Parlando di Land Art, l’associazione con la battaglia ecologista condotta negli ultimi anni è un rischio calcolato, un assunto a tratti ingenuo che ci porta a collegare i due argomenti; eppure dei punti di contatto ci sono e non sono sempre così intuitivi. Essendo strettamente legata al luogo di creazione che le garantisce l’esenzione dalle logiche di mercato. Fisicamente impossibile da racchiudere all’interno di una galleria d’arte, l’opera gode di un colloquio privilegiato con la natura. È possibile ricondurre l’associazione mentale tra arte ed ecologia alla nascita e affermazione della Land Art insieme all’avvento delle associazioni no profit per la tutela dell’ambiente come il WWF (Svizzera, 1961) e Greenpeace (Vancouver, 1971), in un periodo di forte sensibilizzazione nei confronti del cambiamento climatico e le sue conseguenze sul pianeta.
Arte ambientale ma non ecologica
Nonostante la diffusione di una coscienza ambientalista in opposizione al consumismo sfrenato del decennio ‘60-‘70, l’utilizzo di spazi aperti non è sempre sinonimo di ecologia. Alcuni interventi elaborati dai maggiori esponenti dell’arte ambientale hanno effetti collaterali e a volte irreversibili sull’ambiente, altri invece, se inizialmente venivano presentati come le ennesime operazioni di sfruttamento della terra, si dimostrano molto più ecologici del previsto. Si tratta a prescindere di attività antropiche che vanno a modificare l’ambiente, alcune con maggiore incisività e altre con soluzioni ponderate. La produzione e i consumi legati ai materiali utilizzati nella realizzazione di opere di Land Art, come i teloni plastificati commissionati da Christo e Jeanne-Claude per l’impacchettamento dei monumenti, costituiscono in termini ecologisti un danno ambientale rilevante.
È possibile notare come il termine Land Art non si riferisca strettamente a opere d’arte basate sull’ecologia e sull’utilizzo dell’ambiente naturale (caratteristica invece fondamentale delle opere di Smithson e Long che infatti prendono il nome di Earthworks, ovvero opere della terra) ma che includa ogni intervento sul paesaggio, anche urbano. Analizzando le trasformazioni paesaggistiche più incisive non possiamo trascurare gli interventisti di Robert Smithson, padre fondatore della Land Art e amante della natura selvaggia americana.
Ambiente, arte ed ecologia secondo Smithson
Con Asphalt Rundown (1969) l’artista distribuisce una generosa colata di asfalto in una porzione di una cava di selce nei sobborghi di Roma. Sebbene possa sembrare uno spregio, si tratta di un processo di rinascita a lenta fruizione con una profonda indole ecologista.
Come segnala il titolo dell’opera viene utilizzato l’asfalto, elemento naturale presente in grande quantità nel sottosuolo, materiale che in epoca post industriale acquisisce connotazioni negative. Di questa sostanza l’artista valorizza le proprietà fertilizzanti, conosciute fin dai tempi antichi e impiegate dagli assiro-babilonesi nei celebri giardini pensili. In assenza di operazioni di tutela, l’asfalto si disintegra ma assolve la sua funzione di fertilizzazione del suolo sopra il quale è stato distribuito.
Proseguendo con Smithson, una delle sue opere più celebri è senza dubbio Spiral Jetty (1970), realizzata sulle sponde del Great Salt Lake. Si tratta di una spirale creata attraverso la manipolazione degli elementi del lago (alghe, detriti, scogli) oggetto di tante lodi quante polemiche, oltre le quali può esserle attribuita una valenza ecologista.
Il paesaggio è dunque già influenzato dall’azione antropica e l’intervento riordinatore di Smithson è portavoce di un messaggio ecologista. La forma a spirale si ispira alla geometria aurea, la sua composizione invece vede impiegati solo gli elementi naturali, sebbene manovrati con pesanti macchinari. La sua conformazione permette all’opera di mutare insieme al paesaggio: con l’innalzamento o l’abbassamento del livello del lago la spirale diventa più o meno visibile. Grazie alla presenza di particolari microrganismi che influenzano la colorazione dell’acqua e degli scogli, l’opera cambia colore.
Ecologia negli interventi di Long
Parlando di arte, ecologia e paesaggio è possibile attribuirere gli interventi più ”pacati” a Richard Long. L’artista originario di Bristol unisce la passione per le escursioni all’ecologia realizzando opere d’arte nel pieno rispetto dell’ambiente. L’azione antropica produce un impatto minimo sulla natura in quanto non vengono impiegati strumenti industriali. Long si confronta con una natura molto diversa da quella statunitense adattando il suo intervento al paesaggio fortemente schematizzato delle campagne inglesi.
Camminando avanti e indietro l’erba si dirada, l’artista traccia un percorso, una linea sempre più nitida a ogni passaggio. A Line Made by Walking (1967) nasce da una passeggiata in campagna, è uno spazio perlustrato in lungo e in largo, un tempo trascorso senza fretta e una distanza percepita con tutti i sensi. Un viaggio documentato attraverso la fotografia, l’unico medium in grado di riportare all’interno di una galleria parte del processo creativo. La particolarità di queste opere è la ricerca della precarietà, progettata per un luogo che non può diventare monumento, nel quale l’intervento umano è destinato a disperdersi.
Mi piace l’idea di fare cose molto semplici ma che allo stesso tempo posseggono quella particolare forza cosmica, una sorta di linea tesa tra il far qualcosa che sembri pressoché nulla e che, invece, sia tutto (…)
Richard Long
La Street Art ecologica che combatte l’inquinamento
Prima di Federico Massa, in arte Iena Cruz, l’unico collegamento logico tra bombolette spray e ambiente era inquinamento, incremento dei gas serra, danno ambientale e via dicendo. Non possiamo negare che Street Art e graffitismo danneggino l’ambiente e la qualità dell’aria che respiriamo. Sembra non esserci altra soluzione alla problematica murales-inquinamento e invece con Hunting Pollution (Roma, 2018), lo street artist Iena Cruz e il fondatore di Airlite, Massimo Bernardoni, ci dimostrano il contrario. L’arte urbana può diventare non solo un’attività a impatto zero ma addirittura uno strumento per combattere l’inquinamento stesso che affligge le metropoli italiane.
Airlite è una vernice ecologica completamente naturale che purifica l’aria utilizzando la luce solare, adoperata da Iena Cruz nella realizzazione del suo murales. Distribuito su due facciate per una copertura di mille metri quadri, si aggiudica il titolo di opera di street art ecologica più grande d’Europa. Lo street-artist raffigura un barile dal quale si diramano dei tentacoli neri intrisi di petrolio e un airone tricolore che ha appena catturato una preda.
L’arte (non solo quella ambientale) in alcuni casi può favorire l’ecologismo, non sempre ne è consapevole ma alcune delle tecniche adoperate incontrano esigenze di tutela dell’ambiente.