venerdì, 20 Dicembre 2024

Ahi, serva Italia. Verso l’Inferno di “Dante 2021”

Un paragone utopico tra l’Italia di Dante del 1300 ed il nostro paese nel XXI secolo. Un’analisi della nostra situazione economica, sociale e culturale impietosa: non abbiamo imparato quasi niente.

Aspettative? No grazie

Ammettiamolo e diciamolo forte e chiaro. Le aspettative (già basse) a cui abbiamo timidamente affidato noi stessi per questo 2021, fortemente gettonato come “anno della rinascita”, alla prova dei fatti ci stanno già facendo rimpiangere l’appena conclusosi 2020. Un anno di pandemia, un anno di sacrifici. Ma, purtroppo e per fortuna, un anno non ancora di grandi conseguenze, o almeno di non consapevolezza di queste. Il metaforico passaggio del Rubicone verso la terra promessa dell’anno nuovo, invece, ha delineato quali sono le prospettive a cui va incontro il nostro paese. Ed il quadro che si delinea non è tra i più idillici.

Crisi economica dilaniante per buona parte del tessuto produttivo medio-basso. Disagio sociale radicato in tutte le generazioni (perchè si, anche i più giovani e non lavoratori stanno soffrendo da matti, vuoi per il digital divide, vuoi per gli aspetti psicologici della mancata socialità). Catastrofe sanitaria che per alcuni è ben lungi dall’essere sul viale del tramonto (a meno che la luce in fondo al tunnel dei vaccini non si trasformi in una corsa senza molti degli attuali ostacoli).

Oltre a tutti questi aspetti negli ultimi giorni si è delineata poi anche una svolta a livello politico. E se da una parte sentivamo la necessità di un cambiamento nei modi e nei tempi proposti dalla politica, dall’altra ne avremmo sinceramente fatto volentieri a meno. La crisi innescata da Matteo Renzi, infatti, comunque vada a finire è la ciliegina sulla torta della confusione assoluta che imperversa nel nostro paese. Una spia luminosa che sembra il semaforo verde verso un vero e proprio inferno. E per delineare questo complesso quadro perchè non scomodare una persona che delle tristi sorti italiche, e soprattutto dell’inferno, ha avuto qualche assaggio?

Dante Alighieri, poeta o profeta?

Sembra quasi ironico che in questi mesi ricorra il settecentesimo anniversario dalla morte del sommo poeta. L’Alighieri infatti si congedò da questo mondo nella città di Ravenna nel 1321, dopo un ventennio passato a girovagare per le varie corti italiane. Ma l’ironia, si sa, non è figlia del caso e affonda le sue radici in situazioni ben definite e riconoscibili. Sembra quasi incredibile, dunque, constatare come nel corso dei secoli certe immagini si continuino a configurare come ricorrenti. Si arriva così ai giorni nostri, in una prospettiva generale che ricorda fortemente quella della prima metà del 1300.

Dante Alighieri e i tre regni dell’oltretomba

In questo modo Dante, da poeta amatissimo e ideatore di una delle storie più avventurose, più intellettuali e più affascinanti della storia della letteratura, diviene quasi un profeta di sventura per la sua Italia, ieri come oggi. Lo diviene certamente per la sua concezione politica, inizialmente piena di speranze ma successivamente disillusa dalla realtà dei fatti, ma anche per tutta una serie di aspetti da questa derivabili. Lo diviene, soprattutto, per le sue opere letterarie, che presentano alcuni passi di una realtà spaventosamente attuale che appare quasi inquietante agli occhi del lettore. Questo accade nelle opere più intellettuali di questo grandissimo poeta (ad esempio il De Monarchia, con la sua speranza di un’unità politica italiana, oppure il De Vulgari Eloquentia, con la proclamazione di un’ideale linguistico e letterario per il nostro paese), ma soprattutto nel suo grande capolavoro, la Divina Commedia.

Una terzina storica

Purgatorio, canto VI. Il sei in tutte le tre cantiche dantesche è il numero che introduce il discorso politico, spaziando dalla ristretta situazione fiorentina nell’Inferno alla universale visione dell’impero nel Paradiso. Nella cantica qui analizzata il focus è invece concentrato sul nostro Belpaese: Dante si trova nell’antipurgatorio, luogo degli spiriti uccisi per morte violente, e conversa con Sordello, poeta e trovatore un tempo celebrato in tutta Italia. Il discorso non è tra i più famosi e indicativi all’interno dei 100 canti complessivi dell’opera, ma contiene tre versi tuttora indimenticati e indimenticabili, molto spesso abusati nelle metafore politiche dei giorni nostri:

“Ahi serva Italia, di dolore ostello,

nave senza nocchiere in gran tempesta

non donna di provincie, ma bordello.”

Dante Alighieri, Purgatorio VI

Con queste parole lapidarie Dante esprime la sua profonda delusione per un’Italia allo sbando, dilaniata dai conflitti interni tra i gruppi filopapali (i Guelfi) e quelli filoimperiali (i Ghibellini) e dalle lotte di potere. Un paese che si lascia andare alle correnti marine avverse senza poter contare su una guida salda che lo conduca ad acque tranquille. In questa suggestiva visione dantesca la “donna” italica viene addirittura paragonata ad una prostituta di peggior borgo. Una figura che racchiude la corruzione, la turpitudine e la poca rispettabilità di un paese. Un messaggio che già nel 1300 non ci qualifica propriamente come un esempio di virtù.

