Sistema Critico ha deciso di intervistare un ragazzo vittima di bullismo. La storia di A. è complessa perché parte da casi di bullismo verbale e psicologico, poi sostituiti da cyberbulllismo e successivamente da violenza psicologica in campo medico.
Secondo la ricerca condotta dall’Istat nel 2014 (https://www.istat.it/it/files/2015/12/Bullismo.pdf), il 19,8% dei ragazzi intervistati (11-17enni) dichiara di aver subìto azioni tipiche di bullismo nell’anno precedente l’intervista.
Questo dato allarmante fa capire quanto questo problema sia molto spesso sottovalutato all’interno della nostra società, più nello specifico nell’ambito della scuola, luogo privilegiato per commettere gran parte dei soprusi.
Tuttavia non è solo questo il luogo dove si può assistere a delle violenze. Molto spesso accadono atti di supremazia, perpetrata da adulti su minori o sui loro stessi coetanei. Anche questa tipologia di violenza è pericolosa e può compromettere anche la serenità del proprio ambiente lavorativo (https://www.inas.it/mobbing/).
Per questo motivo occorre insegnare già ad un’età precoce cosa significhi il rispetto per gli altri e la loro unicità, non contaminando la spensieratezza e l’ingenuità dei bambini con pregiudizi o stereotipi, già solidificati dentro di noi.
È fondamentale riscoprire un’educazione che miri a formare degli uomini sereni e fieri della propria unicità, che non abbiano bisogno di accanirsi contro il più “debole” o il “diverso” per sentirsi migliori. Inoltre il clima di omertà ed egoismo crescente all’interno di una struttura sociale, sempre più globalizzata ed individualista, può solo peggiorare le disuguaglianze che già esistono.
Non denunciare una violenza a cui assistiamo ci rende in qualche modo complici del crimine, codardi ed ottusi. La società, infatti, cambia continuamente le proprie abitudini e i propri modelli di perfezione e, per qualsiasi motivo, un giorno potremmo ritrovarci ad essere etichettati noi stessi come i “diversi”, quelle persone da escludere, non essenziali allo sviluppo della società.
La testimonianza di A.
Raccontaci brevemente la tua esperienza di bullismo.
Tutto parte dal fatto che a 11 anni è morto il mio migliore amico. Qualche mese dopo, non riuscendo a superare il trauma della sua assenza, le mie gambe si sono bloccate di colpo. Per questo sono stato in un primo momento in ospedale e poi 6 mesi in sedia a rotelle. Tutto ciò che è venuto dopo, lo classifico come un periodo “dopo di lui”, un periodo in cui ero abbastanza asociale e non riuscivo a relazionarmi con gli altri.
Tuttavia i problemi di bullismo di cui ho sofferto sono iniziati il primo anno di superiori al Liceo. Sentivo dentro di me una sorta di barriera fra me e gli altri, sintomo di un malessere che mi portavo dietro da quell’evento traumatico. I compagni, di conseguenza, avevano cominciato a fare gruppo senza di me. Mi sentivo molto solo e sfogavo il mio malessere a casa.
Proprio per questo motivo, qualcuno iniziò anche a prendermi di mira. Scherni e ripetuti dispetti erano all’ordine del giorno. Dopo essere andato in bagno, spesso non trovavo più le mie cose e mi capitava di vederle fuori dalla finestra. Tuttavia le insegnanti lasciavano correre, minimizzando questi gesti. Ancora oggi mi chiedo se le insegnanti non si fossero realmente accorte del problema o se patteggiassero per i bulli, figli di personaggi abbastanza influenti in città. Ad ogni modo hanno peggiorato la situazione con il loro comportamento.
