinese del continente, rispetto al quale opera in maniera del tutto separata.

Il sistema economico dell’isola è fortemente capitalistico; si regge su un’indipendenza pressoché totale dalla Cina, della quale peraltro rappresenta uno dei poli finanziari più ricchi ed attrattivi, e uno dei più importanti a livello globale.

Retaggi culturali

La cultura britannica ha lasciato pesanti tracce nei costumi e nelle istituzioni del territorio; vige infatti la separazione tra i poteri dello Stato e un sistema di diritto più liberale rispetto al resto del paese. Sono diritti garantiti la libertà di parola, di espressione, di riunione e di associazione, di religione, nonché un sistema partitico pluralistico. Si pensi ad esempio che dal 1990 Hong Kong ospita la veglia annuale di commemorazione del 4 giugno dedicata alle vittime delle proteste avvenute in piazza Tian’an men a Pechino, nel 1989, censurate dalla storiografia cinese.

È importante notare come l’introduzione del diritto di voto sia avvenuta negli ultimi anni di amministrazione coloniale britannica, durante la quale tale sistema non era in vigore. Si tratta piuttosto di un’evoluzione favorita come lascito del Regno Unito nel corso del processo di decolonizzazione.

Durante i decenni di amministrazione occidentale si è costruito un sistema scolastico che ha favorito lo sviluppo di un pensiero critico e di un pluralismo politico paragonabili a quelli di cui godono gli abitanti del continente europeo o di quello americano; ciò ha consentito di preparare il terreno ai successivi sviluppi.

Vantaggi e timori

Il testo della Legge fondamentale prevede una lenta e progressiva perdita dell’autonomia di cui gode il territorio, che dovrà tornare sotto completa amministrazione cinese entro il 2047.

È quindi molto sentito il rischio di ritrovarsi un giorno privi degli sviluppi e delle garanzie conquistati negli ultimi decenni, che si traducono in benessere effettivo.

Stiamo infatti parlando di un’area classificata fra i primi posti al mondo per indice di sviluppo umano, libertà economiche e qualità della vita. Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della Sanità, nel 2012 l’isola ha goduto della più lunga aspettativa di vita al mondo.

Il sistema economico si basa su un settore terziario avanzato e caratterizzato da una bassa imposizione fiscale.  I cittadini vantano uno dei redditi pro capite più alti al mondo.

La lingua parlata comunemente è il cantonese, ma più di metà della popolazione conosce anche l’inglese e il cinese mandarino; quest’ultimo sta velocemente prendendo piede grazie agli scambi con la Cina continentale e al suo insegnamento. Tuttavia, in questo contesto il malcontento si è fatto forte negli ultimi anni.

La formazione di un fronte movimentista

Sin dal suo ritorno alla Cina, la popolazione di Hong Kong è sempre stata suddivisa in due blocchi, divergenti più nel metodo che nel merito delle lotte; sono presenti un establishment finanziario, più vicino alle scelte moderate del governo, e un fronte pro-democrazia che da anni spinge per l’introduzione del suffragio universale anche nell’elezione dell’organo esecutivo. Quest’ultima conquista consentirebbe una totale autonomia decisionale dalle autorità cinesi, oggi compromessa dalla loro sfera d’influenza.

È stato quest’ultimo blocco a dare vita alle manifestazioni degli ultimi anni; per la precisione sarebbe corretto parlare di movimenti, al plurale, poiché il suddetto fronte si presenta piuttosto variegato.

Per semplificare possiamo suddividerlo in due macrocategorie: un’ala che ritiene prioritario il mantenimento di un’ampia autonomia da Pechino; o che, in alternativa, accetterebbe una maggiore integrazione dell’isola nel continente soltanto a condizione di una profonda riforma del sistema politico e giudiziario cinese. Un’altra ala, più intransigente e più riottosa, recalcitrante ad ogni trattativa con la Cina e sostenitrice di una completa indipendenza della città.

