Il 20 maggio di quest’anno la Corte Federale tedesca, il Bundesverfassungsgericht, ha emesso una sentenza che ha e avrà importanti ripercussioni sia da un punto di vista giuridico sia da un punto di vista politico. I rapporti tra la Corte Federale tedesca e l’Unione Europea e, in particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non sono mai stati tra i migliori, tanto da affibbiare ai giudici tedeschi il termine di anti-europeisti. Ma è davvero così? Che cosa hanno voluto dirci con la loro decisione?
Il 20 maggio 2020 la Corte Federale tedesca ha dichiarato parzialmente anticostituzionale il piano di quantitative easing dell’allora presidente della Banca Centrale europea (BCE) Mario Draghi. Il Public Sector Purchase Programme (PSPP) è un piano di acquisti di titoli pubblici avviato nel marzo del 2015 in risposta alla crisi dei debiti sovrani, che aveva l’obiettivo di scongiurare la deflazione e rilanciare la crescita economica attraverso l’emissione di liquidità. La base sulla quale tale piano è stato dichiarato anticostituzionale è che la BCE avrebbe agito ultra virus, ovvero oltre le sue competenze, in quanto non avrebbe rispettato il principio di proporzionalità (principio generale del diritto europeo) nella manovra in questione. In sostanza il Bundesverfassungsgericht ha dichiarato che le conseguenze dell’acquisto in larga scala di titoli di stato non erano proporzionali alla risoluzione del problema al quale tali misure erano volte. Tale pronuncia apre sia un caso politico, sia uno giuridico. È bene notare come le conseguenze giuridiche e politiche non sono sempre distinguibili e separabili.
Le conseguenze giuridiche
Partendo dalle conseguenze giuridiche della sentenza della Corte Federale tedesca, gli aspetti fondamentali sono quelli della competenza sul, e dell’uniformità del, diritto dell’Unione Europea. Infatti è importante ricordare come la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si fosse già espressa nel dicembre del 2018 sul PSPP, ritenendolo rispettoso del diritto europeo. Perciò, la decisione di esprimersi sul piano di quantitative easing da parte della Corte Federale tedesca, indipendentemente dal contenuto della sentenza stessa, pone il problema di chi, in ultima istanza, ha la competenza sull’applicazione del diritto europeo. Teoricamente tale competenza spetta alla corte di Giustizia dell’Unione Europea, ma già nel passato lo stesso Bundesverfassungsgericht ha inteso riservarsi il diritto di revisionare le decisioni della Corte di Giustizia. Tale prerogativa è stata giustificata da parte della Corte tedesca, prima, per gli standard insufficienti dell’Unione Europea di protezione dei diritti fondamentali, dopo per il problema del deficit democratico delle istituzioni europee. Quest’ultimo punto è strettamente connesso alla sentenza di maggio. Infatti, a causa di questo deficit democratico, la Corte Federale tedesca è sempre stata restia a cedere la totale competenza nel giudicare il diritto comunitario alla Corte di Giustizia dell’UE. Anche perché, quest’ultima, lavora per far funzionare il più possibile le istituzioni europee e, quindi, più propensa a far prevalere il diritto UE in caso di contrasto con il diritto nazionale degli Stati Membri.
Inoltre, con la decisione della Corte tedesca di esprimersi su una questione su cui si era già espressa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non si può ignorare il rischio che anche le Corti Costituzionali degli altri paesi membri decidano di mettere in discussione sentenze della Corte di Giustizia. Esse, infatti, potrebbero decidere di giudicare il diritto europeo secondo standard di diritto nazionale, minando per l’appunto l’uniformità dell’interpretazione del diritto comunitario.
Le conseguenze politiche
Le conseguenze politiche principali sono due, e fortemente connesse: una più intrinseca a quello che è il progetto Unione Europea, l’altra più attuale.
La questione politica di fondo del progetto UE che la sentenza della Corte Federale tedesca ha riaperto, o meglio, non ha mai chiuso, è quella del deficit democratico. Nella sentenza si legge infatti che “gli Stati Membri rimangono i ‘Padroni dei Trattati’ e l’Unione Europea non si è evoluta in uno stato federale”(sentenza 2 BvR 859/15, 111). I giudici tedeschi insomma rimarcano quello che è forse il principale problema dell’Unione Europea, ovvero la mancanza di un’unità politica. In effetti la Corte Federale tedesca coglie un elemento di debolezza dell’attuale cammino di integrazione europea che, per altro, si rispecchia anche nell’assenza di una identità collettiva europea. Il problema del deficit democratico in questo senso è solo la punta dell’iceberg. Esso non può essere risolto senza un’unità politica a livello europeo, e la Corte Federale tedesca non può accettare una completa autonomia delle istituzioni europee a causa del loro deficit democratico. Di conseguenza la Corte tedesca si trova a ricoprire il ruolo di oppositore verso una tendenza che sembra aver preso sempre più piede in capo alle istituzioni europee, ovvero quella di raggiungere un’unità politica e risolvere il problema del deficit democratico attraverso piccole riforme e allargamenti di competenze delle istituzioni europee stesse. In questo contesto rientra il problema, se vogliamo, più attuale: il programma di acquisto di titoli pubblici della Banca Centrale europea. Perché il rischio è che vengano aggiunte competenze importanti all’UE attraverso quella che è l’istituzione comunitaria meno democratica dell’Unione Europea: la BCE.