Un giorno, per esempio, ho alzato la mano per rispondere ad una domanda dell’insegnante, e lei ha iniziato a sghignazzare e dire “Adesso vediamo cosa ha da dire lo stupido!”. Ora non ricordo la frase precisa ma era qualcosa del genere. Molte cose le ho rimosse inconsciamente perché troppo dolorose. Però ricordo bene che davanti alla scherno dell’insegnante, la classe è esplosa in una fragorosa risata. Da quel momento ho iniziato a sentire un complesso di inferiorità rispetto agli altri, come se fossi inadatto. Me la prendevo con la mia famiglia e con me stesso. Pensavo avessero ragione. Anche quando un ragazzo mi ha sputato mentre uscivo da scuola, io continuavo a pensare che avesse ragione a farlo. Mi sentivo colpevole di tutto questo. Ero io a non andare bene.
Un giorno iniziai ad approfondire l’amicizia con un ragazzo della classe perché eravamo diventati compagni di banco. Nella foga del momento gli raccontai (stupidamente) il fatto che un mio amico era venuto a mancare all’età di 11 anni. Il giorno dopo questa confessione, il gruppo di bulli che mi aveva preso di mira, iniziò a simulare un attacco di cuore. Lì per lì non avevo capito. Poi quando mi girai, vidi questo ragazzo ridere con il gruppo e compresi cosa stava succedendo. Nonostante questa cattiveria, ritenevo che la colpa continuasse ad essere mia. Iniziai a farmi del male ed a non mangiare e mia madre notando queste cose, si preoccupò seriamente per la mia salute.
Un giorno venni chiamato dalla preside e dalla coordinatrice di classe per parlare di questi problemi. Pensai davvero che quello fosse il momento in cui tutto avrebbe potuto risolversi, ma mi sbagliavo. In breve la coordinatrice diede ragione a questi ragazzi e la preside minimizzò i fatti. Ammetto di non aver raccontato alla lettera tutto quello che era accaduto, assalito dal senso di vergogna che provavo in quel momento. Davanti a quella situazione così critica, mia madre mi costrinse a cambiare scuola.
Il secondo quadrimestre del primo anno di superiori mi trasferì a Urbino. Lì trovai ragazzi disponibili e amichevoli; professori attenti alle mie esigenze e a ciò che dovevo recuperare. Stavo bene e le ferite degli anni precedenti si stavano iniziando a rimarginare a poco a poco. Tuttavia bastò una goccia per far traboccare nuovamente il vaso.
Il giorno di San Valentino scrissi un post su Facebook, dove criticavo l’aspetto materiale della festa. Ad un certo punto tanti dei miei ex compagni di classe, iniziarono a commentare con cattiveria e disprezzo, insultandomi anche per dei semplici errori ortografici. Al tempo non era normale assistere agli haters e alle gogne mediatiche, come si è soliti (purtroppo) vedere oggi. Mi sembrava di ripiombare nella situazione di qualche mese prima e che i miei nuovi amici avrebbero potuto giudicarmi negativamente, alla luce di quanto odio era stato me rivolto. Da quel post sentì di nuovo emergere una sensazione di profondo malessere ed è come se fosse iniziata una nuova fase della mia depressione. Mi assalì un grosso attacco di panico e caddi a terra.
Successivamente fui ricoverato per un mese, un mese e mezzo circa, perché i medici temevano avessi potuto fare del male a me stesso. Nemmeno in ospedale i compagni di classe di Pesaro vennero a trovarmi o a rivolgermi delle scuse, nonostante fossero a conoscenza della situazione; mentre quelli di Urbino si fecero sentire spesso e mi portarono anche dei fiori occasionalmente.
Sfiga delle sfighe, i miei bulli non erano finiti. Ero in cura sotto una primaria di neuropsichiatria infantile, che mi aveva prescritto una cura, che scoprì, successivamente, molto pesante per la mia età. Questa donna iniziò a dirmi che il mio problema non era il bullismo; bensì la mia famiglia che mi odiava e non mi voleva. Mi disse che dovevo staccarmene. Il motivo del suo comportamento fu chiaro quando mi propose di far parte di una delle sue comunità di tossicodipendenti, sebbene io non avessi mai avuto a che fare con delle droghe. In quel modo, infatti, avrebbe ricevuto dallo Stato un ingente sussidio mensile per curarmi. In quel momento credevo fosse l’unica persona a comprendere il mio stato d’animo e la vedevo come un’opportunità. Ripensandoci a posteriori, da persona sana, noto anche io l’assurdita di questa cosa. Ma lì per lì no, inebetito dagli psicofarmaci, non ci riuscivo.
