Una sensazione che sicuramente il parlar Loi rimanda –senza neanche accostarsi alla traduzione – è l’intuizione dell’istante. Anche chi non ha mai letto la traduzione di un testo di Loi per uno strano motivo riconosce il significato primo del suo suono.
Non erano tanto gli eventi o i fatti, guardavo il mondo e mi rimaneva molto di più di quanto pensassi e lo scoprivo poi nei versi che scrivevo. (Franco Loi in Rai Radio Techetè)
Come coniugare la commozione dell’uomo per la meraviglia e il suo esito pratico nella quotidianità rimane un enigma stabile. Eppure Franco Loi (1930-2021) è un poeta, scrive in dialetto milanese e cattura l’aria.
Dopo la conoscenza del sé il rapporto diventa reale
C’è un percorso di conoscenza del sé e dell’esterno guardato da dentro che accompagna ogni lettura del poeta lombardo. Mi son un che, quando / Amor mi spira, noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando (Pg XXIV 52-54): nel massimo abbandono dell’essere umano a se stesso, quindi nel momento di ascolto nudo delle cose esistenti (senza gli orpelli dati dalla contingenza, le scadenze o le grigie routine) chiunque è poeta. Nel rapporto simpatetico–amoroso con l’esperienza, l’ascoltatore deve capire cosa ditta dentro, liberarsi da condizionamenti non voluti e finalmente è pronto per prestare attenzione all’essere più difficile da catturare: cosa sta dicendo l’Altro e le cose del mondo.
Allora anche la comunità sociale diventa fattiva, quando si dà all’uomo la conoscenza di sé, allora l’attenzione all’altro c’è perchè si è attenti a se stessi. Come faccio a dire a una persona che la amo se non so chi sono? E così è anche la cultura: da coltivare, far crescere l’uomo, così è evidente l’importanza della sua crescita, l’autocoscienza. (Franco Loi)
Leggendo sun mì che cerch mì nel mè ciamà (sono io che cerco me stesso nel mio chiamare) Loi confonde l’intima ricerca dell’io con la prima verità di questa indagine: sapere, esattamente, cosa stiamo cercando (in noi). Costantemente in bilico tra dentro e fuori, si attua una fenomenologia dello spirito che rende il momento della poesia un percorso di formazione.
La quarta dimensione Loi
Ne L’Intuizione dell’istante (e la psicanalisi del fuoco) il filosofo scientifico Bachelard precisa che
La poesia è la metafisica istantanea; in un breve componimento deve trasmettere una visione del mondo e il segreto di un animo, di un essere e degli oggetti.
Il non previsto di Loi sta nell’accompagnare la sapienza del sé anche alla creazione di un’altra simmetria che coinvolge penna, esterno e verso. Come quando una lucciola viene afferrata e rinchiusa in un barattolo di vetro e stiamo a guardare il suo effetto di luce finché non la rilasciamo alla notte: la manifestazione dell’universo è catturata e costretta a rivelare la sua forma anche se nel breve momento in cui ha iniziato ad esistere.
Cume se fa a parlà de la belessa?
La furma che sa dís al fiâ del cör?
La vardi e, nel murí, la mia parola
la dís dumâ del poch restâ nel mör.Come si fa a parlare della bellezza?
La forma che sa dire al fiato del cuore?
La guardo e, nel morire, la mia parola
dice soltanto del poco rimasto nel morire. (Amur del temp)
Non ci sono passaggi di rielaborazione della prima visione: sulla carta deve essere riproposto il fatto proprio come una lente verghiana osserva i pescatori alla riva. Per ogni raccolta, anche la più tangibile, la descrizione è anche del fatto inconsistente, immateriale, purché sia sentito. Da la piega amara de la bucca o un fiurdalis den’ nel melgasc (un fiordaliso dentro al granoturco), fino a La gàbia del leun l’era de aria, de aria la mia mama, quèl cappell (la gabbia del leone era di aria, di aria la mia mamma, quel cappello): la dimensione Loi (che assumerà espressioni ancora più legate al non materiale in Liber, Aria e Bach) è ovunque e con un po’ di esercizio si può cogliere.
Catturare l’aria
Nella frammentaria memoria dell’infanzia, Franco Loi nasce a Genova nel 1930 da padre sardo e madre della bassa parmense. Nel ricostruire la dizione e pienezza vocalica di Loi si aggiunge che trascorre un lungo periodo a Milano e che, nel suo incantamento alla vita, si è trovato nella necessità di ascoltare le voci delle cose e delle persone. Perché? La gente non poteva definirsi solo nel dialetto milanese, ma anche nella lingua che meglio in quel momento dettava i significati di ogni gestualità, voce e non detto.
Sun quèl di òstregh,
d’i maravèj sun quèl e d’i gandúl,
che cumpera l’amar di gent de pèrsegh
e duls je traas mundèj m’üsèll in vul
Sono quello delle ostriche ostie, / il mercante delle meraviglie e dei noccioli di pesca, / che compera l’amaro delle genti di pesca / e dolci ne getta sparsi i semi mondati come l’uccello in volo: il milanese è dichiaratamente del dopo guerra degli anni ’50, ma confessa delle parti che non possono essere tradotte neanche in lingua italiana. Alcuni accostamenti fonici corrispondono direttamente alla sensazione che prende vita nell’aria: sono inesistenti anche in una definizione della lingua dialettale o lombarda, esistono solo nel momento di accadimento.
La lingua dell’istante necessita la lingua dell’istante
La linea che traccia l’andamento della scrittura di Loi potrebbe avere una forma circolare. Se in una prima fase domina l’uso del verso libero milanese come in I cart (Edizioni 32, Milano 1973), Poesie d’amore (Edizione Il Ponte, Firenze 1974), Stròlegh (Einaudi 1975), Teater (Einaudi 1978) e nella seconda fase si parla di endecasillabo degli anni ’80 o di un verso più limpido e omogeno, resta la variabile costante di tutta la sua produzione di non allontanarsi dall’ascolto dell’istante e trovare la miglior lingua per aggrapparsi ad esso.