Dante incontra Sordello

Da Dante a Leopardi

Altri tempi quelli del 1300, verrebbe da dire. In realtà i versi di questa terzina sono stati a più riprese, a partire da Dante e nel corso dei secoli, uno spunto di riflessione sulle sorti dell’Italia. Ancora nel 1800, ad esempio, un altro grande poeta come Giacomo Leopardi scriveva un componimento dal sapore e dalle tematiche fortemente dantesche:

Piangi, che hai ben donde, Italia mia,

le genti a vincer nata

E nella fausta sorte, e nella ria

Giacomo Leopardi, All’Italia

Gli spunti per riflettere sul nostro presente sembrano essere molto numerosi. Essi necessitano dunque di un’analisi più ampia delle parole pronunciate dal sommo poeta quasi sette secoli fa.

Di dolore ostello

Il paragone in questo caso non ha bisogno di particolari spiegazioni. A quasi un anno dall’inizio di questa improvvisa pandemia nessuno, in qualunque modo la si pensi, può negare il fatto che questo paese sia tenuto sotto scacco dal dolore e dalla paura. La sofferenza derivante da queste perdite, dallo spettro della povertà e dall’incertezza sui tempi futuri ha indubbiamente reso il popolo italiano molto più insicuro. Paura e dolore tuttavia sono concetti astorici, che da sempre creano la base per una crisi a 360 gradi molto più concreta. Ne è consapevole, ad esempio, il prof. Alessandro Barbero, che presenta un interessante confronto tra l’epidemia Covid e la crisi del 1300. Lo studioso invita a riflettere in senso più ampio sul fatto che dai tempi di Dante l’Europa, e in particolar modo l’Italia, è sempre riuscita ad uscire positivamente da sconvolgimenti di questo tipo.

Sul dolore e sulla paura lavora anche Dante, che presenta nella sua prima cantica, nel suo inferno, i personaggi di un’Italia immersa nel peccato, analizzandoli in maniera audace e ragionata. A voler essere maliziosi si potrebbe quasi pensare che se il sommo poeta tornasse in vita ai giorni nostri avrebbe dell’ottimo materiale per riempire buona parte dei suoi gironi infernali. Tuttavia Dante è anche il poeta della redenzione e della speranza di un’Italia non più ostello del dolore. Alla crisi segue una rinascita, è sempre accaduto nel corso della storia, un concetto sul quale anche il prof. Barbero ragiona parlando di Rinascimento.

Alla ricerca del nocchiere perduto

Parrebbe vero, oggi siamo ben lontani dalla lotta guelfa e ghibellina del 1300. Di imperatori se ne vedono per fortuna ben pochi, e il papato ha da tempo abbandonato qualsiasi velleità temporale. Tuttavia è altrettanto innegabile che i conflitti di fazione siano quasi all’ordine del giorno. Ultima in ordine di tempo la già citata crisi Renzi: qualunque sia l’opinione della pletora degli osservatori esterni a questo proposito, la certezza è che instabilità e dubbio la fanno ancora oggi da padrone in questo paese. Non si vede una prospettiva, un progetto unitario, e cresce la sensazione che gli italiani ricadano sempre negli stessi errori.

Un quesito fondamentale si pone tra i politici e la gente comune. Giuseppe Conte è il nocchiere cantato da Dante per questo 2021 oppure questo ruolo è tuttora vacante, nell’attesa che si faccia avanti un nuovo protagonista (Draghi?) della cosa pubblica dopo due anni e mezzo? L’immagine di Matteo Renzi come diavoletto infernale che impedisce all’eroe positivo di varcare le porte della città di Dite non può bastare a delineare un quadro politico-istituzionale che ha radici ben più profonde. Sono infatti molti anni che il quadro istituzionale della repubblica italiana continua a perdere credibilità un premier dopo l’altro. Il timore è che, nel momento in cui dovesse davvero arrivare l’uomo giusto al momento giusto, non saremo capaci di riconoscerlo abituati come siamo ad una politica che non sa più fare il suo mestiere. La fine della gran tempesta sembra assai lontana.

Matteo Renzi apre la crisi istituzionale (Il Post)

Prospettive per un idillico futuro

L’Italia del presente, insomma, sembra scivolare sempre più velocemente verso quella deriva che si è deciso di ridenominare, in modo assai appropriato, “Inferno 2021”. La grande speranza che rimane in coloro i quali sanno leggere i segni e i disegni della storia è che il senso di discesa che si avverte in questo momento possa trasformarsi presto in un movimento ascensionale, così da arrivare il più presto possibile (volendo utilizzare ancora una volta una citazione di Dante ripresa molto di recente e in modo magistrale da Aldo Cazzullo) “a riveder le stelle”

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Matteo Moglia
Matteo Moglia
Di marca bellunese dal 1994, laureato in Lettere Classiche e Storia Antica all'Università degli studi di Padova. Professore di greco e latino, giornalista e speaker radiofonico, lavoro tra Belluno e Padova. Plasmato della storia e della scrittura, oscillo tra il mio carattere perfezionista ed il mio pensiero relativista (non a caso sono un grande fan del maestro Battiato). Appassionato di politica, liberale convinto.

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