La Corte Federale tedesca ha dato tempo tre mesi alla Banca Centrale europea per dimostrare come “gli obiettivi di politica monetaria conseguiti attraverso il PSPP non sono sproporzionati agli effetti economici e di politica fiscale risultanti dal piano stesso”(sentenza 2 BvR 859/15, 235). Scaduti i tre mesi, la Bundesbank non parteciperà più all’implementazione e alla partecipazione del piano in questione.
I tre mesi sono passati, e ora?
I tre mesi di tempo dati dalla corte federale tedesca alla BCE sono scaduti il 5 agosto, e tutt’ora non si è avuta una risposta da parte della Banca Centrale. O meglio, una risposta è arrivata il giorno stesso della sentenza. Il Consiglio della Banca Centrale europea non ha fatto altro che ribadire come la Corte di Giustizia dell’UE si fosse già espressa sulla questione, ritenendo il PSPP rientrante nelle competenze della BCE. Una risposta, quella della BCE, quasi scontata, in quanto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è l’unico organo competente ad esprimersi sui casi di diritto comunitario. Ciò che invece è più eclatante è la posizione presa dalla Bundesbank e dal Governo e Parlamento tedesco, i quali, dichiarando di aver ricevuto più informazioni da parte della BCE, ritengono che il principio di proporzionalità sia stato rispettato. La straordinarietà sta nel fatto che sia la Bundesbank, sia il Governo e Parlamento tedesco non hanno nessuna competenza per giudicare che il principio di proporzionalità sia stato rispettato, e che abbiano deciso di prendere una posizione contraria alla decisione della loro Corte Costituzionale prima di aspettare un giudizio in merito ai nuovi documenti dalla Corte stessa. Tale posizione è spiegabile dalla ormai enorme coinvolgimento e fondamentale ruolo dello stato tedesco nell’Unione Europea. A ciò va aggiunta la richiesta da parte dei gruppi parlamentari europei S&D e Renew del 20 luglio alla Commissione europea di aprire una procedura di infrazione verso la Corte Federale tedesca. Di conseguenza, la Corte Federale tedesca è l’organo che sembrerebbe esserne uscito sconfitto, o tanto meno, indebolito da questo scontro di sentenze. Ma ciò che preoccupa diversi politici ed economisti è una possibile futura sentenza sul Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), il nuovo programma di acquisti di titoli pubblici della BCE in risposta alla crisi del Corona virus, su cui la Germania ha svolto un ruolo di primo piano in sede comunitaria.
Possibili conseguenze future
Nonostante la sentenza nulla ha che fare con il PEPP, in molti si chiedono quali potrebbero essere le ripercussioni su di esso e in quale direzione potrebbe andare una futura sentenza della corte tedesca sul nuovo piano della BCE. Perché, se la maggior preoccupazione della corte tedesca è il deficit democratico, è probabile che il giudizio dei giudici tedeschi sul PEPP possa essere negativo. Infatti il nuovo piano potrà avere conseguenze politiche molto più importanti rispetto al piano del 2015. Il PEPP potrebbe aprire ad una politica fiscale comunitaria. Consegnare in parte la politica fiscale in mano a istituzioni che soffrono di deficit democratico non ha solo implicazioni giuridiche importanti, ma soprattutto politiche. La politica fiscale tocca la vita quotidiana dei cittadini, molto più di quanto faccia la politica monetaria, unico strumento utilizzabile al momento da parte della BCE. Lasciare tale strumento ad istituzioni che soffrono di deficit democratico è pericoloso sia per i cittadini, sia per l’Unione Europea stessa (quale potrebbe essere la reazione dei cittadini? Potrebbe essere per l’UE il tipico ‘passo più lungo della gamba’?). In questo senso l’atteggiamento della Corte Federale tedesca verso l’Unione Europea può essere visto, non tanto come conseguenza di un sentimento anti-europeista, ma dovuto al rifiuto di un progetto a due velocità: veloce nell’elargire competenze e lento (se non fermo) nel raggiungimento di un’unità politica.
Per questo motivo tutti stanno guardando alla Corte tedesca, sia per una risposta alla BCE e alla Bundesbank sul piano del 2015, sia per una possibile pronuncia sul PEPP. Ma le variabili sono tante. La Banca centrale tedesca e il Governo tedesco sceglieranno l’Unione Europea o ascolteranno la loro Corte Costituzionale? Quali saranno le conseguenze per entrambe le scelte? E cosa risponderà la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ancora non si è espressa? La risposta a queste domande arriverà col tempo, a suon di sentenze.