Migliaia di migranti sono accampati lungo la frontiera tra Bielorussia e Polonia. Nella seconda settimana di novembre una situazione che durava da mesi si è trasformata in una crisi diplomatica fra l’UE e il regime di Lukashenko.
A partire da lunedì 8 novembre il numero di rifugiati al confine è aumentato, arrivando a una stima di 3/4mila. Sono persone provenienti per la gran parte da Afghanistan e Medio Oriente, con la speranza di trovare rifugio in Europa. Si sono ritrovati bloccati in una sorta di terra di nessuno, con temperature sotto lo zero e senza accesso ai beni di prima necessità. La Polonia ha infatti proibito l’attraversamento del confine con filo spinato e un massiccio dispiegamento di forze. Secondo le dichiarazioni del ministro della Difesa un maggior numero di truppe sarà impiegato per bloccare i tentativi di ingresso nel territorio.
In seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza, è stato impedito l’accesso alla zona di confine a giornalisti, aiuti umanitari e avvocati, rendendo difficile reperire informazioni dettagliate su quanto sta accadendo e aumentando le preoccupazioni sulle gravi ripercussioni che la crisi potrebbe avere a livello umanitario. Alcune fonti parlano già di otto morti.
Tutto ciò per noi è straziante. Siamo qui, vicino al confine, ma non possiamo aiutare le persone. Possiamo solo aiutare quelli che riescono ad attraversare il confine e uscire dalla zona ad accesso limitato.
Parole di una volontaria di una ONG alla BBC.
L’inizio
La crisi trova origine nella reazione del presidente bielorusso alle sanzioni europee di inizio anno. A maggio, l’UE sanziona il paese in seguito al dirottamento di un aereo di linea e all’arresto del giornalista dissidente Protasevich che era a bordo, operazione interamente organizzata da Minsk.
Già nel 2020 la Bielorussia era stata oggetto di sanzioni da parte non solo dell’EU ma anche degli USA. Il governo aveva infatti represso duramente le proteste scoppiate dopo la sesta rielezione di Lukashenko avvenuta alle elezioni di agosto.
A metà 2021 arriva l’annuncio che la Bielorussia non effettuerà più i controlli per impedire che i migranti irregolari entrino nell’Unione, in quanto l’UE avrebbe privato il governo dei fondi necessari per finanziare tale politica. Da quel momento gli stati UE confinanti hanno registrato un sensibile aumento nel numero di persone che tenta ogni giorno di attraversare i loro confini. Secondo il governo polacco da quest’estate sono stati oltre 30 000 i tentativi di ingresso.
Accuse reciproche
Da un lato l’UE accusa Minsk di aver fatto deliberatamente affluire i migranti sul territorio bielorusso per poi condurli a ovest, promettendo loro un facile ingresso nel territorio dell’Unione. Questa mossa farebbe parte di un “attacco ibrido” nei confronti degli stati membri, specialmente quelli confinanti, per vendicarsi delle recenti sanzioni.
Dall’altro lato, Lukashenko incolpa l’Europa, che nega l’ingresso ai rifugiati, violando i diritti umani e il diritto internazionale di asilo. La Russia, principale alleata e creditrice di Minsk, si è pronunciata difendendo la Bielorussia ma sulla questione del gas ha smentito il presidente bielorusso.
Lukashenko ha infatti minacciato di chiudere i rifornimenti di gas naturale che passano per il suo paese se l’Europa imporrà sanzioni economiche.
«Noi riscaldiamo l’Europa, e loro minacciano di chiudere il confine. Ma che succede se gli tagliamo il gas?»
Tuttavia, la Bielorussia è solo un paese di transito: i gasdotti sono infatti controllati dalla compagnia di stato russa Gazprom. Venerdì 12 novembre proprio il Cremlino ha preso le distanze dalla minaccia di Lukashenko, annunciando che avrebbe continuato con le regolari forniture.
A livello diplomatico Mosca rimane schierata a favore di Minsk, come emerge dallo scontro avvenuto durante un incontro d’emergenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU. I paesi occidentali (Francia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno esplicitamente accusato il governo bielorusso di mettere in pericolo le vite dei migranti per “ragioni politiche”, con l’obbiettivo di “destabilizzare i paesi vicini e i confini esterni dell’UE e sviare l’attenzione dalle sue crescenti violazioni dei diritti umani”. La Russia, membro permanente del Consiglio, ha ribattuto accusando invece la Polonia di violazione dei diritti umani. Questa starebbe respingendo con violenza i rifugiati affinché non entrino nel suo territorio.
La Bielorussia, uno stato “trafficante”
Le migliaia di persone che oggi si trovano accampate al confine partono dal Medio Oriente, intraprendendo un viaggio incoraggiato e organizzato in gran parte dalle stesse autorità bielorusse. A marzo il governo semplifica le procedure burocratiche per rilasciare visti “turistici” in Iraq. Da quel momento le stesse agenzie di viaggi possono produrli e organizzare dei pacchetti con volo di sola andata per Minsk. In concreto la Bielorussia ha aperto una rotta migratoria alternativa a quella balcanica, più rapida e con “meno rischi”.
Per quanto riguarda il volo diverse compagnie hanno attivato collegamenti tra Medio Oriente e Minsk, la più attiva fra tutte è Belavia, la compagnia aerea statale bielorussa. Questa prima parte del “viaggio” ha un costo che si aggira intorno a qualche migliaio di euro ma è una volta arrivati che iniziano le difficoltà.
La maggior parte dei migranti si affida ai trafficanti per raggiungere il confine e attraversarlo a piedi, pagando tra i 15 000 e i 20 000 euro a persona. Soprattutto in questi ultimi mesi, con l’aumento dei controlli polacchi, le persone sono disposte a pagare queste cifre non solo per evitare di perdersi tra i boschi ma anche e soprattutto per la loro sicurezza.
«Devi girare per boschi sconosciuti in un paese straniero. I borseggiatori sono pronti a derubarti. La criminalità organizzata ti osserva. Ci sono animali selvatici, fiumi e paludi da attraversare: è un salto nel vuoto, anche se usi il GPS» ha raccontato un trafficante a BBC News.
In tutto questo come agirà l’UE? Lascerà agire indiscriminatamente la Polonia o imporrà un’azione congiunta?