lunedì, 18 Novembre 2024

Che fine ha fatto la punteggiatura?

Eliminata nelle conversazioni online quotidiane, confusa nei temi a scuola e discutibile nelle tesi universitarie. Da qualche anno a questa parte, la punteggiatura italiana sembra essere diventata un cavallo imbizzarrito difficile da domare. Ci sono rimedi a questa situazione?

Mitologia e punteggiatura

Il campo seminato a caso non potrà mai dare buoni frutti. Un proverbio cinese che si adatta anche a tanti campi del sapere umano, se si vuole uscire dalla sua attinenza prevalentemente agricola. Tuttavia, questa frase risulta essere una metafora particolarmente interessante se applicata alla scrittura della lingua italiana. Un tema delicato e ultimamente sempre più al centro del dibattito culturale delle scuole.

La punteggiatura si ritrova suo malgrado ad essere al centro di questa imbarazzante questione. Un mostro mitologico alla pari delle peggiori Medusa, Arpia e Persefone, essa risulta per l’italiano medio un argomento pesante e noioso da trattare e, quando affrontato, un muro difficilissimo da scavalcare. Ma quali sono le ragioni che hanno portato la nostra lingua a questo punto? Non avranno mica avuto ragione i greci e i latini, le cui opere originali sono totalmente scevre da segni di interpunzione, inseriti successivamente nel Medioevo?

Ci vuole cuore

Numerosi sono i punti da cui si può partire. Quindi, potrebbe risultare poco ortodosso iniziare da un aspetto più emozionale ed eufonico, e dalla domanda: a cosa serve la punteggiatura? Come le pause in uno spartito musicale, essa è atta a creare una melodia tra le varie parole o note musicali. Il senso cadenzato che si crea non ha però solo una funzione puramente grammaticale, ma anche e soprattutto di emozione.

In un’epoca di frenesia data da un mondo sempre più smart e veloce, non c’è il tempo per fermarsi a pensare, figuriamoci per fermarsi a parlare. In questo modo, il ritmo, che come ricorda l’illustre prof. Andrea Maggi “deriva dal termine greco thumòs, ossia cuore” e che dà un battito continuo alle nostre vite, non risulta essere continuo ma spezzettato, perdendo il senso di base che questo termine va ad indicare. Senza punteggiatura non c’è ritmo, senza ritmo non c’è cuore, senza cuore non c’è vita.

Tentativi di capire

Di questa situazione il gran giurì degli intellettuali italiani risulta perfettamente consapevole. Già nel 2017 seicento professori italiani hanno inviato alla presidenza del Consiglio dei Ministri una lettera dal titolo “Contro il declino dell’italiano a scuola“. Un sintomo, dunque, già presente nella percezione comune, ma al quale non sembra essere stato posto sufficiente rimedio. La pandemia, poi, ha decisamente aggravato il quadro della situazione: le persone, non essendo più in grado di vedersi, hanno affidato ai social network ogni loro forma di comunicazione e questa lapidarietà informatica, ben lungi dall’essere catulliana o ungarettiana, non ha dato alla loro punteggiatura quel lepos che ci si sarebbe potuti aspettare.

Le statistiche sono quindi andate di male in peggio. La survey, effettuata dal filologo bolognese Nicola Grandi su un campione di 2137 studenti universitari, ha evidenziato come, pur avendo essi una discreta conoscenza della lingua italiana, si blocchino per la maggior parte di fronte alla composizione di un testo complesso. Gli errori commessi sono, per citare lo stesso professore, al livello di quelli da terza elementare e, anche se non è stato possibile individuare una causa particolarmente dettagliata, si è evidenziato come la comunicazione online abbia giocato un ruolo fondamentale in questo declino linguistico e culturale. A livello di percentuale si calcola che quasi il 50% degli errori di scrittura siano legati alla punteggiatura.

Qual’è l’errore?

Ma quali sono gli errori più frequenti commessi dall’italiano medio al giorno d’oggi? Non è chiaramente possibile fare una lista completa, ma ciò non impedisce che si possa evidenziarne alcuni, nei quali molti di noi si riconosceranno. Per esempio: – la confusione nello scrivere “un po’” con l’accento e non con l’apostrofo. Uno degli errori più frequenti e meno sradicabili, dall’ingenuo studente delle elementari fino ad arrivare al versato dottorando universitario – uso dell’apostrofo tra le parole “qual” e “è”: un errore che tutti (gli onesti) hanno fatto almeno una volta nel corso della loro vita e che sempre meno viene spiegato nelle scuole – L’accentazione del termine né quando inteso come negazione Curioso a vedersi, le inesattezze sulla punteggiatura riguardano tutte degli aspetti che non compromettono in alcun modo la comprensione del testo da parte del lettore.

Nella punteggiatura mala tempora currunt

Il punto, dunque, non sta nella non capacità di scrivere un testo, ma nel farlo in maniera piuttosto superficiale. Ciò si evidenzia molto bene anche dai risultati degli ultimi cinque anni attinenti le prove INVALSI, presentati di recente all’Accademia dei Lincei per una valutazione più approfondita della questione. Un altro parametro da evidenziare è quello del tempo: la pazienza dedicata alla composizione o alla limatura di un testo in lingua italiana per essere sufficiente richiede un maggiore dispendio di tempo rispetto a quello che lo studente medio, magari lavoratore, possiede di questi tempi.

Le carenze si evidenziano meno negli studenti di area umanistica, ma già il fatto che siano presenti deve indurre alla profonda riflessione. Certamente la preparazione conta, ma anche la causa emotiva dalla quale si è partiti deve essere tenuta in considerazione. Ragazzi vuoti corrispondono a testi vuoti, e certamente non si può raccontare bene se non c’è nulla da raccontare. Quel campo coltivato per portare frutti deve trovarsi su un terreno fertile, non solo ben lavorato, altrimenti sarà stata tutta fatica sprecata.

Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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