So when you were eleven, what did you think you would be doing now?
Sophie
Il racconto – ma soprattutto il ricordo – di una vacanza, forse l’ultima, vissuta da Sophie (interpretata da Frankie Corio, qui al suo esordio) con suo padre Calum (Paul Mescal, candidato all’Oscar per questo ruolo). Questo è Aftersun, primo lungometraggio scritto e diretto da Charlotte Wells.
Well, like, sometimes at playtime, I look up at the sky, and if I can see the sun, I think about the fact that we can both see the sun. So, even though we’re not actually in the same place and we’re not actually together, we kind of are in a way, you know? Like, we’re both underneath the same sky, so we’re kind of together.
Sophie
Aftersun è un film fatto di piccole e poche e semplici cose: di gesti di cura (l’applicarsi a vicenda il doposole) e di scherzi, di curiosità (Sophie si ritrova a guardare il mondo, ma soprattutto le persone e i loro corpi e il loro incontrarsi, con gli occhi di una bambina che sta diventano adolescente), di disagio (Calum, che viene spesso scambiato per il fratello di Sophie, si vergogna ormai di cantare con lei al karaoke) e dolore, di segreti (cosa succede nella mente e nella vita di Calum?). Tutte queste piccole e poche e semplici cose ci raccontano, attraverso i dettagli, di vite di cui null’altro sappiamo o sapremo, ma finiscono per innestarsi su un tessuto di ricordi e sensazioni che sembrano universali.
Memory is a slippery thing; details are hazy, fickle. The more you strain, the less you see. A memory of a memory endlessly corrupting itself. I’ve caught myself recently claiming that feeling is more robust, but it’s tricky. Because in recalling a point in time and how that moment made you feel, it is framed by a new feeling – the feeling of what that moment means to you now. In Turkish, a language rich in vocabulary not easily rendered into English, hasret means some combination of longing, love, and loss. It seems particularly appropriate in this context and to this film.
Charlotte Wells
Una Sophie vive la vacanza mentre un’altra Sophie la rivive. La pellicola, riprendendo la tecnica del found footage (alcune scene sono composte di video girati in prima persona dai protagonisti con una videocamera), si costruisce sul filo della memoria. È in una delle sequenze più belle del film (e del cinema degli ultimi anni) che le dimensioni dell’accaduto e l’immaginato e il ricordato si incontrano e si – con – fondono.
Can’t we give ourselves one more chance? Why can’t we give love that one more chance? […] ‘Cause love’s such an old-fashioned word and love dares you to care for the people on the edge of the night and love dares you to change our way of caring about ourselves this is our last dance this is our last dance this is ourselves.
Under Pressure – Queen e David Bowie
Elaborare la mancanza e la perdita e accettare l’impossibilità di capire e di conoscere: questo è Aftersun. Un bacio in fronte, una carezza, nostalgia.