Baudelaire nasce a Parigi nel 1821, contemporaneamente a Flaubert. I due, condannati nel 1857 per I Fiori del Male e Madame Bovary, raffigurano l’uno la rottura in poesia e l’altro in prosa. Baudelaire, definito da Alberto Savinio il Copernico della poesia, ride del disprezzo dei contemporanei. Consapevole della sua diversità, erge sé stesso oltre la denigrazione.
Lo scrittore, sotto regime napoleonico, ha innescato e fatto scoppiare figure pericolose, con cui avrebbe potuto svegliare i dormienti. Nel suo poetare si muove per immagini: dipinge con le parole e la lingua stessa è il contenuto che la veste. Le blasfemie politiche rischiano di dare una pubblicità indesiderata ed è allora che il Baudelaire trentaseienne diventa il ragazzino “inconscio”: è un’umiliazione atta a nascondere il vaso scoperto di Pandora.
Incompreso dai critici e ridicolizzato astutamente dai giudici, si considera Baudelaire dandy, pazzo e adolescente.
I Fiori del Male
Ma in cosa consiste I Fiori del Male? La raccolta, divisa in sei parti, evoca un profondo dramma interiore. Il poeta tenta, progressivamente, di fuggire all’orrore della vita: combatte contro di sé e cerca “mezzi di evasione” per liberare l’anima dalla noia. Ma rimane rinchiuso nella sua prigione e l’esasperazione della delusione culmina nella ribellione contro Dio. La morte è ciò che chiede come estrema ricerca di pace, in un’apocalisse dentro e fuori dal mondo. In un’opera ove i capitalisti sono vampiri, il principe un tiranno, i figli di Caino i proletari oppressi e quelli di Abele avari borghesi, Dio è il sadico e Satana il rivoluzionario. Si alternano e mescolano sensualità, sfruttamento, ordine, sangue: nella contraddizione (sua idea di bellezza), si cela il capolavoro.
Baudelaire non è più un romantico?
Baudelaire in Les Fleurs du Mal, secondo Hugo Friedrich, non è romantico. Non vi è causalità d’ispirazione: l’opera ha un percorso predefinito in una struttura metrica rigida. Lo scrittore spersonalizzato dalla poesia, la uccide e la rende mortale. L’autore tratta sì di sé stesso, ma nel parlare di sé racconta l’uomo: si usa in funzione universale. E dialoga con il lettore, ipocrita come lui, schiudendo immagini in una lingua doppia. Tramite le medesime immagini, Baudelaire, che è per Walter Benjamin l’allegoria della modernità, rompe la realtà e sfida il sistema tolemaico.
Le Cygne, passato e presente
La lirica appartiene alla seconda sezione dell’opera e si apre con il nome di Andromaca, schiudendo una relazione virgiliana. L’antichità è, però, decontestualizzata:
Come denota Giuseppe Montesano, l’alessandrino classico viene sabotato da cesure non-classiche, fintantoché, nella seconda strofa, non si torna dal passato al presente. Si delineano i fatti del 1848: il petit flueve che nell’Illiade è il Simoenta colmo del sangue dei nemici non è altro che il rigagnolo d’acqua sporca che passa per la nuova piazza di Carrousel. Il Simoenta rimanda al “massacro di Carrousel”: quando sono stati uccisi i rivoltosi delle fortificazioni di giugno.
Baudelaire trasforma la contestazione in poesia, l’allegoria in denuncia e il cigno evaso della gabbia è lui che si trascina su una terra non sua. E mentre l’immagine si materializza e si trascende il tempo, Parigi è una città che cambia, mentre il cigno, ridicolo e sublime, è perso e uguale a sé stesso.
Alienazione moderna e Spleen
“Il Cigno” è un tentativo vano di resistenza alla natura spleenetica mediante la città, l’emblema dell’artificio. Già Rousseau, nella Nuova Eloisa, esterna nel suo protagonista il senso d’alienazione e di solitudine derivante dalla nuova Parigi, un vasto deserto del mondo. Per Erich Fromm la malattia dell’uomo moderno consiste nell’alienazione, nell’estraniarsi dal proprio vero sé e nel rifugiarsi in un falso. E Baudelaire, il cigno evaso, è anch’esso vittima di un subdolo squilibrio. Ma l’Io del poeta non cede, la rabbia è rinchiusa e la lotta continua, anche se il cigno è senz’acqua e col becco aperto.
Baudelaire, immortale e mortale
Baudelaire è il diverso, lo scrittore che dichiara l’ascesa del dominio della prosa in una società capitalistica. Già giovane, si chiede se definirsi Poeta sia un elogio o un insulto:
In Perdita d’aureola l’uomo smarrisce l’aureola della Poesia nel fango. Come il cigno la Poesia è in una terra non sua, in una città che è il vasto deserto del mondo di Rousseau. Così la Poesia diviene di chi la estorce, in una contemporaneità di massa e d’imitazione. Baudelaire è il pazzo, ma è anche il dandy e il ragazzino inconscio, il poeta e l’emarginato. Nella conflittualità intrinseca dei Fiori del Male arriva alla morte e insieme si rende immortale, quando nelle lettere alla madre si domanda la vita stessa.