Non bastasse la pandemia, il Perù versa in una drammatica crisi politica e istituzionale da più di una settimana. Era il 10 Novembre scorso quando, con voto favorevole del Congresso monocamerale del paese, è stato destituito il presidente Martín Vizcarra accusato di corruzione dalla stampa nazionale. Vizcarra era subentrato nel corso della legislatura al presidente eletto nelle elezioni generali del 2016, Pedro Pablo Kuczynski (di cui era vice) dimessosi in seguito agli sviluppi di un altro scandalo inerente però ad accuse di voto di scambio.
Dalla crisi politica alla cristi sistemica
Dopo la caduta di Vizcarra si è preparato il terreno per la salita al potere di Manuel Merino, presidente rimasto in carica appena 5 giorni e che per questo già oggi viene indicato come “el hombre que duró menos de una semana”. L’uomo che è durato meno di una settimana.
E’ in questo passaggio di testimone che si è incardinata la crisi politica del paese la quale ha subìto un’impennata fatta di scontri, violenze, morti e dimissioni in massa.
Poco dopo aver prestato giuramento ed aver formato il governo, Manuel Merino è stato infatti costretto alle dimissioni in seguito a grandi proteste di piazza. Scontri tra polizia e manifestanti si sono consumati non solo nella capitale Lima ma in tutto il paese.
Il bilancio impietoso ha infatti restituito un bollettino che conta decine di feriti e addirittura 3 morti di cui due giovani studenti, Inti Sontelo di 24 anni e Jack Pintado di 22, colpiti fatalmente dai proiettili sparati dalla polizia. I fatti di piazza hanno avuto come conseguenza diretta le dimissioni di ben 13 ministri (tra cui Interno e Giustizia) del nuovo governo e, come effetto domino, le dimissioni dello stesso Merino.
E’ notizia delle ultime ore che a sostituirlo sarà il parlamentare centrista Francisco Sagasti. Egli comunque, come lo sarebbe dovuto essere il suo predecessore, sarà solo Presidente ad interim fino a nuove elezioni generali previste per la prossima primavera.
Sagasti eredita una situazione drammatica non solo in virtù della pandemia ma anche di una dilagante sfiducia dei cittadini nelle istituzioni dopo un passato recente caratterizzato da diversi scandali che hanno investito più presidenti in carica.
Lo scandalo che ha portato alla caduta di Vizcarra e l’incapacidad moral
Partiamo con una precisazione: Vizcarra, ufficialmente, non è ad oggi imputato di nulla dalla magistratura peruviana ma “solo” indagato per corruzione. Sotto la lente di ingrandimento ci sarebbe una tangente di ben 600 mila dollari intascati da Vizcarra, quando però era governatore regionale e non ancora Capo di Stato, da un gruppo di imprese di costruzione peruviane e straniere interessate ad ottenere licenze pubbliche. Vizcarra ha negato ogni responsabilità. Certo appare sinistro l’intero contesto se pensiamo che proprio in questi mesi l’ex presidente stava tentando di far passare un’importante riforma anti-corruzione osteggiata dai gruppi industriali.
Dietrologie a parte la domanda è: come si è arrivati ad una tale instabilità? Alla base vi è una mozione di sfiducia motivata da supposta incapacità morale del presidente e approvata con 105 voti a favore su 130. Solo 16 contrari.
La sfiducia per incapacità morale, in spagnolo sudamericano vacancia por incapacidad moral, è un istituto peruviano particolarmente insidioso per il presidente incarica. Nato come congegno per rimuovere il Capo di Stato dalle sue funzioni e procedere alla nomina di un sostituto, ha un significato a maglie larghissime. Per intenderci si ha c.d. incapacità morale tanto quando il presidente è malato (enfermedad), tanto quando sia ormai morto. E’ il caso di Vizacarra? Assolutamente no. C’è infatti un terzo significato che ben rappresenta l’eterogeneità dell’istituto e allo stesso tempo la sua malleabilità. Incapacidad moral può significare anche letteralmente mancanza dell’autorità morale necessaria per esercitare l’incarico.
Sta tutto qui: il collegamento tra il puntino A – le accuse di corruzione (giova ripeterlo: nessuna imputazione ancora) – ed il puntino B – la fragorosa caduta del presidente – si fonda su questo istituto di diritto e su un sistema fragile che non pone grosse difficoltà, al parlamento, nel decapitare l’esecutivo.
La mozione di sfiducia al presidente ed il sistema fragile
Nel caso in questione è bastato sollevare da una manciata di parlamentari il dubbio, viste le gravi accuse di corruzione, che Vizcarra avesse ancora l’autorità morale per essere presidente del Perù, per mettere in moto l’ingranaggio.
Seppur il Perù abbia scelto come forma di governo il presidenzialismo ed un parlamento solo monocamerale – diversamente dal resto del mondo dove, seppur con le dovute differenze, si ritrova più o meno ovunque un Camera Bassa ed una Camera Alta – il presidente ha un enorme argine ai suoi grandi poteri. La Costituzione peruviana del 1993 prevede infatti un sistema relativamente facile, rispetto altrove, per destituire il Capo di Stato.
In principio è sufficiente che il 20% dei parlamentari del Congresso (los legislatores) e cioè appena 26 sul totale di 130, presenti la mozione motivata. A questo punto essa deve essere ammessa dal 40% del totale (52/130) perchè si arrivi al voto. Infine la votazione, che si intende approvata con il voto favorevole di appena il 66% dei legislatores (87/130). Con Vizcarra si è andati ben oltre questa soglia attestandosi a quota 105.
Tralasciando un’ulteriore anomalia non da poco e cioè il fatto che per un voto così importante non sia costituzionalmente necessaria una approfondita discussione e che nel caso di Martín Vizacrra si sia dibattuto per appena 1 ora, il vero vulnus nell’ordinamento arriva in seguito. Approvata la mozione, nessun organo in Perù ha il potere, secondo la costituzione, di rettificare il voto e quindi eventualmente di rimetterlo in discussione.
Cosa aspettarsi
Non c’è una risposta e l’avvicendarsi di tre presidenti in appena una settimana non lascia spazio a previsioni sul lungo termine. Sagasti sarà Capo di Stato, con quale maggioranza? In che contesto sociale? Cadrà sotto il peso della gestione della pandemia o riuscirà a reggere fino a primavera?
La preoccupazione più grande per quella che è un area, quella sudamericana, che nel secolo scorso ha conosciuto vari cambi di potere talvolta drammatici e precursori di stagioni militari violente e dittatoriali, è quella di un ricrearsi in Perù delle medesime condizioni tragiche. Sicuramente non è questo il caso eppure quando l’humus sociale si intinge di rabbia e sfiducia nelle istituzioni, la storia insegna la facilità per eventuali golpisti di insinuarsi anche senza invocazione popolare.
In questo senso, non rimane altra strada percorribile se non un periodo di transizione pacifico fino a nuove elezioni, in primavera.