I miei genitori erano distrutti e non sapevano cosa fare e cosa dire. Alla fine mia madre decise di contattare un altro dottore, raccontandogli tutta la situazione e la dose di medicinali che questa dottoressa mi somministrava. Il dottore rimase sbigottito sentendo le parole di mia madre e decise di mandare una relazione dell’accaduto all’Ordine dei Medici, dal momento che questa dottoressa aveva abusato del suo ruolo. Lei fu ripresa per il suo comportamento e io fui dimesso.
Come questo ha influenzato la tua vita?
Dopo queste esperienze di bullismo è stato sicuramente più difficile relazionarmi con le altre persone. Non riuscivo a fidarmi e avevo dubbi su tutto e tutti. Mi sono creato una nuova personalità perché non volevo permettere a qualcuno di entrare nuovamente dentro di me, di conoscermi veramente. Anche i miei amici venivano a contatto con questa maschera che portavo. Te ne crei tante dopo traumi del genere. In quel momento pensi che la tua essenza debba essere protetta sotto strati e strati di difese, che nessuno deve penetrare. Dentro di te sai che non è quello il modo di proteggersi ma ti viene in automatico assumere questo comportamento.
Credi che bulli si nasca o si diventi con il tempo?
Non penso che bulli si nasca; ma che si diventi con il tempo. Probabilmente nelle loro famiglie si dava più valore al possesso di cose materiali rispetto all’apprendimento di nozioni, quali umanità e fratellanza. Non penso sia parte dell’umano compiere certi gesti, come scherzare sulla morte di qualcuno. È chiaro che a 14 anni non si è ancora totalmente coscienti di quello che si fa e che non si ha una capacità di discernere in modo netto cosa sia il bene e il male (specialmente se nessuno te l’ha insegnato). Mi sarebbe piaciuto molto avere un confronto con i miei bulli dopo quello che mi è successo. Mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di perdonarli, guardandoli negli occhi.
Ritieni parimenti pericoloso il ruolo del “complice dei bulli”, colui che, per esempio, ride alle loro battute?
Io penso che sia proprio questo ciò che serve ai bulli, la loro condizione di esistenza. I bulli senza complice non esistono perché fanno parte di un sistema più complesso, composto da persone con ruoli precisi. In mancanza di uno di questi ruoli, i bulli non riescono ad esprimersi completamente. Secondo me per bullismo non si intende la singola persona che terrorizza un’altra. Ci deve essere la complicità di qualcun altro, per esempio del sistema scolastico (come nel mio caso).
Secondo te come si potrebbe risolvere il problema del bullismo in Italia?
Da principio deve essere un lavoro che parta dalla famiglia. Poi la scuola dovrebbe anche insegnare anche dei valori; non solo concetti. Ciò che, secondo me, è mancato nella mia prima scuola superiore era il fatto che le insegnanti avevano l’unico obiettivo di riempire le nostre menti di nozioni; indifferenti a quello che accadeva intorno a loro e ai problemi dei ragazzi.
Ti va di mandare un messaggio ad un’altra vittima di bullismo? Cosa le diresti?
Prima di tutto le direi che non è colpa sua. Tutti abbiamo delle qualità e dei difetti e siamo meravigliosi nella nostra unicità. Nessuno può permettersi di andare a ledere ciò che una persona può rappresentare per questo mondo. Se la persona in questione è triste perche non sa ancora quale sarà il suo cammino, cosa farà in futuro, non sono certo i bulli coloro che possono giudicarla e screditarla, dicendole che non vale nulla. Perché questa non è la verità.
Ringraziamenti:
Ringrazio con tutto il cuore A. per la fiducia che ha riposto nella mia persona e perché non si è tirato fuori dal raccontare un capitolo così amaro della propria vita, che probabilmente avrebbe solo voluto dimenticare.
Grazie.
Sara Albertini