Ceneri alle ceneri: l’ultima commedia di Harold Pinter. Devlin e Rebecca, marito e moglie, sono protagonisti universali, riflessi di realtà che si schiudono in parole e silenzi. Dialoghi violenti, distruttivi e misteriosi approfondiscono un passato tormentato. La scena prende voce da Rebecca, seduta, mentre Devlin è in piedi con un bicchiere in mano. Le parole di lei creano nello spettatore un immaginario violento, di un ipotetico amante che prevaricava e mostrava il pugno.
Devlin cerca ossessivamente un’identità all’uomo, le domande si susseguono, non ne può fare a meno. E al contempo, in un’invasione di quesiti sempre più intimi, si proiettano verità false e vere.
Ceneri alle ceneri: l’amante
In “Ceneri alle ceneri” Devlin e Rebecca sono statici, ma i loro discorsi vivono un crescendo sempre più dinamico. La contrapposizione lentezza e velocità disarma lo spettatore, in una storia che corre da ferma. Chi è l’amante? Era a capo di una fabbrica, dice Rebecca, dove si rigava dritto. L’autorità che l’amante ha su Rebecca è un’autorità che da interpersonale diviene unanime: nella fabbrica tutti si tolgono il cappello in segno di rispetto. Il pugno che l’amante mostra a Rebecca è simbolo di una violenza che dirama, in uno scenario sempre più ampio, le sue radici. Si richiama a un passato oscuro, complesso, atroce: l’ambiguità della figura accresce.
Devlin e Rebecca, nazista ed ebrea
“Ceneri alle ceneri” va in scena per la prima volta, in Italia, nel 1997. Verranno, poi, realizzate svariate produzioni: una di queste al Teatro Franco Parenti di Milano. Sulla linea della regia, i due personaggi riconducono a una tragedia tanto forte quanto terrificante: la Shoah. Devlin si configura come una SS e Rebecca come un’ebrea: oppressore e oppresso, carnefice e vittima. L’amante, l’uomo violento che stringe delicatamente la gola di Rebecca, è forse Devlin stesso.
La Shoah
È il 1933: gli ebrei vengono gradualmente deportati. Tra il 1933 e il 1945 sono milioni e milioni i morti, persone perseguitate da un orrore organizzato e portato avanti dalla Germania nazista. Browning indaga sul perché di tali violenze, sul perché ci siano ingiustamente vittime di così grandi atrocità. E “Uomini comuni” parla proprio di questo: nelle 210 testimonianze degli uomini del Battaglione 101 della Polizia tedesca si ricercano le motivazioni dietro gli ordini eseguiti.
Violenza intesa come forza
I soldati del Battaglione 101, a Józefów, devono scegliere il destino di 1800 ebrei: selezionare chi deportare e uccidere i restanti immediatamente. Pochi si rifiutano e le ragioni di chi accetta principalmente sono: conformismo al gruppo, solidarietà nei riguardi dei compagni, rispetto dell’autorità, timore d’apparire fragili, ambizioni lavorative. I dissidenti non sono troppo buoni, ma troppo deboli. Per loro la forza è la forza di sterminare, di mostrare il pugno, d’andare avanti, come racconta Devlin in “Ceneri alle ceneri“, col bello e col cattivo tempo.
Harold Pinter e l’attivismo politico
Harold Pinter, grande drammaturgo britannico, già a 16 anni è Macbeth sul palcoscenico. Frequentatore di biblioteche, appassionato di libri, amante della letteratura. Ė criticato nelle sue prime rappresentazioni: dipinto come incomprensibile, estroso. Odiernamente è uno degli autori più affermati e, ironia della sorte, “non ha cambiato nessuna battuta”. Coinvolto nella politica, manifesta contro la guerra in Vietnam, il colpo di stato in Cile e l’apartheid in Africa, diventa portavoce di Amnesty International, denuncia la violenza e si prodiga per i diritti umani. Nelle commedie più recenti Pinter usufruisce di brevitas: sono essenziali, potenti e condannano una violenza universale. Violenza che ha sempre combattuto, come uomo e cittadino:
Secondo il drammaturgo, ciascun cittadino in quanto tale, per preservare la sua dignità, ha come imperativo la comprensione della realtà. E, conseguentemente, il dovere di combattere la violenza.
La brutalità moderna
Harold Pinter si scaglia contro l’ipocrisia che, a parere suo, connota l’America moderna. Nelle sue opere richiama la violenza e la denuncia con una potenza affascinante. Critica i media e considera gli Stati Uniti “il più grande show in circolazione”, in virtù di una libertà distorta e una democrazia discutibile. Nelle sue commedie costringe la platea ad ascoltare uno spettacolo scomodo, forte, ma uno spettacolo che, come precisa Pinter: