Il 28 giugno del 2019 le negoziazioni dell’accordo di libero scambio tra l’Unione Europea e il Mercosur si sono concluse. Il Mercosur (Mercato Comune del Sud) è un processo d’integrazione economica regionale tra il Brasile, l’Argentina, Paraguay e Uruguay (con il Venezuela e la Bolivia ancora alle prese con le procedure d’ingresso).
L’intesa prevede l’eliminazione, o la riduzione, delle barriere tariffarie tra i due blocchi e permetterebbe all’Unione Europea la possibilità di accedere ad un mercato di 260 milioni di persone. Ma l’obbiettivo di questo articolo non è quello di entrare nel merito dei contenuti dell’accordo. Ciò di cui invece si parlerà è la disparità nelle modalità della rappresentazione degli interessi nel processo di negoziazione. Un problema non relativo al solo accordo UE-Mercosur, ma presente in buona parte degli accordi commerciali tra Stati/Blocchi.
Lettere d’odio
L’11 settembre del 2017 la Confederazione Europea dei Sindacati (ETUC), e il suo omologo sud americano, il Coordinator of the Southern Cone Trade Union Coordinating Body (CCSCS), hanno inviato una lettera congiunta in occasione dell’incontro a Bruxelles tra i rappresentanti dei due blocchi. In questa lettera le due confederazioni denunciano “la mancanza di trasparenza e l’opacità con cui le negoziazioni sono state condotte” (pagina 2, trad. dell’autore). Nella lettera l’ETUC e il CCSCS richiedono quindi che le informazioni sui punti negoziati vengano comunicati, in modo da poterle analizzare e poter dare un’opinione sui contenuti. La loro richiesta è sostanzialmente quella di essere considerati parti interessate nell’accordo, dal momento che “il settore imprenditoriale è stato consultato e ha ricevuto informazioni riguardanti le offerte e i punti negoziati, mentre questo non è stato il caso per i lavoratori”(pag 2, trad. dell’autore). Una richiesta legittima da parte dei due gruppi di sindacati, espressa precedentemente anche in una lettera del 3 giugno del 2016.
Il 15 giugno del 2020, a negoziazioni concluse, le organizzazioni ClientEarth, Fern, Veblen Institute, La Fondation Nicolas Hulot pour la Nature et l’Homme e l’International Federation for Human Rights hanno inviato una lettera con la quale, sulla scia di quelle qui sopra descritte, denunciano una scorretta amministrazione sul negoziato da parte dell’Unione Europea. La lettera, oltre a comunicare la mancata partecipazione di tutte le parti interessate nel processo di negoziazione e la mancanza di trasparenza della stessa, si sofferma nello specifico su come la negoziazione tra i due blocchi sia stata effettuata senza uno studio sugli impatti sociali, ambientali ed economici dell’accordo. Il SIA (Sustainability impact assessment), che viene condotto da un think tank di esperti esterni che la Commissione Europea incarica per effettuare studi su eventuali accordi commerciali, è stata pubblicata solamente a febbraio 2020. Su quali basi la Commissione Europea ha portato avanti e concluso i negoziati se non aveva lo studio sugli impatti sociali, ambientali ed economici basati sugli ultimi dati disponibili?
Lettere d’amore
Nonostante il mancato SIA, gli impatti economici sono sempre stati monitorati, ma da un’altra specie di think tank: il MEBF. Il Mercosur-EU business forum, creato nella fase embrionale dell’accordo, fu un modo per riunire le voci delle grandi imprese dei due blocchi. Il MEBF non aveva solo una funzione passiva (il calcolo degli impatti economici), ma anche attiva nel proporre i punti da inserire nell’accordo. Il più grande merito riconosciuto al MEBF, però, è quello di essere il fautore dell’avvio delle negoziazioni, grazie alla sua vicinanza con rilevanti cariche politiche tedesche (Torrelli, pag 6). Infatti, la Germania deteneva la presidenza del Consiglio Europeo nel 1999, l’organo che deve autorizzare la Commissione Europea per l’avvio di eventuali negoziazioni. Le negoziazioni iniziarono ufficialmente il 28 giugno del 1999. “Finalmente, le attività di lobbying del MEBF hanno avuto successo e l’UE ha soddisfatto una delle nostre richieste più urgenti” il MEBF si è complimentato nel 1999 (Torrelli, pag 8).
Il ruolo del MEBF
Il successo dell’avvio delle negoziazioni viene ricondotto ad un lavoro di pressioni da parte della lobby verso alte cariche tedesche ed europee. Jurgen F. Strube è uno dei protagonisti di questa prima fase. Strube viene incaricato Presidente del MEBF del blocco europeo (l’organizzazione prevede un presidente per blocco) nel 1998, anno della creazione del forum stesso (Torrelli, pag.8). Oltre alla carica di presidente del MEBF Strube ricopriva anche il ruolo di membro del comitato direttivo del BDI (il corrispondente tedesco della nostra Confindustria) e, tra il 1990 e il 2003, il ruolo di presidente del consiglio di amministrazione della multinazionale BASF, un’autorità nel campo dei fertilizzanti e pesticidi (curriculum reperibile via web). Insomma, gli interessi che Strube portava avanti erano chiari: quelli delle industrie automobilistiche e chimiche tedesche, tra quelle più avvantaggiate dall’accordo così come alla fine sottoscritto.
Come detto, il ruolo del MEBF durante le negoziazioni, in particolare nella loro fase iniziale, fu un ruolo attivo. Nelle annuali conferenze plenarie del forum partecipavano, oltre alle imprese, anche altri esponenti governativi, tra cui figure importanti della Commissione Europea, come l’allora Pascal Lamy e Erkki Liikanen, rispettivamente commissario del commercio e commissario per l’industria (Torrelli, pag 11). L’influenza del MEBF arrivava molto in alto, e i report pubblicati dal Forum dopo le conferenze erano tenuti in grande considerazione da entrambe le parti, tanto che ci si può chiedere chi è il vero scrittore dell’accordo. Lo stesso MEBF ha dichiarato che “Molte delle nostre raccomandazioni […] sono state adottate dagli officiali della Commissione Europea e dei governi Mercosur, e sono ora al centro dell’attuale agenda della negoziazione, mentre altre [raccomandazioni] sono soggette a profonde discussioni” (Arana, pag 169, trad dell’autore).
Le negoziazioni si congelano
Nel 2004 il Doha Round dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) prende la scena internazionale. La conferenza multilaterale a Ginevra doveva discutere di questioni commerciali d’interesse dell’UE e del Mercosur per il proseguimento dei negoziati. Ma al Doha Round del 2004 i paesi partecipanti rimasero fermi nelle loro posizioni contrastanti, e le negoziazioni si protrassero. Questo fallimento nel WTO e le distanze tra i due blocchi nell’accordo bilaterale causarono un freno delle negoziazioni, che ripresero solo 6 anni dopo( Arana, pag 181). Il MEBF, nel frattempo, continuò i suoi incontri annuali, fino al 2007, anno dell’ultimo report pubblicato, quando si perdono le tracce del Forum (il sito web è stato eliminato). Ciò, probabilmente, fu dovuto al fatto che il Forum sentiva ormai di aver già raggiunto il suo obiettivo (avviare e indirizzare le negoziazioni), e perché al suo interno i dissensi diventavano sempre più grandi tanto da spingere le grandi compagnie a cercare altre strade per canalizzare i loro interessi.
Il confronto
Se si confrontano i ruoli del MEBF e della società civile organizzata nelle negoziazioni tra i due blocchi, le differenze sono lampanti. Il forum ha effettuato sette conferenze plenarie con importanti presenze governative ed europee, oltre alle Business Facilitation Conferences. Ogni conferenza ha prodotto una dichiarazione (un report) in cui vengono suggeriti i punti da aggiustare, togliere e aggiungere alla negoziazione. Come detto precedentemente, questi suggerimenti sono stati presi in grande considerazione. Di contro, la società civile organizzata ha partecipato al Dialogo della Società Civile a Bruxelles nel 2017, ad un incontro online con la Commissione Europea, a quattro tavole rotonde sempre a Bruxelles e infine ad altri due workshop in Brasile e Argentina nel 2018. Tali incontri, però, erano limitati dal fatto che le diverse organizzazioni della società civile non possedevano i documenti e i punti negoziati, quindi non potevano effettivamente dare opinioni concrete e costruttive in merito al contenuto trattato.
