Qualche giorno fa, mentre i primi razzi turchi colpivano la Siria, in Svezia veniva assegnato il premio Nobel per la Pace.
In un solo giorno, due notizie così controtendenti. Lo si chiami pure ossimoro.
Eppure il riconoscimento, sottratto ad una Thunberg data per favorita, ha acceso una luce tra le tenebre di una cronaca tutta rivolta al conflitto sul confine turco-siriano. Quella luce è Abiy Ahmed, primo ministro etiope che fino a qualche tempo fa era, agli occhi dei più, un perfetto sconosciuto.
Oggi, senza paura di esagerare con le parole, sappiamo che questo sconosciuto sta rivoluzionando l’Etiopia.
Qualcuno a cui lasciare il compito di levare le castagne dal fuoco
Abiy Ahmed Ali nasce oromo, l’etnia numericamente dominante in Etiopia. Eppure, come spesso accade nei regimi africani del novecento, oppressa e mai rappresentata nei palazzi di potere.
Quella che si crea negli anni è quindi una grossa rottura di faglia sociale. Il governo non solo la ignora ma anzi pone ostacoli non permettendo di fatto libere elezioni democratiche e riducendo le votazioni a delle semplici formalità.
In tutto questo nasce e si forma Abiy Ahmed che a soli 15 anni si avvicina già alla politica e in particolare all’unica coalizione esistente: l’Eprdf (Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope), un’accozzaglia di 4 partiti che dominano l’intera scena politica e si alternano senza rivali alla guida del Paese.
Ecco quindi che quando la popolazione oromo scende in piazza per protestare contro il primo ministro tigrino (altra etnia) Hailé Mariàm Desalegn, Ahmed viene chiamato dal Eprdf ad Addis Adeba per formare un governo. Tre anni di proteste, 300 morti per mano delle forze dell’ordine ed una situazione sociale tutt’altro che diretta al rischiararsi convincono i partiti di governo a dare per la prima volta la possibilità ad un oromo di ricoprire la carica di Primo Ministro.
Il 2 Aprile 2018, Abiy Ahmed diventa presidente dell’Etiopia.
Dalla parità di genere all’importanza riconosciuta all’opposizione
Quello che accade dopo la sua nomina, ha lo stesso effetto di un tornado sopra una casa di paglia.
Appena entrato in carica, Abiy Ahmed mette innanzitutto fine al ventennale conflitto con l’Eritrea (tensioni nate in seguito all’invasione di quest’ultima nella regione etiope di Badme) riconoscendo e accettando la cessione dei suoi territori secondo quanto stabilito da una commissione internazionale nel 2002. Da qui, il premio Nobel.
Ma non è finita qui e quello che accade in seguito a livello politico-giuridico ha dell’incredibile: Ahmed comincia infatti tutta una serie di riforme strutturali volte a dare un senso alla democrazia in Etiopia. Tutto quello che fa lo fa bene e in fretta (forse troppa) ma smuove le fondamenta stesse dello Stato etiope.
Prima di tutto l’opposizione. In una serie di azioni forti e determinate, Abiy Ahmed libera i prigionieri politici ed i mezzi di informazione e di stampa, incontra la leader del partito di opposizione e la mette alla guida di una commissione incaricata di organizzare libere elezioni per il 2020. E ancora: riduce il numero di ministri di otto unità arrivando ad un totale di 20 di cui la metà sono donne. E donna è pure la Presidente della Repubblica, Sahle-Work Zewde, che Ahmed nomina già una settimana dopo l’insediamento. Seppur la costituzione etiope riconosca vastissimi poteri solo al primo ministro, quello di Presidente repubblicano rimane comunque un ruolo di grande importanza ed unità nazionale.
La Zewde è, ad oggi, l’unico Presidente della Repubblica donna in tutto il continente africano.
Quando il riformismo diventa un rischio
Due attentati ed un tentativo di colpo di Stato in neanche un anno e mezzo di governo sono il rovescio della medaglia amaro della rivoluzione democratica portata da Ahmed. Questi episodi hanno spaziato dalle granate lanciate durante una manifestazione, passando per il tentativo di golpe dallo stesso premier sventato ma iniziato con l’uccisione di due alti ufficiali dell’esercito da lui nominati e terminato con le stesse milizie pronte a rovesciare il governo sotto il palazzo presidenziale ad Addis Adeba.
Se ad oggi Abiy Ahmed Ali è ancora vivo, in parte lo dobbiamo anche alla fortuna.
Episodi come questi sono comunque il sintomo evidente di uno stravolgimento sociale che ha finito col pestare i piedi alla vecchia classe dirigente. Quel ceto che più poteva trarre beneficio dalla vecchia situazione politico-sociale e che oggi rivendica un ritorno al passato.
Gli stessi episodi di violenza nel Paese sono aumentati dall’insediamento del nuovo governo. C’è però un appunto da fare: mentre prima la violenza tendeva ad essere verticale – forze dell’ordine contro la popolazione – ora questa ha assunto una dimensione orizzontale e sembra più essersi spostata sul piano dello scontro di classe.
Seppur questi episodi non siano da sottovalutare, paiono comunque essere fisiologiche conseguenze del passaggio da un’era all’altra.
Abiy Ahmed non è solo il futuro dell’Etiopia
Quella messa in piedi da Abiy Ahmed è una rivoluzione democratica che potrebbe creare un precedente potente. Un esempio, quello etiope, che potrebbe dimostrare al mondo che è possibile la transizione da un modello totalitario (generalmente assunto e mantenuto come scusa per tenere il controllo di aree geografiche etnicamente disomogenee) ad uno plurale, democratico e partecipato.
L’esempio etiope potrebbe diventare non solo d’ispirazione per altri paesi africani – che ancora oggi sono alle prese con regimi militari e non, scorie di un secolo di brutale colonizzazione europea – ma anche miccia per realtà esterne: una su tutte la Cina di Xi-Jinping.
E’ ovviamente presto per trarre conclusioni su quella che sarà l’Etiopia del domani. Ancora di più è precoce stabilire ora se questa grande ondata riformista sarà rispettata negli anni a venire ed anzi incoraggiata ed accettata dalla popolazione.
Quello che rimane è per ora la consapevolezza e la presa di coscienza di un continente, l’Africa, che dopo l’AfCFTA (di cui si era parlato qui), comincia a infilare uno dietro l’altro tasselli importanti per quello che sarà il suo futuro.