Sü ‘n tram û ‘ist in faccia la belessa,
un tram südâ, de cappell e giacch,
de impiagâ cuj face de la tristessa,
e de dònn grass, de bamburín cuj tacch;
û ‘ist la faccia che ghe brusava el cör
in ‘na Milan che la slisava aj fracch
(Amur del temp)
Su un tram ho visto in faccia la bellezza,/un tram sudato, di cappelli e giacche,
di impiegati con le facce della tristezza,/e donne grasse, e ombelichi sui tacchi;
ho visto la faccia che le bruciava il cuore/in una Milano che scivolava tra mucchi
Sicuramente i pastiche linguistici, gli arcaismi, l’apertura alle contaminazioni, le parole composte, gli italianismi, gli aggettivi deverbiali, gli anacoluti, le ellissi dominano agli inizi del parlar Loi per poi risultare più omogenei e distesi nella produzione successiva. Ma ci limiteremo a porre alcune raccolte senza l’ambizione di definire rigidamente la sua evoluzione linguistico-tematica.
L’Aria (Einaudi 1981), Lünn (Ed. Il Ponte 1982), Bach (Scheiwiller 1986), Liber (Garzanti 1988), Umber (Manni, Lecce 1992), L’angel (Mondadori 1994), Arbur (Moretti & Vitali, Bergamo 1994); Amur del temp (1999), El vent (Campanotto editore, Udine 2000), Isman (Einaudi, Torino 2002)
Così la proposta tematica tendente al metafisico e inafferrabile si confonde con la finitezza dell’oggettualità. La poesia è ora canto più limpido, denso, scorrevole e unitario, permanendo in endecasillabi spezzati e ritorni di conteggi metrici precisi.
“Cosciente intanto che l’uso che io faccio e ho sentito fare delle parole (milanesi) può anche non corrispondere alla tradizione, e che alcuni vocaboli hanno diversi strati e significati. Avrei infatti preferito pubblicare le mie poesie, oltre che con una dizione italiana, anche con un glossario, ma esigenze editoriali me l’hanno sempre impedito.” (Parlar Franco)
Non una vera e propria traduzione, come può sembrare alla prima lettura, ma un supporto a ciò che è impossibile percepire con altre sonorità. Se è vero che Loi paragona l’effetto fonico della poesia alla ricezione della nota musicale, non può permettersi in nessun modo di modificare il suono esatto della sensazione.
La dialettica tra il milanese e la contaminazione proposta da Loi non può cominciare e terminare in poche righe, ma si può sostenere l’incredibile miracolo dell’effetto Loi nel farsi demiurgo della lingua.
Amur del temp secondo Loi
Che muove il sole e le altre stelle è una definizione rigorosissima per Loi che afferra l’amore come movimento delle cose, moto delle parole nel loro disfarsi e ricomporsi. Una tensione che è soffio vitale esteso al tutto, Amur del temp si intende come cifra interiore e come suggestione corale che riunisce tutti gli esseri umani. Se per Loi l’aria è l’enigma del mondo perché compare nel sentire ed è catturabile soltanto nello scrivere, allora l’amore diventa la soluzione nascosta e finita dietro al mutare delle cose: il richiamo verso un’alterità che diventa un ritrovarsi nelle verità di adesso. E un invito, a tutti gli esseri umani, a riunirsi nella ricerca dell’impulso vitale e a non dimenticarsi di quell’ancestrale senso di condivisione precedente al frammentarismo e grigio vetro delle città metropoli (come dirà Loi dell’Italia post bellica).
E no luntan de nüm, ma nüm nel vent,
fra i maíss e l’üga, i sàres, i cavagn,
i munt dré i arciprèss che ciamen sera
e i bumbâs di nüver süj castagn
al tò truâss de tusa ne la spera
pulver del sû e tâs ne l’invedriâss
di èrb e di lampiun, nel bév la vera
passiensa del cercâss e mai tuccâss.
i monti dietro i cipressi che chiamano la sera\e l’ovatta delle nuvole sui castagni\al tuo ritrovarti ragazza nella spera\di polvere del sole e tacere nel farsi vetro\le erbe e i lampioni, nel bere la vera\pazienza del cercarsi e mai toccarsi.
Il vuoto che dietro al lettore evoca Amur del temp è la constatazione della necessità del moto. Quello di Loi è effettivamente un amore integrale che traccia le intuizioni del bello (non inteso nel senso estetico comune ma come percezione che compare e scompare nell’avvenire), la consistenza dell’aria (come ritorno a respirare l’esistenza), la tacita connessione tra le persone che tendono alla ricerca di una lingua comune, che, ritorna al suo senso primordiale del non detto.
Ieri pomeriggio è morto Franco Loi, uno dei più grandi poeti del Novecento. È stato la voce della Milano popolare, quel popolo di speranza che iniziava a ricostruire le proprie vite partendo dal nulla, o quasi. (5 gennaio 2021, Doppio Zero)
La poesia secondo me (Loi) è una necessità per
Restare attenti verso le connotazioni delle parole, il loro effetto nella comunicazione e nella loro rinascita e permanenza nelle vite delle persone.
Così che la poesia ancora fiorisca ogni 21 marzo e permanga nell’esser la lanternina che chiarisce l’enigma delle cose, delle sensazioni, degli ideali, delle ingiustizie o giustizie, per le quali, non abbiamo mai trovato le parole giuste (che, a volte, sono tutto quello che ci resta).