Questo articolo non vuole urlare al complotto, in quanto non ce n’è alcuno. E non vuole processare il MEBF o il suo ruolo nelle negoziazioni. Insomma, in un accordo commerciale ci si aspetta che la voce del mondo del business sia ascoltata. Nemmeno si vuole denunciare il fatto che alcuni interessi vengano presi in considerazione più di altri. Per quel che se ne può dire, gli accordi commerciali sono un gioco a somma zero tra i diversi settori di uno stesso Stato/Blocco. Anche nello stesso mondo del business c’erano discrepanze e differenze. Basti pensare alle numerose lamentele della Copa-Cogeca, il più grande gruppo d’interesse per gli agricoltori europei.
Un’altra occasione mancata
Ciò che invece lascia più perplessi è il ruolo degli esponenti governativi, in particolare, guardando nel nostro orticello, della Commissione Europea. La differenza di mezzi tra il MEBF e il resto della società civile era considerevole, ciononostante la Commissione ha fatto ben poco per rimediare a tale iniquità, concedendo un accesso privilegiato alle informazioni ai primi. Questo solleva un problema di rappresentatività di interessi, che non è tanto relativo alla coda delle negoziazioni, ovvero quali interessi sono stati premiati di più nel corpo dell’accordo. È un problema a monte, ovvero concedere pari opportunità di essere ascoltati e intervenire durante le negoziazioni. Perché il mondo del business può effettuare conferenze a braccetto con le più alte cariche governative e complimentarsi della sua capacità di pressione nel decidere cosa negoziare, mentre la società civile si vede costretta ad inviare lettere di denuncia alla Commissione per la mancata trasparenza delle negoziazioni?
In tal modo si dà il via alla produzione di un accordo commerciale con grande valutazione degli impatti prettamente economici, senza un’altrettanta considerazione delle conseguenze sociali e ambientali. Ciò spinge le organizzazioni che rappresentano questi ultimi interessi a farsi sentire in diversi modi. Tramite le lettere, come abbiamo visto, o tramite pressioni politiche interne agli Stati, come è successo in Germania. In tal modo si crea un contesto non di dialogo, come sarebbe potuto accadere se le negoziazioni fossero state aperte a tutte le parti interessate, ma di contrasto. La parte meglio rappresentata si impegna a raggiungere l’accordo, mentre le voci inascoltate si barricano ed avviano azioni di ostruzionismo contro un’intesa che non li rappresenta. Il risultato è che si ‘casca dal pero’ troppo tardi, come dimostra la decisione del Presidente francese Macron di fermare l’accordo poco dopo la conclusione delle negoziazioni a causa delle posizioni sul clima del presidente brasiliano Bolsonaro.
Nonostante l’opposizione francese, a cui si è aggiunta anche quella austriaca, olandese e irlandese (con i rispettivi parlamenti che richiedono ai propri governi di porre il veto sulla conclusione dell’accordo) l’accordo è tutt’altro che fallito. Ciò che rimane sono perplessità invece sull’Unione Europea, e il suo ambizioso obiettivo di essere baluardo di inclusività, uguaglianza, protezione dei diritti umani e dell’ambiente, anche quando si confronta con altre potenze.
Bibliografia
Arana, A. G. (2017). The European Union’s policy towards Mercosur. European Policy Research Unit Series, Ed. Manchester 1824. https://www.manchesteropenhive.com/downloadpdf/9781526108401/9781526108401.pdf
Torrelli, C. (2003). Mercosur for sale?. Alternative Regionalisms Programme & REDUS https://www.tni.org/files/download/mercosurforsale.pdf