Nel 2014 la rivoluzione degli ombrelli, nata sull’onda dei movimenti Occupy Central, ha visto la federazione degli studenti portare pacificamente in piazza migliaia di persone per protestare contro una riforma elettorale proposta dall’Assemblea generale del Popolo (il Parlamento della Repubblica popolare cinese). La manifestazione pacifica fu così definita per l’uso massiccio, da parte dai manifestanti, di ombrelli gialli per ripararsi dai lacrimogeni della polizia.

Sviluppi più recenti

Tale esperienza, durata da settembre a novembre dello stesso anno, ha dato vita al partito Demosisto candidatosi alle successive elezioni locali e legislative; uno dei suoi fondatori, il ventitreenne Nathan Law, ha ottenuto un seggio nel Consiglio legislativo diventando il candidato più giovane mai eletto, è stato in seguito dichiarato decaduto per dalla carica per una controversia sul giuramento.

Dal 2019 è in atto un altro ciclo di proteste la cui onda non si è ancora esaurita; ha invece perso potenza nell’estate 2020 davanti al muro di gomma del governo cinese che sembra non ascoltare le ragioni dei manifestanti.

In apparenza il Partito comunista cinese mostra apertura al dialogo; probabilmente è suo interesse evitare il ripetersi di un’esperienza paragonabile a quella di piazza Tian’an men. Dall’altra parte la sua posizione, largamente riportata dalla stampa nazionale, è molto ferma nel bollare le proteste come violente e di stampo sedizioso-terroristico. Il dialogo sostenuto è quindi perlopiù una procedura di facciata.

La legge sull’estradizione

A fare da scintilla per le nuove piazze è stata una proposta di legge della governatrice Carrie Lam, atta a regolare l’estradizione verso paesi che con l’ex colonia britannica non hanno ancora firmato accordi. La proposta mirava a risolvere il caso di un cittadino taiwanese accusato dell’omicidio della fidanzata, attualmente detenuto a Hong Kong; ma destava preoccupazione la presenza della Cina continentale nella lista dei nuovi paesi coinvolti nell’estradizione. Il rischio era che i cittadini dell’isola potessero finire estradati e giudicati dal sistema giudiziario di Pechino, che presenta carenza di alcune garanzie e che potrebbe perseguire anche reati di matrice politica. In un primo momento, nonostante le proteste oceaniche il governo ha difeso il disegno di legge; in seguito ha dovuto ritirarlo di fronte alla recrudescenza delle proteste e all’insorgere di scontri di piazza.

La legge sulla sicurezza nazionale

Una legge sulla sicurezza è in vigore dal 1 luglio 2020, giorno di commemorazione della riconsegna del territorio alla Cina; l’Assemblea nazionale del Popolo ha approvato all’unanimità il provvedimento, scavalcando completamente il Consiglio legislativo di Hong Kong, al fine di scoraggiare le proteste in favore di istanze autonomiste o secessioniste.

Atti di violenza contro le persone fisiche, l’innesco di esplosioni e il sabotaggio di mezzi di trasporto pubblico o infrastrutture sono da allora perseguibili come terrorismo

È perseguibile per secessione chi partecipa ad azioni in favore della separazione di Hong Kong dal resto della Cina, siano esse violente o nonviolente.

Il combinato disposto di ampiezza e vaghezza con cui sono definiti i suddetti reati consente un’interpretazione del testo piuttosto arbitraria, che si presta a probabili abusi da parte dell’autorità.

Inoltre, la prevista costituzione di una serie di organi giudiziari speciali all’interno delle istituzioni di Hong Kong, facenti capo alla Cina continentale, marcano un grande passo verso la perdita di autonomia.

Sono state così imposte forti limitazioni alle libertà democratiche alle quali i cittadini di Hong Kong erano abituati; tra le schiere dei manifestanti più irriducibili si sono visti già molti arresti.

Controversie nel movimento

Diverse sono state le vittime della repressione in questi ultimi mesi; l’imprenditore Jimmy Lai, importante finanziatore dei movimenti pro-democrazia sin dall’inizio, editore di una società d’informazione indipendente e arrestato con le accuse di frode e collusione con forze straniere; i fondatori di Demosisto Joshua Wong, Agnes Chow e Ivan Lam,  condannati per aver organizzato una manifestazione di assedio al quartier generale della polizia.

