Negli ultimi tempi, l’avvento della tecnologia, la diffusione ramificata dei social e l’intrusione capillare nella vita privata hanno autorizzato la possibilità a chiunque di esprimere giudizi. Sentenze spesso offensive e ostili, nei confronti di persone non allineate ai canoni classici imposti dai media e dal mondo dello show business. Una vera forma di bullismo digitale definita “body shaming” che genera in chi lo subisce vergogna verso presunti difetti e imperfezioni. Causando, conseguentemente, sentimenti di rifiuto del proprio corpo, mancanza di fiducia, abbassamento considerevole di autostima e allontanamento dai gruppi affettivi e sociali di appartenenza.
Le donne sono le più colpite
In un’indagine svolta su 2,6 milioni di tweet dall’osservatorio Vox e dalle università di Milano, Bari e Roma La Sapienza, le categorie più colpite sono proprio le donne, con il 63%, seguono gli omosessuali, i migranti, i diversamente abili e gli ebrei.
Un’altra inchiesta, realizzata dalla Nutrimente Onlus, ha rilevato che ben il 94% degli adolescenti è stato vittima di body shaming. Circa il 65% ha dichiarato di essere stato oggetto di critiche e osservazioni umilianti sul proprio corpo.
Corpo e perfezione estetica
Numerosi studi affermano che sono soprattutto le donne ad essere insoddisfatte della loro immagine.
Apparentemente, la ricerca della perfezione estetica risale agli anni ’70 con l’avvento di modelle, indossatrici, attrici dal fisico statuario e dal volto impeccabile.
In realtà, il corpo femminile è storicamente imprigionato nel conformismo patriarcale e assoggettato ai “bisogni” sociali e familiari.
L’ineluttabile denominatore comune, nel corso degli anni, è il giudizio a cui viene sottoposto.
La strumentalizzazione del corpo femminile
La donna è costretta da sempre a considerarsi “terreno” pubblico. Tant’è che non è libera di scegliere di essere semplicemente sé stessa, se portare avanti una gravidanza, se vivere la propria sessualità apertamente, senza subire pesanti riprovazioni dalla collettività. Gli stessi abiti sembrano costruiti per limitarne i movimenti: le calze sottili, i tacchi, i tessuti. E le donne sanno da sempre che saranno guardate, osservate, giudicate: lo sguardo altrui non prescinderà dall’immagine.
Tuttora, nei casi di stupro, in tribunale si esamina l’abbigliamento della vittima e il suo modo di porre la sua fisicità nel contesto della violenza. Nella sentenza di Ancona, del 9 aprile 2019, tre giudici hanno proceduto all’assoluzione con la motivazione che lei fosse troppo “mascolina”.
Conseguenze del body shaming
La ricerca ossessiva della perfezione è la risposta alla necessità dell’accettazione e dell’inclusione sociale. Un meccanismo perverso e negativo che procura senso d’inadeguatezza perché affonda le sue radici nell’insicurezza profonda, instillata dall’educazione reprimente ricevuta.
Ciò preclude occasioni di socialità, spensieratezza e innesca problematiche molto serie: dalla depressione alla dismorfofobia, un disturbo psichico ossessivo-compulsivo che punta l’attenzione su particolari difetti fisici e mette in atto dinamiche di correzione, estetica o chirurgica, che non conducono mai alla soddisfazione e suscitano perenne sofferenza.
Chi c’è dietro?
Le persone che si alimentano producendo odio, i cosiddetti “haters”, sono ovunque. Usano parole violente, riversano astio, disprezzo, intolleranza sul web, pubblicano immagini intime e spesso alterate, si nascondono con l’anonimato o dietro falsi profili. In verità, il profilo psicologico della maggior parte degli odiatori digitali li definisce fragili, estremamente insicuri, di scarsa cultura e mancanti di empatia.
Armine Harutyunayan
Un caso molto noto in questi giorni riguarda una ragazza armena di 23 anni, Armine Harutyunyan, modella scelta da Gucci per le sue sfilate alla New York Fashion Week e inserita tra le 100 donne più belle del mondo. L’immagine di Armine, divergente dai canoni di perfezione patinata dell’ opinione pubblica e dello show business della moda, ha provocato uno stuolo di haters che l’ha attaccata furiosamente sul web. L’hanno definita “brutta”, “inadatta al mondo della moda” e hanno creato con le sue foto persino un meme, con la dicitura “voi ci uscireste a cena?” Armine e Gucci non hanno mai risposto e sono protagonisti da giorni nei maggiori siti di informazione. Se la posizione della grande casa di moda, seppur operazione di marketing, contribuisce all’avanzamento di una battaglia di civiltà contro tutte le discriminazioni e alla normalizzazione di ogni corpo, è comunque importante. È infatti fondamentale fare squadra affermando la dignità del proprio corpo. E proporre un nuovo concetto di normalità, lanciando il messaggio che “io esisto così come sono”, fare in modo che esso venga interiorizzato e insegni alle persone ad accettarsi e amarsi, rivendicando il diritto a sentirsi felici dentro e fuori sé stessi.