L’Italia non cresce eppure il settore agroalimentare è, ancora oggi, uno dei compartimenti trainanti del nostro paese. Un articolo ANSA colloca l’agroalimentare italiano in una posizione favorevole nonostante le numerose vicende internazionali che hanno danneggiato l’export negli scorsi anni. Mai nessuno avrebbe immaginato quello che sarebbe successo, tuttavia il Covid-19 non ha intaccato la produzione e la distribuzione dei prodotti alimentari. La vicenda del grano Senatore Cappelli, dunque, si inserisce proprio in questo scenario. Interessante potrebbe essere anche approfondire il tema sui Land Grabbing.
Origini del grano Senatore Cappelli
Il Cappelli è un’interessante e benefica specie di grano duro inventata agli inizi del 900′ dal genetista Nazzareno Strampelli. Il grano Cappelli è frutto di una lunga sperimentazione atta a legare diverse categorie di frumento. Difatti questa varietà è una selezione genealogica della popolazione nord-africana(tunisina) rustica, molto resistente e adatta ai terreni del meridione. Proprio per questo Strampelli la volle dedicare al senatore Raffaele Cappelli, promotore della riforma agraria di inizi 900’ e modernizzatore dei terreni del Sud.
Per molti anni questa varietà è stata una delle più coltivate e commercializzate nel meridione. Purtroppo però, a partire dagli anni 50’, si è progressivamente abbandonata la coltura di grano Cappelli favorendo specie più remunerative. In effetti uno dei grandi problemi di questa varietà è proprio la bassa resa: un grano diverso dal Cappelli rende dai 60 ai 70 quintali ad ettaro invece quest’ultimo rende circa 20/30 quintali.
Ebbene, solo con l’avvento dell’agricoltura e dei coltivatori biologici si è cercato di rievocare l’ormai dismesso grano Capelli. Oltretutto un importante contributo è stato anche dato dal CREA (Centro di Ricerca per la Cerealicoltura).
Il Crea
Questo istituto è un ente di ricerca pubblico vigilato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Esso preserva una gran quantità di specie di frumento garantendone la purezza.
In qualità di detentore di molte specie cerialicole, il CREA concede ogni diritto di produzione e commercializzazione delle semente a poche imprese private. Difatti, le poche licenze garantiscono un controllo forte e duraturo e impediscono la riproduzione incontrollata e modificata del seme. Tutto questo è dovuto da incroci involontari che avvengono naturalmente ed è quindi fondamentale assicurare la purezza.
I fatti
Qualche anno fa molti agricoltori biologici, però, non hanno potuto più seminare questa antica varietà. Il CREA, infatti, ha concesso nel 2016 l’esclusiva riproduzione e commercializzazione del frumento duro Cappelli ad una società bolognese chiamata SIS (Società Italiana Sementi). Questa ha creato una particolare “filiera chiusa”, oggi multata dall’antitrust.
Questa speciale concessione è già di per se molto allarmante. Una tale situazione ha monopolizzato il mercato e ha costretto ogni agricoltore che voleva seminare Senatore Cappelli ad accettare le condizioni imposte da SIS. Effettivamente i contratti di fornitura con le aziende agricole prevedevano, senza mezzi termini, l’intera restituzione del raccolto alla stessa società. Non c’era alcuna distinzione tra grano destinato alla riproduzione da quello destinato alla trasformazione. Tuttavia in Italia, secondo quanto dice un comunicato di AlceNero, “gli agricoltori possono utilizzare una parte del proprio raccolto per attività di risemina.” Dunque l’impresa sementiera si era difatti assicurata non solo l’inevitabile monopolio sulla commercializzazione del grano Cappelli, ma anche quello della stessa granella pronta ad essere trasformata in semola.