L’organizzazione del movimento non sempre ha brillato per l’uso di metodi di lotta nonviolenta; in diverse occasioni gruppi di manifestanti mascherati hanno assaltato locali, rotto vetrine e danneggiato i bancomat, ma anche aggredito fisicamente alcuni passanti che li apostrofavano. D’altra parte, anche l’uso di violenza da parte della polizia si è fatto via via più frequente.

Un sondaggio per Reuters mostra un calo (dal 40 al 34%) tra marzo e giugno nel numero di autoctoni schierati a favore del movimento pro-autonomia; per contro, si ha un aumento dei sedicenti contrari (da 21 a 28%) nonostante l’elevato il malcontento verso l’operato del presidente cinese Xi Jinping.

Altri aspetti controversi che presenta il movimento riguardano una certa sua disconnessione dalle istanze sociali; non è stata data rilevanza alla questione dell’alto costo della vita, della mancanza di una regolamentazione del mercato del lavoro e delle fortissime diseguaglianze economiche, le più elevate in tutta l’Asia.

https://www.reportdifesa.it/hong-kong-pugno-di-ferro-cinese-sulla-liberta-di-manifestare-pechino-vuole-sovvertire-la-sua-autonomia/

Relazioni internazionali

Nell’estate 2020 c’è stato un momento in cui gruppi di manifestanti hanno sfilato in strada sventolando bandiere degli Stati Uniti per richiedere esplicita protezione al presidente americano Donald Trump. Davanti a queste scene si sono levate voci conflittuali all’interno del movimento stesso; nell’ala di sinistra è sorto il timore di passare dall’influenza cinese all’influenza del gigante americano, preferendo l’uno all’altro.

Il Regno Unito ha denunciato il comportamento della Cina come un attacco all’autonomia di Hong Kong, offrendo ad almeno 3 milioni di residenti la possibilità di ottenere il passaporto britannico sfruttando i passati legami.

L’Unione europea ha levato una voce unica contro la Repubblica popolare e in favore della libertà dei manifestanti, pur senza intraprendere azioni conseguenti.

L’isola di Taiwan ha offerto supporto e accoglienza agli stessi, manifestando vicinanza e profonda ammirazione.

Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato quasi all’unanimità l’Hong Kong Human Rights and Democracy Act; si prevede un controllo periodico dell’effettiva autonomia della città al quale legare l’eventuale conferma o revoca della posizione di partner commerciale privilegiato di cui essa gode.

Vi sono incluse anche sanzioni per i funzionari locali colpevoli di violazioni dei diritti umani e il blocco delle esportazioni di armi per la gestione dell’ordine pubblico, quali lacrimogeni e spray urticante. In generale, queste manovre rientrano nella più ampia guerra commerciale che per tutto il 2020 ha coinvolto Cina e Stati Uniti.

L’incognita del futuro

Nel mondo occidentale le reazioni sono state dunque variegate, ma quasi tutte mostrano vicinanza ai manifestanti. Difficile dire se questo potrà bastare per dare qualche possibilità alle loro rivendicazioni; la potenza cinese si trova in una fase storica in cui è in netta posizione di forza nei confronti di molti partner, e ha molte armi per permettersi di non rinunciare a porzioni strategiche di territorio.

Il sostegno della comunità internazionale potrà spingersi oltre le parole e gli slogan? Quali ritorsioni avrebbe l’attivazione di sanzioni economiche nei confronti della Repubblica popolare, prezioso partner di numerose aree del globo? E per contro, quali sarebbero i rischi per Hong Kong nel finire sotto l’ala protettrice di altre superpotenze?

La sfida del prossimo futuro per i cittadini del posto sarà dunque coniugare la loro sete di libertà con la vicinanza alla Cina.

Alex Battisti
Alex Battistihttps://www.sistemacritico.it/
Alex Battisti, classe 1992 ma non mi piace parlare di età. Laureato in lingue, pesarese ma con un pezzo di cuore a Bologna. Scrivo di società, attualità e a volte faccio politica per non sconfinare nella polemica. Mi piacciono i viaggi, le escursioni, le analisi critiche e le battaglie nonviolente.

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