Come oggi, 510 anni fa moriva Giorgione, al secolo Giorgio “Zorzi” da Castelfranco. Tanti sono i dubbi e le lacune intorno a questo personaggio, tanto che non si conosce nemmeno il suo vero nome di battesimo. Poche le opere a lui attribuite con certezza, realizzate in appena quindici anni di attività.
Tra leggende e misteri, è nato così il mito Giorgione.
Una biografia breve
Quella della sua morte è una delle poche date certe: sono infatti minime le notizie biografiche che gli storiografi sono riusciti a ricavare perchè i documenti al riguardo sono molto scarsi, se non inesistenti.
Probabilmente nato intorno al 1477-78 (persino gli amici ignoravano la sua età) nel comune trevigiano di Castelfranco Veneto, giunse a Venezia quindici anni più tardi, dopo aver lasciato nella sua città due opere importanti: l’ormai lacunoso Fregio di Casa Marta (Pellizzari, detta anche “Casa di Giorgione”) e la Pala per il Duomo (1503-04), pietra miliare della pittura rinascimentale veneta.
Rimane purtroppo sconosciuto il nome del suo primo maestro, probabilmente un artista locale, mentre è noto che a Venezia Giorgione lavorò presso la bottega di Vincenzo Catena, attraverso cui iniziò ad apprezzare e conoscere la sopraffina tecnica pittorica di Giovanni Bellini.
Come detto, poche sono le date certe. Qualcuna si ricava da iscrizioni ritrovate nel retro delle tele, altre da documenti di pagamento oppure da lettere autografe.
Le ultime notizie
Le ultime notizie risalgono all’ottobre del 1510.
Isabella d’Este, in una lettera inviata al suo agente a Venezia Taddeo Albano, sottolinea come abbia sentito tanto parlare del pittore e, nel caso sia davvero così bravo come dicono, vuole che realizzi una “Nocte”, ossia una Natività.
La risposta è inaspettata: “ditto Zorzi” è morto. Oltretutto, le sue opere non sono in vendita ad alcun prezzo perché tutte in mano ad una committenza privata che non intende separarsene.
L’ultimo documento è la lettera di risposta di Albano, che effettivamente conferma la morte di Giorgione per peste.
Egli appare piuttosto come un mito che come un uomo. Nessun destino di poeta è comparabile al suo, in terra. Tutto, o quasi di lui s’ignora, e taluno giunge a negare la sua esistenza. Il suo nome non è scritto in alcuna opera, e taluno non gli riconosce alcuna opera certa..”
da Gabriele d’Annunzio, Il fuoco (1928)
Gloria maledetta
Non sempre la gloria conquistata giova alle opere e all’artista, e Giorgione ne è un esempio. Diventato famoso e richiesto, iniziò prestissimo ad essere copiato, anche per la necessità di finire sue opere lasciate incompiute dalla prematura morte.
Zorzi è diventato così uno degli artisti rinascimentali più discussi. Poche sono le opere certamente attribuite a lui, fra tanti rifacimenti e contaminazioni: la storiografia non gli attribuisce più di 25 titoli.
È indubbiamente sua la Venere dormiente (1507-10), oggi a Dresda. La novità portata dall’opera non risiede tanto nel tema (di origine classica), quanto nel fatto che si trattava di una delle primissime raffigurazioni nell’arte moderna di donna completamente nuda.
Venne così inaugurato un genere che ebbe molta fortuna nei secoli a venire: dalla Venere di Urbino di Tiziano (che portò anche a termine quella di Giorgione), all’Olympia di Manet e alla Maya desnuda di Goya.
Sua è anche La Tempesta (1506), visibile alle Gallerie dell’Accademia. Qui l’artista dimostra una grandissima capacità nella resa dei paesaggi. Nella sua poetica questi giocano un ruolo chiave: guidano lo spettatore nell’interpretazione dell’opera e definiscono le atmosfere. Qui, i ruoli dei soggetti ritratti, l’uomo appoggiato all’asta e la donna che allatta, si rapportano con le forze della natura, in questo caso una tempesta in arrivo, donando all’opera un significato più profondo e misterioso (tanto che, ancora oggi, ci si interroga sul suo reale significato).
Un artista per pochi
Il suo ruolo a Venezia rimase a tratti marginale sia rispetto ai vecchi protagonisti della scena pittorica, come Bellini, Carpaccio, Cima da Conegliano, sia rispetto ai nuovi artisti emergenti, come Tiziano e Sebastiano del Piombo.
Nel Cinquecento infatti il successo pubblico era particolarmente legato ai generi celebrativi, la pala d’altare in primis, mentre Giorgione, soprattutto in un secondo momento, si concentrò su commissioni provenienti da una ristretta cerchia di intellettuali veneziani. Delle famiglie Contarini, Vendramin e Marcello ne condivideva i gusti raffinati e gli ideali umanistici. Molte delle sue opere sono ricche di dettagli simbolici, spesso di difficile e colta interpretazione.
Le scene sacre non mancano nella sua produzione, gli hanno anzi portato successo sia pubblico che economico. Giorgione però non ha potuto (o voluto) costruire quei rapporti politico-culturali che gli avrebbero permesso di “sfondare” e ottenere commissioni veramente di prestigio. La “segretezza” nella quale si realizzavano i suoi lavori è una delle motivazioni principali della scarsità di notizie sull’artista e anche della difficoltà di attribuzione.
La prematura scomparsa di questo artista fu una grave perdita. Da una parte si perse uno dei padri della pittura veneta cinquecentesca, dall’altra venne meno anche la possibilità di poter ricavare informazioni utili per l’identificazione di soggetti e tematiche rappresentate da questo pittore, che scrisse pochissimo sulle sue opere.