Una filiera perfetta dunque, pratica e funzionale, che secondo un servizio di Report, agevolava molti agricoltori nel raccogliere granella difatti già venduta. L’inganno però non finisce qui. Se è vero che alcuni coltivatori preferivano questa filiera controllata da SIS, è altrettanto corretto sottolineare come quest’ultima ha sempre favorito i soli agricoltori iscritti a Coldiretti. Un bollettino del AGCM(Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, antitrust) precisa:
“le decisioni da parte di SIS di fornire o meno le Sementi sono dipese in maniera ricorrente dalla riconducibilità dei coltivatori richiedenti alle diverse organizzazioni associative; in particolare, è sempre avvenuto in senso preferenziale alla Coldiretti”.
Denuncia all’antitrust
Come già anticipato, le numerose irregolarità appena illustrate hanno condotto alcune associazioni agricole a denunciare questa assurda situazione all’antitrust. Come si legge da un suo rapporto, le problematiche rilevanti sono state principalmente tre: i contratti, i ritardi o i rifiuti delle forniture e il significativo aumento dei prezzi.
Riguardo i contratti subordinati, la relazione continua dicendo che SIS avrebbe dichiarato la stipula di soli 10 contratti su 450 di questo tipo nel 2017. In realtà, secondo i database aziendali dello stesso anno, esaminati dall’antitrust, il 90% degli agricoltori avrebbe restituito l’intero raccolto. Non da meno è la questione dei ritardi nelle forniture. Se è vero che venivano favoriti gli associati a Coldiretti, il referto attesta come “SIS ha fatto ampio ricorso a giustificazioni scientemente infondate per negare le Sementi a determinati coltivatori”. Addirittura alcune intercettazioni testimoniano come ogni decisione commerciale venisse presa singolarmente, in base all’agricoltore acquirente. Infine l’antitrust fa notare come i prezzi delle semente stabiliti da SIS sono stati maggiorati, passando da 0,90 euro/kg(prezzo stabilito dalle aziende concessionarie prima di SIS) a 1,50 euro/kg nel 2018.
Tutto questo ha costretto l’agenzia garante a multare la Società Italiana Sementi con 150mila euro, dichiarando che quest’ultima ha imposto un rapporto cosiddetto di filiera e ha determinato un significativo aumento dei prezzi sfavorendo i piccoli agricoltori.
Considerazioni finali
Questa situazione ha messo in ginocchio l’intera filiera del Senatore Cappelli, costringendo molte imprese agricole ad abbandonare le coltivazioni di questo seme donato da Salvatore Strampelli agli italiani. Un grano pubblico dunque, di tutti, che ha relegato la figura dell’agricoltore ad un semplice prestato d’opera. Non permettere la risemina ha inibito la funzione dei coltivatori e ha evidenziato la scarsa importanza che la filiera attribuisce ai “più piccoli”. Eppure, sono proprio questi che alimentano il mercato e lavorano per il bene di tutto il comparto del grano.
Dovremmo osservare con più attenzione temi riguardanti questa filiera e non limitarci a semplici considerazioni “ideologiche”. È fondamentale ricercare un compromesso tra qualità e libertà. Ogni agricoltore deve poter essere tale e non un semplice “burattino”. A tal proposito, è la stessa antitrust che, in un articolo del Sole24Ore, specifica come l’intervento di quest’ultima “conferma la profonda attenzione dell’Autorità per la disciplina delle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agroalimentare”. In un’Italia dove il settore agroalimentare corre è fondamentale garantire condizioni di lavoro favorevoli.
Infine, questa vicenda ci insegna anche a non cedere a particolari populismi. Il Senatore Cappelli è il frutto di grani non italiani. Politiche di chiusura non porteranno altro che svantaggi. Inoltre, enfatizzare il Made in Italy e non favorirlo dall’interno è un presupposto alquanto pericoloso. Cerchiamo dunque di preservare il patrimonio alimentare italiano e capire che la parola “mio” non dovrebbe esistere perché tutti, infondo, siamo cittadini del mondo.